2023-01-20
I compagni riscrivono la loro storia. «Calabresi vittima dei suoi superiori»
Il commissario Luigi Calabresi
Un libro di Guido Viale, ex di Lotta continua, «aggiusta» la cronaca degli anni Settanta: «La campagna contro il commissario ci ha risparmiato un golpe militare. Il vero cattivo maestro era Indro Montanelli».Il commissario Luigi Calabresi? «È stato innanzitutto una vittima di un ruolo che i suoi superiori diretti e indiretti gli avevano assegnato all’interno della strategia della tensione». La brutale campagna di odio montata contro di lui da Lotta continua? Ci ha risparmiato «ulteriori stragi, e vittime, e oppressione e tirannide perseguite dagli strateghi della tensione». A scrivere queste parole è Guido Viale, figura piuttosto nota all’interno del variegato mondo della sinistra e, soprattutto storico esponente di Lotta continua.Da pochi giorni è arrivato in libreria il suo nuovo saggio, intitolato Niente da dimenticare. Verità e menzogne su Lotta continua, pubblicato dal piccolo editore Interno 4. Fosse uscito in un altro momento, probabilmente non ne avremmo mai sentito parlare, ma questo è un periodo particolare. Da poco Raitre ha trasmesso un documentario su Lotta continua realizzato da Tony Saccucci con Andrea De Martino e Eleonora Orlandi, ispirato a un volume di Aldo Cazzullo: un prodotto tecnicamente valido, visibile a puntate su Raiplay, che ha il solo difetto (non del tutto indifferente) di tendere un po’ troppo al giustificazionismo. A far salire ancora il livello di attenzione sugli anni di piombo contribuisce poi la bella serie, sempre targata Rai, sul generale Dalla Chiesa, anch’essa visibile online. Ebbene, ora che i riflettori si sono riaccesi, tutti i protagonisti della commedia sono ben contenti di farsi illuminare.Ecco dunque che il libro di Viale gode di una buona visibilità, a dispetto del contenuto francamente inquietante. E si potrebbe anche liquidarlo come l’ennesimo relitto dell’epoca passata se non fosse così emblematico di alcune storture dell’universo culturale e politico italiano. Lotta continua è stata sconfitta dalla storia, è implosa, ma la generazione che l’ha creata e animata ha vinto alla lotteria del tempo. I dirigenti di quell’organizzazione - al netto delle evoluzioni o capriole politiche - occupano per lo più posti di rilievo, fanno parte a qualche titolo della classe dominante. E, come si evince dalla visione del documentario Rai, non rinnegano un grammo del proprio passato.Così fa Viale, che questa sera è atteso al teatro Franco Parenti di Milano per presentare il libro e dialogare a proposito di Lotta continua con l’ex compagno Gad Lerner. L’incontro si preannuncia scintillante, anche perché i due - in passato - non si sono risparmiati reciproche stilettate, allorché Viale accusò Lerner, via Huffington Post, di essere un po’ troppo entusiasta della guerra in Libia.Ma torniamo al contenuto del volume, che in effetti meriterebbe d’essere discusso pubblicamente non in forma pubblicitaria, bensì allo scopo di affrontare un serissimo riesame di una parte della cultura progressista italica. Si tratta di una storia molto dettagliata di Lotta continua, i cui capitoli finali sono dedicati all’omicidio Calabresi e alle vicende giudiziarie che ne sono seguite. Viale comincia con una premessa sacrosanta, definendo «inaccettabili» le parole e le immagini che hanno animato la campagna contro Calabresi, di cui alcuni ex di Lc si sono scusati «fin troppo tardi». Purtroppo, questa mezza condanna iniziale diviene un viatico per la serie di allucinanti ragionamenti che arriva subito dopo.Viale spiega che quella campagna va collocata «nel suo contesto». E a stretto giro insinua il dubbio che l’omicidio Calabresi sia stato in realtà «una provocazione diretta, come molte altre prima e dopo l’omicidio del commissario, ad accrescere la tensione nel Paese e, in particolare, per molte di esse, a mettere sotto accusa Lotta continua». Ergo Calabresi non è stato una vittima di Lc, ma prima di tutto dei suoi superiori «diretti