
Nei verbali originali delle sue deposizioni in tribunale Giuliano Amato aveva già spinto la tesi dell’esplosione esterna per poi citare «sensazioni» e una «campagna giornalistica». Giuliano Amato l’11 dicembre 2001, sentito nel processo penale in corso a Roma contro alcuni alti ufficiali dell’Aeronautica accusati di altro tradimento, rispondendo alle domande racconta per la prima volta in un’aula di tribunale la sua versione sulla strage di Ustica. Sfoggiò subito le sue doti di giocoliere delle parole. All’epoca l’allora senatore, che si è occupato per la prima volta della vicenda nel 1986 (quando era sottosegretario alla presidenza del Consiglio durante il governo Craxi), si è già convinto che il Dc9 sia stato abbattuto da un missile e lo racconta, insieme alle divergenze di opinioni ai tempi in cui era a Palazzo Chigi, tra lui e l’ammiraglio Fulvio Martini, direttore del Sismi dal 1984 al 1991 sostenitore della tesi dell’esplosione interna. Amato spiega che non erano stati certo i servizi a convincerlo dell’ipotesi del missile, che anzi avevano provato quasi a trarlo in inganno, ma che ci era arrivato quasi da autodidatta: «No, io parlando con lui e parlandogli delle ipotesi che mi parevano prevalenti sulla tragedia, quali mi risultavano o io leggevo prevalentemente dalla relazione Luzzatti, io come dimostrano i miei successivi interventi in Parlamento, ritenevo che fossero prevalenti gli elementi che portavano alla esplosione di fonte esterna, e quindi al missile, mentre Martini propendeva per la esplosione di fonte interna» Poi, rispondendo alle domande, l’ex premier spiega come si convinse della tesi del missile partendo da un documento ambiguo: «Fui io che nella lettura degli elementi che venivano apportati dissi che nonostante questa conclusione assolutamente aperta […] a me pareva che gli elementi nel loro insieme portassero oggettivamente verso il missile, ma io attribuii a me stesso lettore questa conclusione, non alle conclusioni che erano dal punto di vista delle parole usate, assolutamente aperte tra le due ipotesi». E quando uno dei difensori degli imputati chiede quali elementi lo avessero convinto della tesi del missile, Amato glissa rimandando a quanto già detto in passato: «Le indicai nella mia risposta alla Camera, uno era che mi colpì molto era il fatto che c’erano frammenti del carrello, se non ricordo male addirittura nel corpo di una vittima e le argomentazioni che venivano svolte dalla Commissione Luzzatti inducevano a concludere che una bomba che esplode all’interno non produce il varco che consente al carrello di, sia pure a pezzi, di penetrare dentro la cabina passeggeri che evenienza che sembrava spiegabile più ragionevolmente con una fonte esterna di esplosione». Inoltre, secondo la sua versione, «non c’erano su nessuno dei corpi trovati delle tracce di combustione o altro che in genere sono prodotte da una esplosione interna». Poi Amato, sollecitato da un difensore, legge, sintetizzandolo, un documento ricevuto dal Sismi: «Si è scatenata una campagna giornalistica, viene abilmente adombrata una volontà di insabbiamento, abbattuto da un missile... la compagna giornalistica...».A questo punto si lancia quasi in un atto di accusa nei confronti dei nostri servizi: «Sì insomma è il solito appunto del Sismi su questo argomento, insomma io appunto avevo allora questa sensazione che io propendevo per il missile e quanto più io propendevo per il missile, e tanto più magari mi arrivavano appunti con i quali mi si faceva in qualche modo adombrare l’ipotesi che io stavo cadendo vittima di una campagna giornalistica». A fargli pressioni sarebbe stato proprio Martini: «Non c’è assolutamente nessun elemento di fatto in una cosa del genere, ci sono delle opinioni espresse da chi ha scritto l’appunto, che poi mi è stato mandato a firma Martini, […] che era