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2021-03-31
Gli Usa schierano divisioni di militari influencer
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U.S. Air Force photo by J.M. Eddins Jr.
Probabilmente i contagi e le scaramucce tra le marinerie ci saranno anche stati, ma è noto che se sono in corso guerre fredde (o meno fredde), interferenze sulle grandi campagne elettorali o tensioni internazionali, la guerra delle informazioni c'è ed è da sempre parte dell'arte militare.
Ma da poco più di vent'anni a oggi, e soprattutto nell'ultimo decennio, con l'affermazione dei social network su base globale, il fenomeno è letteralmente esploso, e se un tempo si potevano soltanto ascoltare le trasmissioni di radio appartenenti a una fazione o all'altra, raccolte e rilanciate da stazioni compiacenti, oppure disturbate da quelle avversarie, ora il veicolo principale usato per divulgare false informazioni è internet. Ecco quindi che il Cyber Command Usa sta operando sia per sorvegliare i flussi di dati, sia la presenza di parole chiave o software generatori di notizie che costituiscono il cosiddetto «linguaggio del dominio». Lo fanno sia per impedire che talune fonti possano arrivare a fare falsa informazione sui media più consultati negli Usa, sia per rintracciare e neutralizzare queste fonti. Per farlo il Comando unico per le operazioni speciali della Difesa Usa (Jso) ha creato una task-force nella regione del Pacifico che lavora, insieme con gli alleati, al contrasto delle operazioni di intelligence cinesi. La chiamano forza indo-pacifica e si concentrerà sulla scoperta delle operazioni d'informazione condotte da Pechino per influenzare gli equilibri in quel grande teatro geopolitico che è l'Oceania. L'ultima preoccupazione questa volta è la disinformazione grazie alla quale i cinesi comprano il consenso, e quindi il diritto, di sfruttare sempre più oceano in cambio di brevi e spesso scostanti investimenti in denaro presso gli stati poveri dell'area, giocando addirittura a pubblicare news che ricordano le invasioni degli arcipelaghi avvenute durante la seconda guerra mondiale. Il generale Richard Clarke, comandante del Jso, davanti al Comitato per i servizi armati ha dichiarato: «La nostra squadra è pronta a lavorare con tutti i partner che in questa regione la pensano allo stesso modo, siamo in grado di reprimere parte della disinformazione che la Cina semina continuamente e grazie alla quale persegue una politica di crescente sfruttamento delle risorse, diffondendo notizie che seminano caos, generano dubbi e confusione».
Christopher Maier, assistente segretario alla Difesa per le operazioni speciali e i conflitti cosiddetti a «bassa intensità», durante un'udienza della sottocommissione per i Servizi armati della Camera Usa avvenuta all'inizio del mese di marzo aveva dichiarato: «Da sempre le campagne di disinformazione e propaganda rappresentano uno dei grandi problemi per gli Stati Uniti, l'ambiente informativo di oggi offre a Russia, Cina e altre nazioni l'accesso in tempo reale a un pubblico globale e nel contesto del Pacifico hanno il vantaggio della prima mossa, dunque inondano l'ambiente delle informazioni con notizie manipolate basate su eventi credibili, inserendovi elementi ingannevoli accuratamente predisposti. Il risultato è che questi attori ottengono una leva fertile per minacciare il nostro interesse». Maier ha spiegato anche che il Dipartimento della Difesa sta orientando i suoi sforzi per combattere la disinformazione operando in quattro modi differenti: contrastare la propaganda degli avversari, proteggere le proprie forze, dimostrare la disinformazione da parte degli avversari e interrompere, scoraggiandole, le capacità d'influenza avversarie.
Clarke sostiene che sia necessario difendere gli interessi Usa avvicinandosi il più possibile agli avversari attraverso i nodi delle reti di comunicazione al di fuori degli Stati Uniti, prima che i contenuti ritenuti fuorvianti possano essere divulgati e amplificati, prevenendo al contempo qualsiasi operazione di attacco informatico e d'influenza straniera. Ma il concetto di difesa preventiva non è applicabile solo al cyberspazio e il generale nella sua relazione ha descritto la necessità di ampliare le forze per le operazioni speciali, in particolare i professionisti delle operazioni di supporto alle informazioni militari che lavorano a stretto contatto con le ambasciate di tutto il mondo. Il suo collega, generale Paul Nakasone, a capo del Cyber Command, giovedì 25 marzo ha spiegato ai senatori americani di aver già condotto una dozzina di operazioni per scongiurare minacce di influenza straniera prima delle elezioni 2020. Ecco perché serviva la costituzione di un Centro per la guerra alla disinformazione all'interno del Jso per poter creare e sparare «colpi di artiglieria d'influenza» ma anche rilevare l'attività degli avversari in tutto il mondo e trasmettere rapidamente tali informazioni a coloro che ne hanno bisogno. E mentre viene fatto tutto questo, i militari dovranno anche evitare che gli aggressori possano aggirare le leggi e le politiche nazionali Usa provando a utilizzare la stessa infrastruttura statunitense per ordire i loro tentativi. Sebbene rispondere alle operazioni di disinformazione o di influenza sia imperativo, se le contromisure non si rivelassero sufficientemente efficaci le risposte a talune affermazioni potrebbero essere portate dal cyber spazio sul piano diplomatico e quindi su quello finanziario, senza poter escludere eventuali azioni militari nei confronti di centri infornatici nevralgici. Se un tempo bloccare una rotta mercantile poteva danneggiare l'economia di una nazione, oggi bloccare una parte del web sulla quale transitano informazioni causa danni ben maggiori.
