2021-03-31
Gli Usa schierano divisioni di militari influencer
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U.S. Air Force photo by J.M. Eddins Jr.
Nel febbraio scorso la Cina aveva bloccato la Bbc per la diffusione di presunte false notizie sullo stato della pandemia nella zona di Xinjiang, mentre sul fronte americano e australiano erano stati bloccati siti che riportavano aggressioni occidentali alle flottiglie cinesi operanti nel Pacifico.Probabilmente i contagi e le scaramucce tra le marinerie ci saranno anche stati, ma è noto che se sono in corso guerre fredde (o meno fredde), interferenze sulle grandi campagne elettorali o tensioni internazionali, la guerra delle informazioni c'è ed è da sempre parte dell'arte militare.Ma da poco più di vent'anni a oggi, e soprattutto nell'ultimo decennio, con l'affermazione dei social network su base globale, il fenomeno è letteralmente esploso, e se un tempo si potevano soltanto ascoltare le trasmissioni di radio appartenenti a una fazione o all'altra, raccolte e rilanciate da stazioni compiacenti, oppure disturbate da quelle avversarie, ora il veicolo principale usato per divulgare false informazioni è internet. Ecco quindi che il Cyber Command Usa sta operando sia per sorvegliare i flussi di dati, sia la presenza di parole chiave o software generatori di notizie che costituiscono il cosiddetto «linguaggio del dominio». Lo fanno sia per impedire che talune fonti possano arrivare a fare falsa informazione sui media più consultati negli Usa, sia per rintracciare e neutralizzare queste fonti. Per farlo il Comando unico per le operazioni speciali della Difesa Usa (Jso) ha creato una task-force nella regione del Pacifico che lavora, insieme con gli alleati, al contrasto delle operazioni di intelligence cinesi. La chiamano forza indo-pacifica e si concentrerà sulla scoperta delle operazioni d'informazione condotte da Pechino per influenzare gli equilibri in quel grande teatro geopolitico che è l'Oceania. L'ultima preoccupazione questa volta è la disinformazione grazie alla quale i cinesi comprano il consenso, e quindi il diritto, di sfruttare sempre più oceano in cambio di brevi e spesso scostanti investimenti in denaro presso gli stati poveri dell'area, giocando addirittura a pubblicare news che ricordano le invasioni degli arcipelaghi avvenute durante la seconda guerra mondiale. Il generale Richard Clarke, comandante del Jso, davanti al Comitato per i servizi armati ha dichiarato: «La nostra squadra è pronta a lavorare con tutti i partner che in questa regione la pensano allo stesso modo, siamo in grado di reprimere parte della disinformazione che la Cina semina continuamente e grazie alla quale persegue una politica di crescente sfruttamento delle risorse, diffondendo notizie che seminano caos, generano dubbi e confusione».Christopher Maier, assistente segretario alla Difesa per le operazioni speciali e i conflitti cosiddetti a «bassa intensità», durante un'udienza della sottocommissione per i Servizi armati della Camera Usa avvenuta all'inizio del mese di marzo aveva dichiarato: «Da sempre le campagne di disinformazione e propaganda rappresentano uno dei grandi problemi per gli Stati Uniti, l'ambiente informativo di oggi offre a Russia, Cina e altre nazioni l'accesso in tempo reale a un pubblico globale e nel contesto del Pacifico hanno il vantaggio della prima mossa, dunque inondano l'ambiente delle informazioni con notizie manipolate basate su eventi credibili, inserendovi elementi ingannevoli accuratamente predisposti. Il risultato è che questi attori ottengono una leva fertile per minacciare il nostro interesse». Maier ha spiegato anche che il Dipartimento della Difesa sta orientando i suoi sforzi per combattere la disinformazione operando in quattro modi differenti: contrastare la propaganda degli avversari, proteggere le proprie forze, dimostrare la disinformazione da parte degli avversari e interrompere, scoraggiandole, le capacità d'influenza avversarie.Clarke sostiene che sia necessario difendere gli interessi Usa avvicinandosi il più possibile agli avversari attraverso i nodi delle reti di comunicazione al di fuori degli Stati Uniti, prima che i contenuti ritenuti fuorvianti possano essere divulgati e amplificati, prevenendo al contempo qualsiasi operazione di attacco informatico e d'influenza straniera. Ma il concetto di difesa preventiva non è applicabile solo al cyberspazio e il generale nella sua relazione ha descritto la necessità di ampliare le forze per le operazioni speciali, in particolare i professionisti delle operazioni di supporto alle informazioni militari che lavorano a stretto contatto con le ambasciate di tutto il mondo. Il suo collega, generale Paul Nakasone, a capo del Cyber Command, giovedì 25 marzo ha spiegato ai senatori americani di aver già condotto una dozzina di operazioni per scongiurare minacce di influenza straniera prima delle elezioni 2020. Ecco perché serviva la costituzione di un Centro per la guerra alla disinformazione all'interno del Jso per poter creare e sparare «colpi di artiglieria d'influenza» ma anche rilevare l'attività degli avversari in tutto il mondo e trasmettere rapidamente tali informazioni a coloro che ne hanno bisogno. E mentre viene fatto tutto questo, i militari dovranno anche evitare che gli aggressori possano aggirare le leggi e le politiche nazionali Usa provando a utilizzare la stessa infrastruttura statunitense per ordire i loro tentativi. Sebbene rispondere alle operazioni di disinformazione o di influenza sia imperativo, se le contromisure non si rivelassero sufficientemente efficaci le risposte a talune affermazioni potrebbero essere portate dal cyber spazio sul piano diplomatico e quindi su quello finanziario, senza poter escludere eventuali azioni militari nei confronti di centri infornatici nevralgici. Se un tempo bloccare una rotta mercantile poteva danneggiare l'economia di una nazione, oggi bloccare una parte del web sulla quale transitano informazioni causa danni ben maggiori.
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