2023-01-29
L'ultima beffa dei vaccini Covid. Non ci servono, li strapaghiamo
Indagine Reuters: in Europa continueremo ad acquistare dosi da Pfizer & C. Ma nonostante la domanda sia in calo, i prezzi del farmaco saliranno. Perché gli accordi (segretati) garantiscono alle case ricavi certi.Integrando status vaccinale e contagio pregresso, i nuovi bollettini offuscano il reale impatto delle iniezioni.Lo speciale contiene due articoli.Se non fosse che il conto lo pagano i cittadini dell’Unione europea con le loro tasse, l’ «affare» stipulato tra Ursula von der Leyen in rappresentanza della Commissione Ue e Albert Bourla, amministratore delegato di Pfizer, per la vendita dei vaccini anti Covid in Europa ricorda molto il raggiro della vendita del Colosseo magistralmente raccontato nel film Totò Truffa. Stando a quanto riportato da Reuters, l’Unione europea potrebbe pagare più soldi per avere meno dosi di vaccino. Possibile che, pur calando la domanda, il prezzo salga? Nell’Ue di Ursula von der Leyen, sì. Secondo i colloqui riservati tenuti tra le parti, sul tavolo ci potrebbe essere anche l’estensione del termine per la consegna alla seconda metà del 2024. È complicato raccontare i dettagli del maxi accordo stretto tra l’Ue e Pfizer, perché - a dispetto degli appelli della Corte dei conti europea, e delle sollecitazioni del Parlamento europeo a una maggiore trasparenza - i contratti non sono mai stati pubblicati. O meglio: Ursula von der Leyen ha reso pubblico l’accordo contrattuale con intere pagine sbianchettate proprio nei passaggi cruciali, quelli in cui erano definiti prezzo, scadenze e postille che Pfizer era riuscita a strappare all’Ue. Ma le notizie filtrate confermano ciò che nei mesi scorsi era stato denunciato dai membri della commissione Covid del Parlamento Ue, in particolare dall’europarlamentare rumeno Cristian Terhes, da quello olandese Rob Roos (che mise in difficoltà la rappresentante Pfizer Janine Small, costretta ad ammettere che l’azienda non aveva eseguito trial sulla protezione dal contagio), dalla francese Virginie Joron e dall’italiana Francesca Donato. Anche per questo, a ottobre 2022, la Procura dell’Ue ha confermato di aver avviato un’indagine sull’acquisizione dei vaccini.Nel maggio 2021, la funzionaria incaricata di negoziare per conto della Commissione Ue, l’italiana Sandra Gallina, ha sottoscritto un accordo con Pfizer e Biontech, autorizzato da Ursula von der Leyen, per acquistare 900 milioni di dosi, con un’opzione per ulteriori 900 milioni di dosi, entro la fine del 2023. Circa la metà, o poco più, dei primi 900 milioni di dosi previste in quel contratto non sono state però consegnate, perché la domanda, nel 2022, è diminuita. Anche il Mago Otelma, in effetti, avrebbe saputo prevedere che, dopo un anno e mezzo di pandemia, il virus sarebbe diventato endemico e meno letale grazie alle varianti, e l’impulso alla vaccinazione meno urgente. Intorno a metà dicembre del 2021, quando è arrivata Omicron, le somministrazioni hanno registrato un’impennata, che si è rapidamente esaurita nel giro di un mese. Da metà gennaio 2022, il calo delle vaccinazioni in Europa è stato più o meno costante. È per questo motivo che, a giugno del 2022, una coalizione di dieci Paesi membri dell’Ue (Bulgaria, Croazia, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania, Slovacchia e Slovenia) ha preso carta e penna e scritto a Ursula von der Leyen comunicando che essi non avrebbero acquisito più nuove dosi: «C’è un’eccedenza significativa di vaccini, c’è troppo spreco di risorse pubbliche». Lo stesso neoministro Orazio Schillaci, parlando al Consiglio dei ministri europei della salute che si è tenuto a Bruxelles il 9 dicembre, aveva suonato la sveglia sulle eccedenze: «Reputo necessaria la rinegoziazione dei contratti: un’allocazione non efficiente