e indiretti».Il saggista prosegue nella ricostruzione spiegando che le provocazioni, negli anni Settanta, erano pane quotidiano. Elenca una serie di episodi tra cui «la strage nel carcere di Alessandria (1974), provocata da una fallita incursione del generale Dalla Chiesa», innescata alla vigilia del referendum sul divorzio «da un detenuto legato al Mar (Movimento di azione rivoluzionaria, una delle tante propaggini dei servizi segreti americani) che aveva pubblicamente vantato la sua adesione a Lotta continua».In questo quadro, dunque, sarebbe da leggersi la campagna di odio contro Calabresi. La quale, scopriamo leggendo il volumetto di Viale, ha addirittura avuto effetti positivi. «Certamente anche la campagna contro il commissario Calabresi aveva contribuito a creare l’humus in cui sarebbe nato e cresciuto il terrorismo di sinistra negli anni Settanta e Ottanta, e aveva suggestionato schiere di militanti destinati poi ad alimentare le formazioni della lotta armata», scrive l’ex militante. «Ma, innanzitutto, gli sviluppi e le degenerazioni successive di quella battaglia non erano facilmente prevedibili (e non sarebbero state quello che poi sono diventate se gli autori della strategia della tensione fossero stati repressi per tempo)». Capito? La campagna contro il commissario creò i presupposti del terrorismo successivo, ma mica loro lo potevano sapere. E se le cose sono andate storte certo non possiamo incolpare la sinistra extraparlamentare.Ma ecco che si arriva al cuore della faccenda. «Bisogna riflettere su ciò che ci hanno risparmiato molte di quelle campagne: cioè le ulteriori stragi, e vittime e oppressione e tirannide perseguite dagli strateghi della tensione. Se non ci fossero state quelle denunce, quelle campagne, quelle mobilitazioni di cui la nuova sinistra degli anni Settanta è stata protagonista - di cui il processo Calabresi-Lotta continua del 1971 era stato una tappa fondamentale - forse non staremmo qui a parlarne, perché oggi saremmo, o saremmo stati governati per anni, dai colonnelli. O, comunque, militari, servizi segreti e politici compiacenti avrebbero goduto di uno spazio di manovra ben maggiore nell’assetto istituzionale che ne sarebbe emerso».Riepilogando: l’onda di odio culminata nell’omicidio Calabresi va «contestualizzata»; se è degenerata è colpa dei fascisti e degli strateghi della tensione; se non ci fosse stata avremmo avuto più stragi e forse ci sarebbe stato un golpe militar-fascistoide. Di conseguenza, pontifica Viale, è sbagliato indicare come «cattivi maestri» gli ideologi della sua generazione. Gli esempi da biasimare sono altri. Sapete, ad esempio, chi fu un «vero cattivo maestro», se «mai in Italia ce n’è stato uno»? Indro Montanelli. Prima fascista, poi volontario in Spagna con i franchisti, poi ideatore di un colpo di Stato con l’ambasciatore americano, poi teorizzatore della creazione di una minoranza anticomunista a cui far prendere il potere. Se «chiunque di noi avesse detto e fatto anche solo la decima parte di quanto aveva scritto, detto e fatto Montanelli», chiosa Viale, «provate a pensare quale sarebbe stato il suo destino […] e quale il trattamento riservatogli dalla stampa e dai media italiani». Ora, va benissimo l’idea di mettere in luce i lati oscuri degli anni di piombo, bene l’idea di demitizzare i mostri sacri. Ma sostenere che la campagna contro Calabresi ebbe un effetto positivo, che fu un complotto contro Lc e che evitò il golpe appare delirante.Eppure Viale, in quanto storico militante di sinistra, lo sostiene senza paura, proprio come alcuni suoi ex compagni (a partire da Erri De Luca) possono con orgoglio ribadire in un documentario Rai di aver avuto ragione, in fondo, e di aver agito per il meglio. Ecco, forse si tratta di un rimasuglio della storia, di una scoria. Tuttavia questa è, almeno in parte, la cultura dominante in Italia. Attorno a questi «padri nobili» si perdono soldi, tempo ed energie. Lo sdegno, invece, è tutto riservato agli ex missini e a improbabili (e immaginarie) lobby nere.