2021-03-10
Lo show milionario della vela
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Fiona Goodall/Getty Images
Ieri notte è cominciata l'edizione numero 36 dell'America's Cup che vede contendersi il prestigioso trofeo Team New Zealand e Luna Rossa. Il giro d'affari dell'evento genera un fatturato di 45 milioni di euro a fronte di investimenti complessivi da parte dei team che raggiungono i 400 milioni.Uno degli sport più longevi al mondo che affonda le sue radici nell'antica Grecia, oggi conta in Italia più di 100.000 tesserati e 735 circoli sparsi su tutto il Paese.Lo speciale contiene due articoli.L'America's Cup, oltre a essere la competizione sportiva più antica al mondo, è anche uno degli eventi che muovono più soldi. Tra sponsor e investimenti il giro d'affari per l'edizione numero 36, cominciata ieri notte con le prime due regate tra Team New Zealand e Luna Rossa nelle acque del golfo di Hauraki nel Pacifico, ha raggiunto la cifra di 45 milioni di euro.Un fatturato inferiore a quello generato durante l'edizione precedente di quattro anni fa quando a Bermuda si toccarono i 60 milioni, ma quasi dieci volte inferiore in proporzione alle somme di denaro investite dai quattro team per allestire le imbarcazioni. Si è calcolato infatti che i quattro team, Ineos (Regno Unito), American Magic (Usa), Team New Zealand (Nuova Zelanda) e Luna Rossa (Italia), hanno sborsato complessivamente 400 milioni di euro (compresa la quota di 1,5 milioni a testa per l'iscrizione) per partecipare e conquistare quella che è definita la Vecchia Brocca. E se è vero che nello sport l'obiettivo principale è vincere, nel caso della vela, intesa come competizione a questi livelli, anche la partecipazione porta i suoi frutti. A differenza di altre discipline, infatti, come possono essere la Formula 1 o la MotoGp dove società come Liberty media e Dorna Sports gestiscono la parte commerciale degli eventi, l'organizzazione dell'America's Cup è affidata completamente alle quattro squadre, senza la presenza di nessuna società promotrice, in quanto l'obiettivo commerciale prioritario non sono né i ricavi dei diritti televisivi, né i proventi derivanti dal botteghino, visto che l'ingresso della gente ai porti e ai villaggi è gratuito, bensì ottenere il massimo risultato possibile in termine di audience televisiva e far avere più visibilità ai numerosi sponsor che campeggiano sulle imbarcazioni. Ed è proprio qui - nel concetto di fatturare molto meno rispetto a quanto si è deciso di investire - che la vela si differenzia dagli altri sport dove squadre, team e scuderie stanno in piedi perlopiù grazie agli introiti derivanti dalla cessione dei diritti televisivi.Soltanto sull'imbarcazione italiana di Luna Rossa si possono contare 23 marchi legati ad altrettante aziende. Dai due più importanti, ovvero i due Co-title sponsor Prada e Pirelli, allo sponsor ufficiale Panerai e a quello tecnico The Woolmark Company, passando per altri come Cantine Ferrari Trento (lo sparkling partner), One Ocean (il sustainability partner) e M&C Saatchi (il creative partner), e i 16 Official suppliers come Microsoft, Garmin, Pardo Yachts, Mercury, Fujitsu, Esteco, Mitsubishi Electric, Promo, Dainese, Mustang Survival, TechnoGym, Parmigiano Reggiano, Commscope Ruckus, Wartsila Teorema, Altair e Zumbotel.Nella fattispecie dei 45 milioni di euro di fatturato, 35 provengono dal governo neozelandese e dal comune di Auckland in quanto Paese che ospita l'evento; gli altri 10 derivano dai diritti televisivi e dagli sponsor tra i quali ci sono Emirates, Coca Cola, Omega, Yanmar, G.H. Mumm Champagne, North Sails, Spark e Medallia.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/vela-2650999213.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="i-numeri-della-vela-in-italia" data-post-id="2650999213" data-published-at="1615369491" data-use-pagination="False"> I numeri della vela in Italia iStock Per avere notizie delle prime competizioni sportive con le vele occorre andare molto indietro. Più precisamente al Secondo secolo avanti Cristo, quando - grazie alle narrazioni lasciateci in eredità dallo storico greco Pusania - nella città di Ermioni, nel Peloponneso, si organizzavano gare in onore al dio del vino Dioniso.Oggi la vela ricopre un ruolo ancora di rilievo nel mondo dello sport, grazie anche al suo evento principale, ovvero quell'America's Cup che si svolge ogni quattro anni e che affonda le sue radici quasi due secoli fa, nel 1851, anno in cui venne inaugurata la regata a livello internazionale con il nome di «Coppa delle cento ghinee», così denominata perché per costruirla erano necessarie 100 ghinee, la moneta d'oro inglese dell'epoca equivalente a 21 scellini.In Italia, Paese dalla grande tradizione marittima, la vela è una disciplina che per varie ragioni non genera numeri paragonabili agli sport della top 5 dei più praticati, ma dimostra comunque di avere un buon seguito. La Fiv - Federazione italiana vela - conta 112.706 tesserati e 735 circoli velici affiliati suddivisi in 15 zone periferiche. Come ogni altro sport, anche la vela ha dovuto fare i conti con gli effetti causati dalla pandemia, tanto che la Federvela nella scorsa estate, in occasione della riapertura dei circoli velici, ha lanciato una campagna dal titolo «Ritrova la bussola» per rilanciare tutto il movimento e promuovere ai giovani e alle famiglie i propri corsi di vela aperti a tutti. L'obiettivo della Federazione in questo momento storico è mantenere i numeri delle passate stagioni con oltre 40.000 allievi iscritti ai corsi federali.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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