della spesa, oltre a rappresentare uno spreco in sé, sarebbe difficilmente compresa dai cittadini». Nella stessa occasione, la commissaria Ue per la Salute, Stella Kyriakides, aveva piagnucolato contro le aziende che «dovrebbero mostrare flessibilità», ma erano lacrime di coccodrillo: con ogni probabilità, l’Ue ha negoziato male e si trova adesso con le mani legate, con buona pace dei cittadini europei che hanno pagato gli errori di valutazione della Commissione Ue con le loro tasse. L’esito dei negoziati e le dichiarazioni delle aziende non promettono bene. Sandra Gallina ha lavorato talmente bene che oggi per avere meno dosi ci troviamo a pagare di più. Biontech ha diplomaticamente dichiarato che continuerà a operare «per trovare soluzioni pragmatiche nel rispetto dei principi fondamentali concordati nel contratto». Un modo come un altro per lasciar intendere che i margini di manovra sono pochi. Quanto a Pfizer, pur dichiarando che essa intende «soddisfare le preoccupazioni degli Stati membri», l’azienda ha involontariamente confermato che ogni Paese ha negoziato un prezzo a dose diverso. È verosimile che l’Italia, acquistando 321 milioni di dosi, di cui 140 milioni non somministrate, si trovi a pagare un conto salato. Con un prezzo a dose fissato, nel 2021, a 19,50 euro, l’importo che i governi europei sarebbero contrattualmente obbligati a pagare quest’anno varia tra i 7,8 miliardi e i 9,7 miliardi di euro. Nessuna notizia su quale sarà il prezzo rinegoziato, senza contare che negli Usa Pfizer spera di riuscire a vendere i vaccini dai 110 ai 130 dollari a dose. Sarà forse per questo che le autorità sanitarie continuano a raccomandare la vaccinazione anche a chi non ne ha bisogno e anche se il virus è ormai endemico: non sia mai che a qualcuno venga in mente di chiamarle a rispondere di tutto il denaro pubblico sprecato negli ultimi due anni.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/vaccini-covid-non-servono-strapaghiamo-2659323976.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="per-lodare-le-punture-liss-confonde-le-acque" data-post-id="2659323976" data-published-at="1674942464" data-use-pagination="False"> Per lodare le punture l’Iss confonde le acque Il report dell’Iss cambia ancora. Sul sito di Epicentro si legge che, d’ora in poi, i dati sull’efficacia dei vaccini «saranno presentati in un documento separato che avrà cadenza mensile». Il motivo è sensato: poiché ormai moltissimi italiani hanno preso il Covid, è diventato difficile «stimare correttamente l’impatto della sola vaccinazione disgiunto dall’immunità conferita dall’infezione pregressa». Le conclusioni cui giunge l’indagine sono quelle che hanno affollato i comunicati stampa già da venerdì: «In generale, in tutte le fasce di età, si osserva un aumento del rischio di infezione per gli individui non vaccinati e/o senza pregressa diagnosi». Quanto alla malattia severa, i pericoli crescono «all’aumentare dell’età, a esclusione della fascia 0-4 anni». In generale, «il rischio di malattia severa per la popolazione con età maggiore di 12 anni e senza una diagnosi pregressa di infezione da Sars-Cov-2 è approssimativamente otto volte più alto nei non vaccinati rispetto ai vaccinati». Il senso del ragionamento è che l’immunità ibrida, cioè la mescolanza tra vaccinazioni e infezioni, è quella più efficace. E ciò prova che, mancato l’obiettivo della sterilizzazione, i medicinali a mRna sono serviti essenzialmente da terapia preventiva. Non è poco, considerato come stavamo nel 2020. Ma non è nemmeno un miracolo. Dopodiché, è difficile resistere al sospetto che, per l’ansia di promuovere i prodigi dei vaccini, l’istituto guidato da Silvio Brusaferro abbia confuso un po’ le acque. Sorvoliamo sul fatto che i report saranno basati su un cruscotto statistico superato: quello appena uscito, ad esempio, fa riferimento a ottobre. Partiamo piuttosto dalle cose che mancano nel documento. 