2020-11-15
Villa Verdi, il tonificante di un genio creativo
Nella casa del Piacentino, acquistata per i genitori, il Maestro andò poi a vivere con la seconda moglie. Lì scrisse musica, ricevette ospiti e dette prova del suo talento di architetto e imprenditore agricolo, sviluppando una certa ricchezza botanicaAnni fa giravo l’Italia a caccia, si fa per dire, di residenze che avessero un nesso con figure note: l’abitazione di grandi scrittori, i loro appartamenti di città, fattorie e cascinali di pianura, stanze d’albergo, ogni luogo nel quale fosse insomma possibile immaginare di respirare lo stesso respiro, o di indossare lo stesso sguardo di un artista, di un poeta, di un pittore, di un… qualunque individuo avesse lasciato traccia di sé, in quella stanza confusa che chiamiamo Storia. Erano come un salvacondotto in questa lotta contro il tempo che tutti conduciamo, ciascuno a modo suo. Sbirciare il letto in cui si era spento Giuseppe Garibaldi, accarezzare le coperte della stanza in cui sono state scritte le pagine fitte fitte di quel romanzo epocale, ammirare lo studiolo di Gabriele D’Annunzio, o ancora ripercorrere il sentiero di campagna dove quel poeta, cento, centocinquanta o duecento anni addietro era passato e aveva contemplato i resti di una chiesa, il ponte romano, il fronte della boscaglia, mi sembrava di avvicinarmi alla scoperta di una formula segreta che mi sarebbe stata fondamentale, nel resto della vita. Quella formula non l’ho mai scovata, quantomeno non grazie a questo tipo di turismo emotivo, se ho imboccato un sentiero buono è stato grazie alla pratica della meditazione, ma questo ci porterebbe lontani e dunque lasciamo perdere.Torniamo ai luoghi, e torniamo per la precisione ad una casa che oggi è un museo, in provincia di Piacenza: a Sant’Agata di Villanova sull’Arda, laddove il compositore Giuseppe Verdi acquisì nel maggio 1848 un podere, a pochi chilometri di distanza dalla piccola casa natìa, in frazione Roncole di Busseto. Ci troviamo nel cuore delle aperte campagne dell’alta Emilia che si allungano a nord in Lombardia e a est nel Veneto. Pioppi, fiumi, rogge, campi coltivati, contadini, strade sterrate, cavalli e carrozze, artigiani, venditori, allevatori, cacciatori e bambini che vanno a scuola all’alba attraversando la pianura con sbuffi di condensa appesi a facce ancora addormentate. Attorno al podere, Verdi decise di avviare i lavori per la costruzione di una residenza di campagna dove hanno vissuto, in un primo tempo, i suoi genitori ed, in seguito, il compositore e la seconda moglie, la soprano Giuseppina Strepponi, rimanendovi per il resto dei suoi giorni, tranne i frequenti periodi a Parigi, a Venezia, e dunque a Milano, Napoli e Parma e gli inverni nella più mite Genova. Come sappiamo Verdi muore a Milano il 27 gennaio 1901. Verdi cura il disegno del giardino della sua magione, che cinge di mura; nel cuore del parco pulsa un romantico laghetto, circondato da una piantagione di cipressi di palude, o cipressi calvi o tassodi (Taxodium distichum), specie esotica importata dagli Stati Uniti e usata sistematicamente nelle aree umide di ville e parchi pubblici. Ne sono un esempio i giardini Montanelli e Parco Sempione a Milano. Oggi, centosettant’anni dopo, si conta una ventina di tassodi, svettano oltre i venti metri di altezza e ricreano un’atmosfera raccolta e compassata, molto gradevole in estate, con la luce delle ore più calde che si riflette nella folta chioma verde palpitante, quanto in autunno, quando la chioma s’infiamma arrugginendo, fino a toccare un rosso cupo e spogliarsi. Ho sempre pensato che questi fossero alberi di modesta longevità, dovendo passare gran parte della vita con le radici in acqua, invece ne sono stati individuati esemplari campione in Louisiana e Carolina del Nord, con età davvero impressionati: 1500 e addirittura 2625 anni, facendone l’albero più annoso della costa orientale degli Stati Uniti. Sulle montagne della costa occidentale invece vegetano sequoie, di tremila anni, e pini dai coni setolosi, di oltre cinquemila anni. Fra queste piante nascenti e le geometrie regolari e scolastiche della campagna, Verdi compone, negli anni 1851, 1852 e 1853, la «trilogia popolare», ovvero Rigoletto, Il Trovatore e La Traviata, terminata quando l’artista ha compiuto i quarant’anni. Ora, per le grandi figure del nostro tempo spesso la natura viene respirata, concepita, percepita come una natura pura e casta, sontuosa e meravigliosa, una visione estetica ed intellettuale, ma per uomini cresciuti invece coi piedi nella terra, la natura, ovvero la campagna, era ben altra cosa. E la casa di Verdi, oggi tenuta doverosamente e meritoriamente a gioiello, come un vero e proprio museo, era un tempo un mondo di passaggio, un transito tra il mondo agreste e agrario, fatto di fatica, sudore, modestia e ignoranza, e la cultura alta che Verdi ben aveva conosciuto e frequentato a Milano e nelle grandi città e capitali, e di cui era, è ovvio aggiungerlo, un protagonista. Nonostante questo egli rimaneva un uomo di contatto, figlio di un oste e di una filatrice, un uomo insomma capace di stringere una zappa, sebbene fosse portato per ben altri strumenti. Esistono documenti che comprovano le sue conoscenze e competenze idrauliche, arboricole, enologiche ed equine. Nel 1855 il successo dei Vespri siciliani, portato in scena prima a Parigi e poi a Parma, segnò probabilmente la fine degli anni d’oro della sua ispirazione, o quantomeno di quegli anni frenetici in cui ad un’opera ne seguiva una a stretto giro di mesi. In una lettera del tempo Verdi accosta ispirazione, professione e campagna: «Non sto facendo nulla. Non leggo. Non scrivo. Cammino nei campi dalla mattina alla sera, cercando di recuperare..., finora senza successo, dai problemi di stomaco che mi ha causato I Vespri siciliani. Maledette opere!» Nel 1859 la casa di Villanova D’Arda viene occupata dall’esercito austriaco, in Italia per scongiurare l’indipendenza e l’unità nazionale, faccenda che sappiamo come è andata a concludersi. Successivamente Verdi commissiona nuovi lavori di ampliamento, fino ad assumere le proporzioni attuali. Chi andrà a visitare il parco che circonda Villa Verdi potrà incontrare diversi alberi notevoli, a partire da un Ginkgo biloba adiacente l’edificio, con le sue foglie a ventaglio. Quindi farà la conoscenza con una certa ricchezza botanica: alberi della pioggia dorata (Koelreuteria paniculata), magnolie sempreverdi (Magnolia grandiflora), noci americani (Juglans nigra o Juglans cinerea), pioppi neri (Populus nigra), abeti rossi (Picea abies), noci del Caucaso (Pterocarya fraxinifolia), farnie o querce di pianura (Quercus robur), tassi (Taxus baccata), cipressi dell’Arizona (Cupressus arizonica), carpini neri (Ostrya carpinifolia), nonché un monumentale platano orientale (Platanus orientalis) che potrebbe essere stato messo a dimora ben prima dell’acquisizione della casa colonica da parte di Verdi. Gli accompagnatori ipotizzano addirittura trecento anni, è una stima che mi lascia perplesso ma non ho elementi concreti per poterne dubitare, se non quell’esperienza che mi fa pizzicare sotto il naso, avendone documentati molti.
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