
Alla Conferenza di Monaco, il vicepresidente Usa bastona l’Ue: «Aprite le porte ai clandestini e uccidete il libero pensiero».«Non abbiate paura dei vostri popoli». Conclude citando papa Giovanni Paolo II e in 23 minuti demolisce dieci anni di politiche socialiste dell’Unione Europea. Doveva arrivare un ragazzone di 41 anni dell’Ohio, oggi vicepresidente degli Stati Uniti, per svegliare il continente che dorme e si rifiuta di rientrare nella Storia. James David Vance prende la parola nel summit sulla Sicurezza a Monaco di Baviera e, come il ragazzino davanti al re nudo, punta il dito sulle degenerazioni dell’Europa in declino, «che ha abdicato ai valori fondamentali condivisi con gli Stati Uniti» come rappresentatività, libertà di espressione, rispetto per la voice of people, la voce della gente. E li ha sostituiti con la censura, l’appoggio alle migrazioni di massa, il dominio delle leadership.Il discorso è potente, si contrappone agli impalpabili balbettii di Ursula von der Leyen e manda in soffitta il wokismo come imperativo, sbarcato con la forza di un virus proprio dall’America bideniana. «Il maggiore nemico dell’Europa non è la Cina o la Russia ma è al suo interno. La minaccia arriva da voi stessi, è l’allontanamento della Gran Bretagna e dell’Europa dalla libertà di parola», scandisce Vance, che annuncia: «ora è arrivato un nuovo sceriffo in città» e riannoda il filo della memoria collettiva.«La Guerra Fredda ha messo i difensori della democrazia contro forze tiranniche che censuravano i dissidenti, che chiudevano le chiese, che annullavano le elezioni. Erano loro i buoni? Certamente no, e hanno perso. Hanno perso perché non hanno valutato la forza della libertà: di sorprendere, di sbagliare, di inventare, di costruire. Non si può imporre l’innovazione o la creatività, così come non si possono forzare le persone su cosa pensare, cosa sentire o cosa credere. Purtroppo, quando guardo l’Europa oggi, non mi è chiaro cosa sia successo ad alcuni dei vincitori della Guerra Fredda».J.D. Vance non teme di procurare la gastrite all’uditorio e scende nel dettaglio: «La censura in Europa è una minaccia più grave di Vladimir Putin». L’esempio riguarda ciò che è accaduto in Romania, dove le elezioni sono state annullate dopo la vittoria di un candidato filorusso senza che dall’Unione si sollevassero proteste. «Al contrario c’è stato un commissario europeo (il macroniano Thierry Breton, ndr) che in Tv è sembrato felice che il governo avesse azzerato un’intera elezione. E ha avvertito che una cosa simile potrebbe accadere anche in Germania. Queste dichiarazioni disinvolte e sprezzanti risultano scioccanti per le orecchie americane. Per anni ci è stato detto che tutto ciò che finanziamo e sosteniamo è in nome dei valori democratici. Tutto, dalla politica sull’Ucraina alla censura digitale, è presentato come una difesa della democrazia. Ma quando vediamo tribunali europei annullare elezioni e alti funzionari minacciare di annullarne altre, dobbiamo chiederci se stiamo rispettando standard sufficientemente elevati. Più che parlare di valori democratici, dobbiamo viverli».L’accusa si rivolge anche ai partiti tedeschi, che hanno deciso di alzare un cordone sanitario attorno ai nazionalisti di Afd in vista della tornata elettorale del 23 febbraio. Il numero due della Casa Bianca (che nel pomeriggio ha incontrato la leader Alice Weidel) risponde così: «In democrazia non c’è spazio per firewall, muri di fuoco. Per salvare la democrazia dovete rispettare quello che la gente vi dice, anche se non siete d’accordo. Se avete paura dei vostri popoli quando votano, allora non possiamo fare niente per voi». C’è spazio anche per i presunti condizionamenti social di hacker russi o di Tik Tok, autentici spaventapasseri delle élite continentali. «Se la vostra società democratica può essere distrutta da qualche migliaio di dollari di pubblicità sui social media, dovreste riflettere su quanto sia debole la vostra comprensione della volontà popolare».Lo spunto è utile per parlare della censura del pensiero non conformista. «Da cosa vi state difendendo?», si domanda il vicepresidente degli Stati Uniti. «Guardo a Bruxelles, dove i commissari UE vogliono chiudere i social durante i periodi di