2024-05-24
I vescovi fomentano la propaganda green. Ora il nuovo dogma sono i pannelli solari
Zuppi scorda il messaggio evangelico di difendere gli «ultimi» e si schiera col socialismo verde che danneggia i meno abbienti. Un tempo la Chiesa si occupava per lo più del gregge, con particolare attenzione alle pecorelle smarrite. Da qualche tempo, però, a certi livelli sembra più interessata ai pascoli. Cioè ai campi, all’erba e più in generale a quella che papa Francesco chiama ecologia integrale. Ecco allora che le diocesi e le parrocchie sono chiamate a contribuire attivamente alla realizzazione della transizione energetica: lasciate che i pannelli solari vengano a noi. In questo quadro di esorbitante attenzione ai temi ambientali si colloca la spinta che la Conferenza episcopale italiana sta dando alla creazione delle cosiddette Comunità energetiche rinnovabili. Un progetto ampiamente sponsorizzato dal cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei. «All’interno delle strategie per il contrasto al cambiamento climatico, la transizione energetica svolge un ruolo centrale», dice Zuppi. «Il tema energetico è per sua natura strategico per le sue molteplici implicazioni di carattere ambientale, economico, politico ma anche etico. Anche la Chiesa si interessa al tema sapendo l’effetto che l’uso corretto o meno delle risorse naturali ed energetiche ha sull’ambiente. Come cristiani e uomini, siamo tutti chiamati ad amministrare in maniera responsabile i beni del Creato. Inoltre, vi sono implicazioni di carattere sociale, in quanto il costo elevato dell’energia grava soprattutto sulle persone più fragili della società. Tali costi gravano anche sulle chiese locali e sulle parrocchie».Secondo il cardinale, «la transizione energetica non è un percorso lineare e monodimensionale. Al contrario interessa tre sfere di azione tra loro collegate: l’acquisto, la produzione e il consumo di energia. Non vi può essere sostenibilità se non si pongono limiti al consumo e alle inefficienze che creano dispersione. Così come bisogna domandarsi quali siano le fonti impiegate nella sua produzione. Pertanto, esistono vari strumenti e soluzioni in questo sforzo comune». Ebbene, di queste strabilianti soluzioni fanno parte appunto le Comunità energetiche rinnovabili, per la cui realizzazione la Cei ha predisposto un tavolo e preparato un vademecum presentato mercoledì alla presenza del ministro Gilberto Pichetto Fratin. Che cosa siano queste fantomatiche Comunità lo chiarisce (poco) il manualetto dei vescovi. «La Comunità Energetica Rinnovabile (Cer)», si legge, «è una forma partecipativa volta a promuovere lo sviluppo, la produzione, il consumo e la condivisione di energia prodotta da fonti rinnovabili il cui principale obiettivo è quello di fornire benefici economici, sociali e ambientali al territorio in cui opera. Sebbene le Cer per legge non possano avere finalità di lucro (per le imprese, questo significa che la partecipazione alle Cer non può costituire l’attività commerciale principale), possono rappresentare un’occasione di risparmio economico per i membri».Interessante: messa così sembra una sorta di kibbutz delle rinnovabili, che alimenta la transizione energetica mostrando di avere a cuore il benessere degli ultimi. Se così fosse, se davvero si preoccupassero così tanto dei danneggiati dalla svolta green (cioè le classi medie e medio basse), i vescovi dovrebbero tuonare ogni giorno contro l’inganno verde e smascherarlo per quello che è: una mutazione del sistema, un cambiamento di pelle del neoliberismo. Invece partecipano alla mutazione millantando di contenerne i danni. E spingono le diocesi e le parrocchie a darsi da fare per creare le Comunità rinnovabili. «La Cer», continua il vademecum della Cei, «si costituisce come soggetto giuridico autonomo, dotato di un proprio statuto, e si basa sulla partecipazione aperta e volontaria dei suoi membri, che possono decidere di recedere e uscire in qualsiasi momento dalla configurazione. I contributi economici condivisi all’interno della Cer derivano dagli incentivi e dai rimborsi tariffari previsti dalla normativa italiana per l’energia immessa in rete dagli impianti a fonti rinnovabili al servizio della comunità e contemporaneamente (nella stessa ora) prelevata dai suoi membri o soci all’interno dell’area sottesa alla medesima cabina primaria di riferimento. La Cer è composta da soggetti che possono agire come consumatori, produttori o prosumer. I prosumer sono dotati di impianti rinnovabili, producono energia elettrica, ne consumano una parte (cioè, godono dei benefici dell’autoconsumo fisico) e vendono la parte in eccesso, che può rilevare per la condivisione dell’energia con gli altri membri o soci della Cer. I produttori partecipano alla Cer con i propri impianti a fonti rinnovabili e con l’energia che immettono in rete, di cui godono i proventi, contribuiscono a generare gli incentivi condivisi dalla Cer. I consumer (consumatori) non hanno un proprio impianto di produzione, continuano a pagare le utenze elettriche al proprio fornitore, ma contribuiscono con i propri consumi ad incrementare l’energia condivisa e dunque i relativi incentivi».In buona sostanza si tratta delle «cooperative per lo sfruttamento delle energie rinnovabili» celebrate nella enciclica Laudato si’, pensate per consentire «l’autosufficienza locale e persino la vendita della produzione in eccesso. Questo semplice esempio indica che, mentre l’ordine mondiale esistente si mostra impotente ad assumere responsabilità, l’istanza locale può fare la differenza. È lì infatti che possono nascere una maggiore responsabilità, un forte senso comunitario, una speciale capacità di cura e una creatività più generosa, un profondo amore per la propria terra, come pure il pensare a quello che si lascia ai figli e ai nipoti».Fantastico: un modello utopico di socialismo verde benedetto dalla Cei e, ovviamente, dal grande capitale che spinge per la transizione energetica. E infatti nel vademecum Cei non mancano, guarda un po’, ampi riferimenti alla Agenda 2030, a cui parrocchie e diocesi sono caldamente invitate a sottomettersi. Il Pd non saprebbe fare di meglio.
Il Gran Premio d'Italia di Formula 1 a Monza il 3 settembre 1950 (Getty Images)
Elbano De Nuccio, presidente dei commercialisti (Imagoeconomica)