2019-08-27
Villaggio si mangiò il fegato per un funerale
Alle esequie per Fabrizio De André disse: «Una piazza così piena non ce l'avrò mai». Balzac provò gelosia leggendo «La Certosa di Parma» di Stendhal. Brooke Shields sognava le gambe di Steffi Graf, Pupi Avati soffrì per la bravura di Lucio Dalla al clarino: «Mi rubò il posto nella band».Di recente uno studio pubblicato su Psychological Science sostiene che siamo più invidiosi di una cosa che sta per accadere che di qualcosa che è già successa. Spiega l'autore della ricerca, Ed O'Brien, dell'Università di Chicago: «La ricerca dimostra che gli eventi che possono suscitare invidia perdono potere una volta che sono passati. In pratica sapere che un amico sta per acquistare l'auto dei nostri sogni ci fa rosicare. Ma una volta che se l'è comprata ci mettiamo l'anima in pace. Fatto sta che, anche se per poco, quella brutta bestia ci ha impedito d'essere felici per il bene altrui. Un peccato. L'invidia è una brutta bestia che tutti negano di avere. Ma al Purgatorio nessuno viene risparmiato da Dante, che agli invidiosi cuce le palpebre con il fil di ferro. Tuttavia oggi l'invidia non viene più vista solo come un vizio capitale, ma anche come un motore sociale che sprona l'invidioso a fare meglio. Spiega Ludvig von Mises, teorico del capitalismo industriale: «Il vagabondo invidia l'operaio, l'operaio il capo officina, il capo officina il dirigente, il dirigente il proprietario che guadagna un milione di dollari, costui quello che ne guadagna tre».Mara Venier (1950) non prova invidia ma la teme. Nel suo storico camerino a Domenica In è un vivaio di peperoncini contro il malocchio, «perché con l'invidia non si scherza: come diceva Benedetto Croce, “non è vero, ma ci credo"».Honoré de Balzac (1799-1850), roso dall'invidia mentre leggeva un'anticipazione del capitolo su Waterloo della Certosa di Parma, ammise: «Ho avuto un eccesso di gelosia davanti a questa superba e realistica descrizione». Balzac poi, preso dal rimorso, andò a complimentarsi con Stendhal: «È un libro grande e bello, glielo dico senza adulazione, senza invidia, perché non sarei in grado di farlo, e si può lodare francamente quello che non rientra nel nostro mestiere. Io faccio affreschi e lei ha fatto delle statue». Tra gli scrittori anche Scott Fitzgerald, convinto d'essere inferiore alla sublime intelligenza di cui era dotata sua moglie Zelda, provava una terribile invidia nei suoi confronti. E poco gli importava se i suoi romanzi avevano successo e quelli di lei no. Anche la compagna di Jonathan Franzen, la scrittrice Kathryn Chetkovich, ha ammesso d'essersi fatta scoppiare il fegato: «Invidiavo il suo talento. Il fatto che fosse capace di uscire la mattina e tornare a casa la sera con cinque pagine brillanti, o di escogitare una metafora, fissare un personaggio con una frase, e affrontare con disinvoltura questioni di geopolitica o di chimica cerebrale [..]. Invidiavo il fatto che in aeroporto o al ristorante, sconosciuti - lettori! - gli andavano incontro entusiasti. Invidiavo quello che talento e successo gli avevano trasmesso, il senso di stare facendo la cosa giusta […]. Ma in fondo lui ce l'aveva anche prima di scrivere quel libro (Correzioni, ndr), era stata la prima cosa che gli avevo invidiato» (tratto da i Racconti delle donne di Annalena Benini). Ferdinando Camon (1935) sulle colonne di Avvenire, ricorda: «L'invidia fa dire sciocchezze». Alberto Moravia su Ernest Hemingway: «Niente, e così sia». Perché niente? Perché Hemingway aveva vinto il Nobel, e Moravia no […]. Pasolini scrisse una famosa poesia intitolata Il Pci ai giovani!, in cui negli scontri a sprangate e manganellate tra studenti e poliziotti si schierava con i poliziotti, vera incarnazione del proletariato. Per mesi non si parlò d'altro, solo del rapporto di Pasolini con i giovani. Franco Fortini, che su quel rapporto aveva costruito il suo ruolo magisteriale, sparò la sua cannonata d'invidia: «La poesia di Pasolini è una cartina acchiappa-mosche, ora che le mosche sono acchiappate possiamo buttarla via»».Antonio Salieri (1750-1825) divorato dall'invidia per il talento di Mozart, in Amadeus di Miloš Forman, non solo gli augurò la morte ma arrivò persino a pregare che questa avvenisse in tempi rapidi. Nel dramma di Peter Shaffer dopo averlo avvelenato il compositore veneto imprecò: «Se non per la fama sarò ricordato per l'infamia…». In tanti però smentiscono questo pettegolezzo, diffusosi nell'Ottocento in Germania, che Aleksandr Sergeevič Puškin raccolse per tradurla