2020-05-04
«Vi svelo come sarà il futuro. La nostra vita? Tutta in casa»
Francesco Alberoni (Ansa)
Il sociologo Francesco Alberoni: «Vorremo telemedicina, affetti forti e spazi più belli dove poter lavorare e incontrare i “congiunti". Purtroppo la ricostruzione è in mano a banche e burocrati».Professor Alberoni, come sta? (Sospiro). «Benissimo, grazie».Come vive i giorni del Covid?(Serio). «Blindato». Ah...(Sorriso). «Per calcolo di opportunità, e per libera scelta. Sia chiaro».Zagrebelsky dice che l'obbligo di stare a casa per fascia anagrafica è un attentato alle libertà costituzionali degli anziani.«A me non è mai passato per la testa. Sa perché?». No, come mai?«Io ho 90 anni, ma non sono vecchio, capisce? Non vivo quella condizione».La voce di Francesco Alberoni al telefono è squillante come sempre, addirittura - se possibile in questi giorni - venata di ulteriore ironia, rispetto al solito. Ex preside a Trento negli anni di piombo, sociologo di fama, editorialista del Corriere della Sera (in una delle sue tante vite), e poi responsabile culturale di Fratelli d'Italia. Quando lo chiamo per sapere come vede il mondo dopo il Covid, parte dalla peste di Atene del 430: «Le dimostrerò quanto è attuale quella storia». Come ha vissuto il lockdown?«La gran parte dei vecchi ha accettato la clausura meglio di Zagrebelsky. Io l'ho fatto». C'è stata una strage nelle case di riposo. «È vero, un dramma. Ma è un ricorso storico, accadde nel Trecento nei conventi. Il Decameron era scritto in campagna, e in clausura volontaria, proprio per scampare alla peste». Cosa insegna la storia della peste di Atene?«Atene nel momento del suo massimo splendore si riforniva solo via mare. Nel 430 erano all'apice della loro forza. Nessuno era sicuro come loro. Però si erano chiusi in una trappola per topi». Una prova di forza consentita dal potere della flotta. «Esatto. Per non dipendere dalle scorribande nelle campagne dei peloponnesiaci».Ma quando arriva la peste...«Quell'immensa flotta diventa primo veicolo di contagio».La prima globalizzazione della storia distrutta da un'epidemia asiatica. «Esattamente come quella che abbiamo vissuto fino a ieri. La Atene di allora era come la New York di oggi: la prima città cosmopolita». Entrambe spazzate dal morbo. «La stima fu di 80.000 vittime su 300.000. Morì anche Pericle. Tucidide raccontò la decadenza della città». Continuiamo con il parallelo, è interessante. «Le stupende difese contro i peloponnesiaci divennero condizioni ideali per il morbo. Il cambio di paradigma fa saltare ogni certezza. Anche oggi è così: non era forse Milano la più internazionale della città italiane? Non hanno forse pagato il maggior tributo di sangue proprio i distretti industriali più innervati nella modernità?».Dice che potrebbe esserci un cambio di paradigma, oggi come allora? «Quando la storia epidemica di questa malattia sarà raccontata con studi scientifici avremo la prova: l'enorme addensamento di traffici ha avuto un effetto moltiplicatore». Ha pensato di lasciare Milano? «Per andare dove? Non mi sono mai mosso, zona via Torino. Mai uscito per strada». Prudenza? (Ride di gusto). «Autoconservazione, direi. A 90 anni non vorrei essere il primo coglione che per una passeggiata ci resta secco». Lo dice sulla base delle prescrizioni?«La massima pericolosità, in qualsiasi epidemia, è all'inizio. Nessuno ne sa nulla, non ci sono precauzioni. I più vulnerabili si ammalano rapidamente, una massa di infetti che non può essere curata si contagia nei presidi sanitari. Capita ad Atene, a New York e nella mia Asl». Continui a spiegarmi quello che ha messo a fuoco. «Non esiste cura per la polmonite interstiziale. Il che rende tutto semplice e brutale: chi può essere intubato viene intubato. Ma poi almeno metà degli intubati muoiono». Che strategia ne trae? «Nessuna, se non far passare tempo. Il sistema reagisce sempre». Anche quello italiano? «Massì. Tra poco ci saranno tante di quelle macchine respiratorie che ci potranno curare l'intera Asia». Quindi autoreclusione volontaria, stile Decameron?