2024-10-20
La verità sul verdetto che le toghe usano per imporre i diktat sull’immigrazione
La Corte Ue: nei ricorsi si valuti se i Paesi d’origine sono sicuri Così i magistrati si prendono l’ultima parola su scelte politiche.Il segretario della Cgil attacca Salvini e Meloni. Bergoglio: «Teniamo le porte aperte». Lo speciale contiene due articoli.La magistratura - la vera opposizione - ha ritirato fuori gli artigli. Si preparava da mesi. Da quando, l’8 maggio scorso, la giudice Silvia Albano - la stessa che ha disposto il rientro in Italia dei migranti trasportati a Gjadër - sul sito della corrente progressista Md, catechizzava i colleghi contro il decreto del Viminale, che stilava la lista dei Paesi sicuri. Il documento, a suo parere, era calibrato sull’«esigenza di attuare il protocollo con l’Albania». Ma a cosa si aggrappano le toghe per smontare le politiche del governo di Giorgia Meloni?In quell’intervento di cinque mesi fa, la dottoressa Albano segnalava: «È lo stesso articolo 38 della direttiva 2013/32/Ue a prevedere la necessità di una verifica della effettiva sicurezza del Paese da parte dell’autorità giudiziaria sulla base dei criteri indicati nella norma». Secondo la responsabile della sezione immigrazione del tribunale di Roma, l’Europa prescriverebbe un sindacato giuridico sulle decisioni dei governi in materia di classificazione delle nazioni di provenienza degli immigrati. Aveva ragione? Non proprio.Il suddetto articolo impone di accertare la sussistenza dei requisiti di sicurezza alle «autorità competenti». Non ai magistrati. Ogni Stato Ue redige l’elenco dei Paesi sicuri, che è tenuto a revisionare e aggiornare periodicamente, ma non a sottoporre all’approvazione degli organismi giudiziari. Al meglio, l’articolo pertinente per la tesi della «magistrata democratica» è il 46, quello che dispone di garantire ai migranti il «diritto a un ricorso effettivo». Bruxelles, per tale, intende «l’esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto compreso, se del caso, l’esame delle esigenze di protezione internazionale ai sensi della direttiva 2011/95/Ue, quanto meno nei procedimenti di impugnazione dinanzi al giudice di primo grado». In quella sede, le toghe possono ribaltare il verdetto dei governi, stabilendo che è invece a rischio un Paese incluso nell’elenco dei Paesi sicuri?Tecnicamente, sì. Ma ha indubbiamente un carattere politico l’attivismo dei nostri giudici, in una materia che non si esaurisce nel pedissequo riscontro di certe condizioni. E chiama in causa la diplomazia, oltre alla necessaria autonomia dei governi nell’esercitare il proprio mandato democratico.Per capire di cosa si parli, bisogna rifarsi alla sentenza della Corte di giustizia europea, datata 4 ottobre, che adesso affolla i resoconti della stampa. Ad esempio, nel commentare l’annullamento dei provvedimenti di trattenimento in Albania, il presidente dell’Anm, Giuseppe Santalucia, ha rinviato alle «norme volute dal nostro ordinamento e dall’ordinamento europeo di cui siamo parte integrante». Siccome «l’ordinamento sovranazionale prevale», il tribunale di Roma avrebbe preso atto che esso «considera l’Egitto e il Bangladesh tra i Paesi non sicuri». Strano: la Corte del Lussemburgo si è occupata del respingimento dalla Repubblica ceca di un rifugiato dalla Moldavia. Mica di egiziani e bengalesi. Sono gli Stati membri dell’Unione, appunto, a determinare quali Paesi siano sicuri, in base ai criteri elencati dalla direttiva Ue. La novità della sentenza cui ricorrenti e magistrati si appoggiano per picconare l’intesa con Tirana, semmai, sta nell’interpretazione estensiva di quei requisiti.La legge italiana che recepiva le regole Ue ha chiarito che, per considerare sicuro un Paese, si deve «dimostrare che, in via generale e costante, non sussistono atti di persecuzione […] né tortura o altre forme di pena o trattamento inumano o degradanti, né pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale». Il decreto legislativo, però, aggiungeva: «La designazione di un Paese di origine sicuro può essere fatta con l’eccezione di parti del territorio o di categorie di persone». È qui che la Corte europea ha sparigliato le carte, sancendo che «il diritto dell’Unione osta a che uno Stato membro designi un Paese terzo come Paese di origine sicuro soltanto per una parte del suo territorio».Eliminata la possibilità delle eccezioni, le maglie per i respingimenti si sono ridotte. Eppure, benché i media si siano concentrati su questo spicchio della sentenza Ue, il suo impatto potrebbe essere solo transitorio. Con la nuova direttiva che abrogherà quella del 2013 e che dovrebbe essere attuata entro il 2026, Bruxelles, infatti, armonizzerà le norme sui Paesi sicuri, fino a sostituire i contestati elenchi nazionali con elenchi comunitari. Si passerebbe, pertanto, da una fonte del diritto secondaria (il decreto del ministero dell’Interno), a una primaria (la norma Ue). Con buona pace della Albano. Quel che davvero potrebbe dare campo libero