nel suo dramma, rendendolo eterno nel 1830 con la tragedia Mozart e Salieri. Secondo gli storici i due avevano rapporti cordiali. Salieri riconosceva il genio del suo rivale, forse un po' d'invidia l'aveva anche provata, ma ciò non voleva certo dire che volesse ucciderlo. Carlo Fruttero (1926-2012) e Massimo Gramellini (1926) in La Patria bene o male: «Orlando e Sonnino partono da trionfatori per la conferenza di pace di Versailles, dove il presidente americano Wilson […] prospetta all'Italia di rinunciare alla Dalmazia in cambio di Fiume. I nostri abbandonano sdegnati la sala e tornano a Roma fra gli applausi della folla, sicuri di essere richiamati a Parigi con un telegramma di scuse. Ma poiché il telegramma non arriva, ci tornano di loro iniziativa, con la coda fra le gambe. Adesso si accontenterebbero anche di Fiume, ma Wilson non ci vuol dare più nemmeno quella. E Orlando si dispera. «Ah, se potessi pisciare come lui piange», mormora con invidia il primo ministro francese Clemenceau, sofferente di prostata». Paolo Villaggio (1932-2017) grande elogiatore dell'invidia: «È un sentimento nobile. Io vorrei l'Oscar di Benigni, i soldi di Berlusconi e un harem di veline. Ferreri, intelligenza lampeggiante, detestava Bertolucci. Bernardo vinse 9 Oscar per L'ultimo imperatore». Ma, a far rosicare Villaggio, non furono solo le fortune altrui: «L'ho capito al suo funerale a Genova che Fabrizio De André avrebbe avuto un post mortem straordinario. C'era la piazza piena di ragazzi. Ho provato, confesso per la prima volta, un sentimento di invidia nei suoi confronti. “Cazzo, ma un funerale così io non ce l'avrò mai", mi sono detto». Pupi Avati (1938) era così invidioso che, confessandosi in San Pietro, ammise: «Quando un mio collega ha successo soffro». In un'intervista ad Andrea Minuz: «Agli altri posso dare molto, ma solo se avanza a me; però il vero problema è l'invidia. Ancora oggi sogno di tornare a Bologna e suonare il clarinetto meglio di Lucio Dalla, che mi rubò il posto nella band in cui suonavo, spezzando per sempre il mio sogno più grande che era quello di fare il musicista. Se tu mi dici: preferisci vincere l'Oscar o tornare in cantina a Bologna e suonare il clarinetto davanti a Lucio Dalla con lui che si alza in piedi e mi applaude, io scelgo senza dubbio la seconda. Però a suo modo l'invidia è anche un grande carburante. In fondo, tutto quello che ho fatto nel cinema è scaturito da quella grande delusione». Giorgio Faletti (1950-2014) era fissato con i capelli del suo amico Angelo Branduardi: «Perché sono invidioso è ovvio, ma è la curiosità che mi tiene legato: voglio vedere se ogni tanto gliene cade uno. A volte reprimo la tentazione di tirarglieli, per vedere se sono farina del suo sacco o un capolavoro di Cesare Ragazzi».Brooke Shields (1965), prima moglie del tennista André Agassi, durante i preparativi del suo matrimonio faceva una serie di esercizi per migliorare la tonicità del suo corpo. E, dato che era invidiosissima delle gambe di Steffi Graf, decise di appiccicare una sua foto sul frigo come fonte d'ispirazione. Il matrimonio durò due anni appena e, poco dopo il divorzio, Agassi cominciò a corteggiare la collega, che nel 2001 diventò la sua seconda moglie. Violetta Bellocchio (1977) sostiene di non aver avuto un'adolescenza rose e fiori a causa del suo aspetto: «Da ragazza non passava giorno che non mi dicessero che ero brutta». Pertanto: «Sono stata invidiosa di tutte. Se una aveva una cosa che io non avevo, anche un biglietto del tram, io gliela invidiavo. Per non parlare delle ragazze belle, la cui bellezza era felicità e amore».Biancaneve (1812), nella fiaba originale dei fratelli Grimm, fu costretta a rifugiarsi nella casetta dei sette nani. La madre era tanto invidiosa della sua bellezza da ordinare al cacciatore di ucciderla e portarle indietro polmoni e fegato, che avrebbe cucinato condendoli con sale e pepe. Piera Degli Esposti (1938) ha ammesso d'esser stata invidiosa del talento di Perla Peragallo: «Non si parla mai dell´invidia. È un sentimento detestabile che tutti negano di avere. L´ho chiesto anche al mio analista: sono l'unica invidiosa? Mi ha risposto: gli altri non lo dicono. Perla sembrava una vietnamita. Io mi vedevo troppo alta, troppo chiara e sfuggente. Lei, invece, aveva la compattezza degli orientali. Consolavo la mia invidia dicendomi che avevo un modo tutto mio, speciale, di stare sulla scena». «Zuckerberg è ormai talmente ricco da potersi permettere d'essere generoso con l'invidia del prossimo» (Curzio Maltese).