«Sì, ma chiarisca che non faccio nulla di boccaccesco. Scrivo un libro per Elisabetta Sgarbi e la sua Nave di Teseo».E intanto fa passare il tempo. «I farmaci vengono sperimentati, la ricerca prosegue. Se mi piglio il coronavirus a giugno ho più possibilità di scamparla: è calcolo delle probabilità». Di che tratta il nuovo libro? «Amore e tempo. Sto correggendo le bozze». Regali un assaggio ai lettori della Verità. «Io sono uno dei pochi che sa cosa accadrà dopo il virus. Sa che io la mia vita l'ho iniziata studiando i consumi?».Sì, ma ignoravo la sua capacità futurologica. «E fa male. Ho iniziato a 26 anni con una ricerca per la Bassetti».Come accadde? «Padre Agostino Gemelli, che mi considerava un negretto di casa, mi mandò da Piero Bassetti, angosciato dal futuro delle lenzuola: “Ci sa dire se gli italiani continueranno a consumare il bianco, o passeranno al colorato?"». E lei che ha fatto?«Ho preso la mia 500 e sono andato al Sud a cercare una risposta, correva l'anno 1960».E dove l'ha trovata? «Nella zona del Pollino: nemmeno lì le donne volevano più il corredo panna 50% e panna 20%». Le intervistava? «Certo. Dicevano tutte: “Non voglio più stare in un paesello" e “non voglio il corredo bianco". La spia di uno spostamento epocale dalla campagna alla città».Bassetti che disse? «“Faremo il colorato". Fu un trionfo. Ha capito come cambiano le epoche?».È vero che fece lo stesso con la Barilla?«Con Pietro Barilla gestimmo un altro snodo epocale: il passaggio alla pasta in scatola». Anche questa storia è bella come l'altra? «Gliela racconto come una favola. “Era un tempo calamitoso e inverecondo..."».Lo shock petrolifero. «Bravo! Il governo aveva calmierato la pasta. E noi la vendevamo sottocosto. La Grace, società Usa che allora possedeva il marchio, disse: “Chiudiamo"». Questa è la strega. Ma se è una favola ci vogliono gli eroi. «Ci sta parlando, Telese! Un gruppo di descamisados di cui facevo parte si mise a pensare dove si poteva crescere e sentenziò: i frollini». E lei cosa portò alla rivoluzione dei frollini? (Ghigno). «La cosa più importante: l'ideologia». Che cosa aggiunse? «Una sola frase: “Mulino Bianco. Come si stava bene... quando i mulini erano bianchi!"».Detto così sembra geniale. «Lo era. Il mercato dei frollini si moltiplicò per tre. E pensi che all'inizio a Barilla non piaceva!».Non ci credo. «Telese, non si distragga! Adesso le dò il senso dell'intervista. Alcune cose del futuro che ci attende per me sono facilmente immaginabili». Ad esempio? «Una rivalutazione della casa». E poi? «Lo smart working non ci lascerà. E siccome avremo comunicazioni facilitate da casa al lavoro, si torna alle cabine di regìa. A chi pensa». Senza andare in ufficio? «A che serve? Sarà molto più importante la visione a distanza. La produzione sarà dislocata nelle case. Il mercato di quelle belle salirà».Sicuro?«Pensi a un povero signore di Sondrio che fa il pendolare con Milano: viaggiava per ore, mangiava male in un bar, rincasava alle 20». E ora cosa vorrà?«Una terrazza e uno studiolo. E siamo già nell'immobiliare».E poi? «Telemedicina. Controlli da remoto. E siamo nella sanità».Terrazze nella città dei grattacieli? «La rivoluzione sarà nella vita domestica». La paura dell'isolamento resterà? «La vita da single - e siamo passati alla sessualità - impone una casa dove incontrare i “congiunti". Parola strepitosa dei nuovi tempi». Ma questo solo per i ricchi?«Nooo! Gli amici si consorziano, soprattutto anziani. Chi ci va più a morire nelle residenze?».La globalizzazione andrà in crisi?«Esatto. Filiere corte in economia e legami forti negli affetti. Nessuno prenderà a modello una città del passato come New York». Tornerà il corredo bianco? «Le donne faranno più figli, e siamo alla demografia: hai più tempo, un giardino, un terrazzo, un telelavoro. Magari arriva un bambino». Così pare un idillio. «Purtroppo la ricostruzione è in mano a banche e burocrati. Siamo come la Roma di Diocleziano!». Oggi l'impero è l'Europa?«Una specie di mostro. Una camera elettiva senza potere legislativo». Gli unici che non hanno ancora deciso che fare nel mondo. «E non lo faranno mai. Questo Consiglio d'Europa mi sembra la dieta di Ratisbona che, dovendo decidere all'unanimità, non decise mai nulla finché Napoleone non la chiuse». È sicuro di tutte le sue profezie?«Torni fra un anno, e ricordi: la pandemia è l'atto finale della globalizzazione». Alberoni sarà ricordato come il nuovo Tucidide? (Ride di gusto). «Magari: là fuori sono convinti che sia già morto». Però lei non esce e li frega tutti. «È il vecchio intrappolato che rischia. Io invece, come avrà capito, ormai sono al di sopra dei vincoli».Perché?(Ride). «Perché sono libero».