2024-05-05
Oggi la scelta di fare il pastore può nascere anche dalla ribellione
Nel riquadro, Valentina Porcellana
Non sempre i giovani che affrontano questa vita lo fanno per tradizione familiare. Ne parla l’ultimo saggio di Valentina Porcellana: un viaggio nel mondo della montagna, tra studi antropologici ed esperienza diretta.Un romanzo può piacerci per lo stile di scrittura, talora per il linguaggio adottato dal traduttore, un saggio può rientrare nell’area semantica di uno dei nostri interessi, un libro può avere una bella copertina, una quarta o un’introduzione ben ponderate, manifestare un titolo che fa leva nella nostra variegata curiosità. Ma nonostante questo, alla prova della lettura, rimaniamo freddini, oppure dichiariamo: questo mi spiace ma non ce la faccio. Quante storie ho acquistato, o ricevuto, e alla prova della lettura ho abbandonato, senza progredire, senza capire, anzi senza voler capire?Un volume che in parte mi ha messo in difficoltà, e forse ci vuole poco, è stato scritto da Valentina Porcellana, un’antropologa piemontese molto seria e documentata; Meltemi ha da pochi giorni pubblicato nella collana Biblioteca il suo ultimo viaggio-ricerca, dal titolo molto suggestivo: In montagna non ci sono alberi. Sottotitolo: Esperienze di antropologia alpina. In copertina le fronde spoglie di un albero in un pratone, poco distante da un vasto bosco di montagna spoglio, forse una faggeta. Anzitutto vorrei comprendere la ragione del titolo: In montagna non ci sono alberi, ma che vuol dire? Per farlo bisogna sorbirsi le pagine di dettagliata autobiografia che inaugurano il saggio, una lucida analisi della ricca epopea individuale e familiare della nascente antropologa. E qui mi chiedo: ma perché gli autori della mia generazione hanno l’attitudine di ricostruire la propria esistenza nei libri che vanno imbastendo? E riflettendoci, contando, annoverando, in effetti… ci sono cascato anch’io scrivendo di dendrosofia. Mi vengono in mente svariati autori e autrici di avventura, natura, romanzieri, neanche a dirlo poeti e poetesse… forse siamo fatti così, ci piace raccontarci, ci piace misurarci. Mania? Forse anche. Ma allora un antropologo che di mestiere studia le storie delle persone e le racconta, a modo suo, che dovrebbe fare? Perché non dovrebbe mai misurarsi, confrontarsi, psicologizzarsi quale radice prima? E qui non trovo risposta. Però trovo la risposta alla prima domanda: il titolo. Lavorando ad un curioso dizionario giaglionese (patois) / italiano - e cosa dovrei dire io che sono bergamasco, avete mai provato a leggere un testo in bergamasc? - la Porcellana ha capito che non esiste un termine generico che indichi l’«albero», la pianta, ma ogni termine indica un albero specifico, una specie, con le sue funzioni ovviamente valide per l’uso che ne facevano e ne fanno gli abitanti che usano la lingua. E dunque è vero, da questo punto di vista, che in montagna non esistono alberi.Le ricerche di antropologia in ambito alpino fanno riferimenti a esperienze dirette dell’autrice, o a saggi di altri ricercatori e autori del settore. In diverse pagine mi sono sentito come uno di quegli antichi esploratori che visitavano un labirinto o, perché no, una vasta e intricata foresta vergine, mai documentata, mai disincagliata dalla sua antichità vorace. Ho provato a ricominciare varie volte ma mi sono spesso perduto. E allora ricomincio dall’indice: La prima montagna non si scorda mai, L’altra montagna, Studiare le montagne. Bei titoli… e poi? Salire sul campo, Il ritorno a Giaglione. O, ecco un punto, Giaglione, l’ho visitata diverse volte andando a trovare il grande castagno monumentale, fautore di splendidi marroni che ho riportato a casa in diversi mesi di novembre, per scottarli e divorarli con gran gusto. Ma questa Giaglione è tutta diversa, scrivono di ricerche di antropologi, di documenti che non andrò a leggere e che per capire andrebbero letti. Del ruolo della donna nel complesso ciclo festivo locale. Seguono varie citazioni.Allora faccio quel che ogni tanto faccio, anche quando sono in libreria e mi metto a sfogliare libri a caso, o quasi: apro e leggo quel che capita. Pagina 147: Alta Valtellina, una e molte. Una terra che ho visitato più volte, non posso dire di conoscerla a fondo, certamente, però vediamo dove l’autrice mi accompagna. Ragionare sul futuro della valle e sul termine «comunità». Bormio ma non solo, l’avvento del turismo di massa, le conseguenze, le difficoltà del Parco dello Stelvio. Forte è l’identità di chi appartiene ad una «famiglia del posto», ovviamente, spesso anche proprietari di terreni, strutture, curatori di servizi, protagonisti della vita ordinaria dei comuni. L’associazionismo è un’altra forte radice, attivissima, ma nel corso delle ultime stagioni si assiste una sorta di «polverizzazione» poiché ogni associazione cura il proprio orticello e poco altro. D’altronde l’economia non è sempre travolgente, gli anni di Covid hanno picchiato duro sull’economia montana, condizionando anche le abitudini di coloro che salgono alle terre alte magari per un giorno solo, un mordi e fuggi che ha lasciato un segno e ha debilitato chi lavora ad esempio nel settore dell’ospitalità. Bene, qui riesco a seguire i discorsi, meno quando i riferimenti sono tutti interni alla disciplina, più quando si resta sul pratico, sul concreto. A seguire c’è un capitolo dedicato ai pastori, Sulle tracce dei pastori, un tema che in effetti mi interessa molto. Si fa riferimento ad un convegno avvenuto a Torino, nel 2011 - ma allora i convegni servono a qualcosa… - dal titolo Di chi sono le alpi?, un titolo che apre ovviamente a molte discussioni. I panorami sono quelli dietro casa mia, nelle valli piemontesi, e rivedo anche l’amica Marzia Verona, pastora e autrice di svariati titoli dedicati alla pastorizia. Ovviamente la dura vita del montanaro, e la dura vita di sacrificio e passione di chi è, per tradizione familiare o per scelta di rottura, neopastore, le ore che non conti, i giorni che sono dedicati interamente alla cura degli animali, ma anche le novità, come una digitalizzazione delle malghe, dei rifugi, degli alpeggi, con giovani che non fanno come un tempo solo il pastore, ma cercano di interagire, comunicare, anche di attrarre nuovi acquirenti e turisti. Un panorama molto vasto e variegato, che in parte è noto come dicevo grazie ai libri di Marzia ma penso anche a quel documentario di un altro amico, Manuele Cecconello, Sentire l’aria, nel quale si raccontava la storia di un giovane pastore, Andrea, della sua scelta di diventare pastore nonostante le opportunità disponibili per i suoi coetanei. Certo, i problemi sono molti, le difficoltà talora sovrumane, eppure. Ovviamente ricchissima la bibliografia, aspetto decisivo in un libro anzitutto da studiosi come questo.
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