all’arbitrio dei magistrati è l’orientamento della Corte del Lussemburgo sul loro ruolo ex post, al momento dei ricorsi. La sentenza del 4 ottobre dichiara: almeno il tribunale nazionale di prima istanza deve rilevare d’ufficio - persino se non gli è stato chiesto dal ricorrente! - eventuali violazioni delle norme comunitarie sulla designazione dei Paesi di provenienza. Lo zelo del singolo giudice sarà dunque dirimente: questionare o non questionare lo status di una nazione dipenderà, alla fine della fiera, da una sua scelta individuale. Lo anticipava mesi fa un portale tedesco specializzato in diritto costituzionale: «Molto rimane in capo alla volontà delle corti e al livello di profondità dell’esame che adotteranno nel considerare le designazioni di Paesi d’origine sicuri». Se, come pare, la nostra magistratura ha intenzione di ostacolare la linea del governo di centrodestra, il cdm di domani dovrà sforzarsi a fondo per tirare fuori un coniglio dal cappello.È vero: non c’è esecutivo legittimo, non ci sono pressioni di mezzo continente per varare una stretta sui migranti, non c’è disponibilità della Commissione a recepire il cambio di rotta che tengano. Basta un pugno di giudici per neutralizzare il verdetto delle urne e far saltare gli impegni dei governi nei confronti degli elettori. Ergo? Serve ancora votare? Qualcuno spera che vi convinciate di no?<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/verita-sul-verdetto-immigrazione-2669445545.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="landini-fa-il-sindacalista-dei-giudici-il-papa-aiutiamo-gli-stranieri" data-post-id="2669445545" data-published-at="1729416849" data-use-pagination="False"> Landini fa il sindacalista dei giudici. Il Papa: «Aiutiamo gli stranieri» Dai tempi di Aboubakar Soumahoro - l’onorevole con gli stivali infangati e prestati - quando un immigrato sente la parola sindacalista non sta tranquillo, ma ieri Maurizio Landini, segretario generale della Cgil, ha deciso di occuparsene imitando sua santità Jorge Mario Bergoglio. Non nel senso che è andato a vedere se le cooperative che li reclutano li paghino con contratto regolare. Mentre proclama lo sciopero generale contro la manovra di bilancio che mette tutti i soldi possibili nelle tasche dei lavoratori, il segretario della Cgil si occupa degli «operatori della giustizia». Sarebbero i magistrati che guadagnano una media di 137.000 euro lordi all’anno e non hanno alcun obbligo né di orario né di produttività, sottoposti a «un attacco antidemocratico senza precedenti» dal governo che ha solo un difetto: difende la legalità, i confini e l’integrità nazionale.Dice Landini - che è in odore di santità perché parla come il Papa e al Papa piace - che «quello che sta succedendo in queste ore lo trovo gravissimo, lo voglio denunciare e mi assumo la responsabilità di quello che sto dicendo. Quando sento che un presidente del Consiglio e un vicepresidente del Consiglio, che hanno giurato sulla nostra Costituzione, pensano che è loro diritto attaccare frontalmente l’indipendenza della magistratura, perché sono stati eletti, dico che li dobbiamo fermare perché questa logica sta mettendo in discussione la democrazia di questo Paese». Ora, che il segretario della Cgil dia lezioni istituzionali pare un po’ esagerato, ma soprattutto pare strano da uno che non ha mosso un dito mentre Stellantis scaricava addosso al contribuente il peso degli errori di Carlos Tavares e del disinteresse di John Elkann. Ci hanno pensato su un paio d’anni prima di andare in piazza, e in punta di piedi, contro ciò che resta della fu Fiat. Ma per rifarsi una verginità barricadiera, Landini insiste: «I centri per migranti costruiti in Albania non sono un vanto, per me come cittadino italiano è una vergogna». Magari anche i lavoratori lasciati al freddo e con le tute strappate a Mirafiori non dovrebbero essere un suo vanto. Glielo ricorda il senatore della Lega, Giorgio Maria Bergesio, che chiosa: «Landini si preoccupa degli attacchi del centrodestra alla magistratura: d’altronde lui è esperto di adulazione, in particolare con Stellantis, gruppo Gedi, Pd ed Elsa Fornero».A benedire il sindacalista ci pensa però il Papa. Del resto Francesco fa l’armatore, attraverso la Cei del cardinale Matteo Maria Zuppi, delle navi appoggio alle Ong che fanno la pesca a strascico di migranti, non importa se clandestini, se possibili terroristi, se potenziali delinquenti. Dice Francesco in un video inviato all’Azione Cattolica: «Dare loro da mangiare, dare loro la mano affinché non affondino. Il migrante, Dio lo ama molto, se ne prende cura. Non possiamo chiudere la porta al migrante, il migrante deve essere accolto, accompagnato, promosso e integrato.» Ma chi paga? E chi li controlla? Ci sarà l’aiuto di Dio!
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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Scioperi a oltranza e lotta politica: dopo aver tubato con Conte e Draghi, il segretario della Cgil è più scatenato che mai.