1 Da nessuna parte si legge che il numero reale di infezioni, in una fase in cui chi si «denuncia» è una ristretta minoranza, potrebbe essere ampiamente sottostimato. Tuttavia, nei vecchi bollettini di Epicentro, la circostanza veniva addotta per giustificare l’incidenza più elevata dei contagi tra i vaccinati a vario titolo. Com’è possibile che lo stesso elemento, che rendeva inaccurata la precedente stima, adesso non sia più preso in considerazione? 2 Questo ci porta alla questione del tasso di incidenza delle infezioni. Secondo l’Iss, «aver ricevuto almeno una dose di vaccino e una diagnosi di infezione fra i 90 e 180 giorni precedenti riduce di due volte il rischio di infezione rispetto al non essersi mai vaccinati e aver avuto una diagnosi di infezione tra i 90 e 180 giorni precedenti». Ma dai grafici che tenevano in considerazione soltanto lo status vaccinale, risultava che i vaccinati si contagiavano di più dei non vaccinati, con due eccezioni: gli over 60 con quarta dose da meno di quattro mesi e tutti gli over 80 inoculati. Com’è possibile che, nella nuova elaborazione, il vantaggio per i vaccinati sia ravvisabile «indipendentemente dalla fascia di età»? È l’effetto, appunto, di aver combinato status vaccinale ed eventuale infezione pregressa. L’immunità ibrida è quella che funziona di più? Allora, bisognerà ammettere che il vero game changer non sono stati i farmaci a mRna in sé, bensì la circolazione del Covid in una popolazione già in parte protetta grazie alle inoculazioni. Per lodare il vaccino è legittimo sfruttare il mix tra vaccino e infezione? 3 Combinare il fattore puntura e il fattore contagio condiziona soprattutto la possibilità di comparare il vantaggio relativo offerto dai booster. Un dettaglio che, al contrario, chiarivano i bollettini diffusi fino alla settimana scorsa. Era istruttiva la tabella sugli ultraottantenni, tra i quali figuravano quadridosati da oltre e da meno di quattro mesi. Si notava così che, passati 120 giorni, la quarta dose proteggeva dal ricovero, dalla terapia intensiva e dal decesso come, se non peggio, della terza. E il dato era utile per aprire una discussione: è logico andare avanti di richiamo in richiamo, ogni quattro mesi? Oppure è ora di concentrarsi sulle cure precoci dei soggetti che, nonostante siano vaccinati, restano più esposti al Covid grave? 4 L’Iss continua a ignorare il pericolo relativo di malattia grave e morte nelle varie categorie anagrafiche, in rapporto agli effetti avversi delle inoculazioni. Non è granché importante che «in tutte le classi di età sopra i 12 anni» si osservi «una tendenza alla riduzione del rischio di malattia Covid-19 severa associato alla vaccinazione». Vivaddio: il vaccino protegge da ricoveri e decessi. Ci mancava che non lo facesse. Ma per stabilire se sia opportuno vaccinarsi, bisogna soppesare rischi e benefici degli shot: che probabilità ha un ragazzino di 20 anni di infettarsi e di finire intubato? In che misura limiterà tale pericolo vaccinandosi? E il contenimento del pericolo sarà compensato dalla possibilità che incorra in una reazione grave al farmaco? Messa diversamente: quante dosi andranno somministrate per prevenire un’ospedalizzazione o una morte in una specifica classe d’età? E ogni quante dosi si verificherà un ricovero o un decesso a causa di un effetto collaterale? Ps: la «tendenza alla riduzione del rischio» grazie ai vaccini, dice l’Iss, è ravvisabile dai 12 anni in su. Bene. Chi va a bussare ai pediatri che terrorizzavano i genitori, per rifilare le dosi anche ai bambini?
Il Gran Premio d'Italia di Formula 1 a Monza il 3 settembre 1950 (Getty Images)
Elbano De Nuccio, presidente dei commercialisti (Imagoeconomica)
Pier Silvio Berlusconi (Ansa)