una persona onesta, e mi ha sempre detto che lui riteneva di avere forti dubbi sull’ipotesi del missile, e poi avvalorava quello che mi diceva con appunti fatti dai suoi uffici dove con minor garbo si attribuiva l’opinione opposta a quella di chi scriveva a compagne giornalistiche, è un’antica tecnica questa». E quando l’avvocato commenta affermando che lo «tenevano sempre informato», delle «loro attività in relazione a questo evento», Amato aveva chiosato sarcastico: «Beh, delle loro opinioni in relazione a questo evento, qui non vedo traccia di attività».Infine, sarebbe stato ancora Martini a prospettargli, per rafforzare la tesi dell’esplosione interna, «anche l’ipotesi della bombola dei subacquei che poi la presenza del T4 sui pezzi di relitto ritengo abbia portato ad escludere, ma cercava di sottolinearmi gli elementi a favore della esplosione interna». Solo in un’occasione Martini sembrò tradire sospetti sui francesi, a proposito dell’affidamento del recupero del relitto dell’aereo da parte di una società transalpina «frequentata dal vecchio Cousteau (Jacques- Yves, ndr) che era un noto personaggio di immersioni, il quale era notoriamente legato ai Servizi francesi», ma poco dopo «arrivò una seconda lettera di Martini, […] in cui questi dichiarava che i dubbi manifestati nella precedente lettera in realtà non avevano fondamento e che l’Ifremer era senz’altro affidabile».
Il neo sindaco di New York Zohran Mamdani (Ansa)
Il sindaco di New York non è un paladino dei poveri e porta idee che allontanano sempre più i colletti blu. E spaccano l’Asinello.
La vulgata giornalistica italiana sta ripetendo che, oltre a essere uno «schiaffo» a Donald Trump, la vittoria di Zohran Mamdani a New York rappresenterebbe una buona notizia per i diritti sociali. Ieri, Avvenire ha, per esempio, parlato in prima pagina di una «svolta sociale», per poi sottolineare le proposte programmatiche del vincitore: dagli autobus gratuiti al congelamento degli affitti. In un editoriale, la stessa testata ha preconizzato un «laboratorio politico interessante», sempre enfatizzando la questione sociale che Mamdani incarnerebbe.
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 7 novembre con Carlo Cambi
Il luogo dell'accoltellamento a Milano. Nel riquadro, Vincenzo Lanni (Ansa)
Nei principali Paesi europei, per essere riconosciuto «pericoloso» basta la segnalazione di un medico. Qui invece devi prima commettere un delitto. E pure in questo caso non è detto che una struttura ti accolga.
Vincenzo Lanni, l’accoltellatore di Milano, aveva già colpito. Da condannato era stato messo alla Rems, la residenza per le misure di sicurezza, poi si era sottoposto a un percorso in comunità. Nella comunità però avevano giudicato che era violento, pericoloso. E lo avevano allontanato. Ma allontanato dove? Forse che qualcuno si è preso cura di Lanni, una volta saputo che l’uomo era in uno stato di abbandono, libero e evidentemente pericoloso (perché se era pericoloso in un contesto protetto e familiare come quello della comunità, tanto più lo sarebbe stato una volta lasciato libero e senza un riparo)?
Ansa
Dimenticata la «sensibilità istituzionale» che mise al riparo l’Expo dalle inchieste: ora non c’è Renzi ma Meloni e il gip vuole mettere sotto accusa Milano-Cortina. Mentre i colleghi danno l’assalto finale al progetto Albania.
Non siamo più nel 2015, quando Matteo Renzi poteva ringraziare la Procura di Milano per «aver gestito la vicenda dell’Expo con sensibilità istituzionale», ovvero per aver evitato che le indagini sull’esposizione lombarda creassero problemi o ritardi alla manifestazione. All’epoca, con una mossa a sorpresa dall’effetto immediato, in Procura fu creata l’Area omogenea Expo 2015, un’avocazione che tagliò fuori tutti i pm, riservando al titolare dell’ufficio ogni decisione in materia.