disordini contro i «contenuti odiosi». O in questo paese dove la polizia ha effettuato retate contro cittadini sospettati di avere postato commenti antifemministi. Guardo all’Inghilterra dove un fisioterapista è stato accusato dell’atroce crimine di avere pregato in silenzio fuori da una clinica abortista. O al governo scozzese che ha distribuito lettere ai cittadini avvertendoli che anche la preghiera all’interno delle case costituiva una violazione di legge. Temo che in Europa la libertà di parola e di culto sia in ritirata».Un tema chiave è l’immigrazione clandestina di massa. Ora la sensibilità americana è contraria alle politiche progressiste di Bruxelles. «Nessun elettore di questo continente si è recato alle urne per aprire le porte a milioni di immigrati non controllati. Sapete per cosa hanno votato? In Inghilterra per la Brexit. E in tutta Europa votano per leader politici che promettono di porre fine all’immigrazione fuori controllo. Le persone tengono alle loro case, ai loro figli, alla loro sicurezza, ai loro sogni. La gente non vuole essere educata dai governanti ma ascoltata. Quello che è successo qui a Monaco è terribile. Un richiedente asilo guida un’auto in mezzo alla folla e distrugge una comunità. Quanto dovremo subìre prima di cambiare rotta?».Quella di Vance è una lectio magistralis di democrazia ai tecnocrati che da anni parlano di libertà tentando di soffocare il dissenso. «La magia della democrazia non sta nelle belle istituzioni e nei vostri palazzi scintillanti, ma nella voce del popolo. Se la ascolti, hai più fiducia nel futuro perché la tua nazione è dietro di te e non contro di te». Finale con accenno ironico: «Se la democrazia americana è sopravvissuta a dieci anni di Greta Thunberg, quella europea può sopravvivere a qualche mese di Elon Musk». Proprio mister Tesla lancia su X l’acronimo «Mega», Make Europe Great Again. Al di là del marketing stellare, c’è un nuovo sceriffo in città. E si sente.
Zohran Mamdani (Ansa)
Nella religione musulmana, la «taqiyya» è una menzogna rivolta agli infedeli per conquistare il potere. Il neosindaco di New York ne ha fatto buon uso, associandosi al mondo Lgbt che, pur incompatibile col suo credo, mina dall’interno la società occidentale.
Le «promesse da marinaio» sono impegni che non vengono mantenuti. Il detto nasce dalle numerose promesse fatte da marinai ad altrettanto numerose donne: «Sì, certo, sei l’unica donna della mia vita; Sì, certo, ti sposo», salvo poi salire su una nave e sparire all’orizzonte. Ma anche promesse di infiniti Rosari, voti di castità, almeno di non bestemmiare, perlomeno non troppo, fatte durante uragani, tempeste e fortunali in cambio della salvezza, per essere subito dimenticate appena il mare si cheta. Anche le promesse elettorali fanno parte di questa categoria, per esempio le promesse con cui si diventa sindaco.
Ecco #DimmiLaVerità del 10 novembre 2025. Il deputato di Sud chiama Nord Francesco Gallo ci parla del progetto del Ponte sullo Stretto e di elezioni regionali.
Donald Trump (Ansa)
La Corte Suprema degli Stati Uniti si appresta a pronunciarsi sulla legittimità di una parte dei dazi, che sono stati imposti da Donald Trump: si tratterà di una decisione dalla portata storica.
Al centro del contenzioso sono finite le tariffe che il presidente americano ha comminato ai sensi dell’International Emergency Economic Powers Act (Ieepa). In tal senso, la questione riguarda i dazi imposti per il traffico di fentanyl e quelli che l’inquilino della Casa Bianca ha battezzato ad aprile come “reciproci”. È infatti contro queste tariffe che hanno fatto ricorso alcune aziende e una dozzina di Stati. E, finora, i tribunali di grado inferiore hanno dato torto alla Casa Bianca. I vari casi sono quindi stati accorpati dalla Corte Suprema che, a settembre, ha deciso di valutarli. E così, mercoledì scorso, i togati hanno ospitato il dibattimento sulla questione tra gli avvocati delle parti. Adesso, si attende la decisione finale, che non è tuttavia chiaro quando sarà emessa: solitamente, la Corte Suprema impiega dai tre ai sei mesi dal dibattimento per pronunciarsi. Non è tuttavia escluso che, vista la delicatezza e l’urgenza del dossier in esame, possa stavolta accelerare i tempi.