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Nel febbraio scorso la Cina aveva bloccato la Bbc per la diffusione di presunte false notizie sullo stato della pandemia nella zona di Xinjiang, mentre sul fronte americano e australiano erano stati bloccati siti che riportavano aggressioni occidentali alle flottiglie cinesi operanti nel Pacifico.Probabilmente i contagi e le scaramucce tra le marinerie ci saranno anche stati, ma è noto che se sono in corso guerre fredde (o meno fredde), interferenze sulle grandi campagne elettorali o tensioni internazionali, la guerra delle informazioni c'è ed è da sempre parte dell'arte militare.Ma da poco più di vent'anni a oggi, e soprattutto nell'ultimo decennio, con l'affermazione dei social network su base globale, il fenomeno è letteralmente esploso, e se un tempo si potevano soltanto ascoltare le trasmissioni di radio appartenenti a una fazione o all'altra, raccolte e rilanciate da stazioni compiacenti, oppure disturbate da quelle avversarie, ora il veicolo principale usato per divulgare false informazioni è internet. Ecco quindi che il Cyber Command Usa sta operando sia per sorvegliare i flussi di dati, sia la presenza di parole chiave o software generatori di notizie che costituiscono il cosiddetto «linguaggio del dominio». Lo fanno sia per impedire che talune fonti possano arrivare a fare falsa informazione sui media più consultati negli Usa, sia per rintracciare e neutralizzare queste fonti. Per farlo il Comando unico per le operazioni speciali della Difesa Usa (Jso) ha creato una task-force nella regione del Pacifico che lavora, insieme con gli alleati, al contrasto delle operazioni di intelligence cinesi. La chiamano forza indo-pacifica e si concentrerà sulla scoperta delle operazioni d'informazione condotte da Pechino per influenzare gli equilibri in quel grande teatro geopolitico che è l'Oceania. L'ultima preoccupazione questa volta è la disinformazione grazie alla quale i cinesi comprano il consenso, e quindi il diritto, di sfruttare sempre più oceano in cambio di brevi e spesso scostanti investimenti in denaro presso gli stati poveri dell'area, giocando addirittura a pubblicare news che ricordano le invasioni degli arcipelaghi avvenute durante la seconda guerra mondiale. Il generale Richard Clarke, comandante del Jso, davanti al Comitato per i servizi armati ha dichiarato: «La nostra squadra è pronta a lavorare con tutti i partner che in questa regione la pensano allo stesso modo, siamo in grado di reprimere parte della disinformazione che la Cina semina continuamente e grazie alla quale persegue una politica di crescente sfruttamento delle risorse, diffondendo notizie che seminano caos, generano dubbi e confusione».Christopher Maier, assistente segretario alla Difesa per le operazioni speciali e i conflitti cosiddetti a «bassa intensità», durante un'udienza della sottocommissione per i Servizi armati della Camera Usa avvenuta all'inizio del mese di marzo aveva dichiarato: «Da sempre le campagne di disinformazione e propaganda rappresentano uno dei grandi problemi per gli Stati Uniti, l'ambiente informativo di oggi offre a Russia, Cina e altre nazioni l'accesso in tempo reale a un pubblico globale e nel contesto del Pacifico hanno il vantaggio della prima mossa, dunque inondano l'ambiente delle informazioni con notizie manipolate basate su eventi credibili, inserendovi elementi ingannevoli accuratamente predisposti. Il risultato è che questi attori ottengono una leva fertile per minacciare il nostro interesse». Maier ha spiegato anche che il Dipartimento della Difesa sta orientando i suoi sforzi per combattere la disinformazione operando in quattro modi differenti: contrastare la propaganda degli avversari, proteggere le proprie forze, dimostrare la disinformazione da parte degli avversari e interrompere, scoraggiandole, le capacità d'influenza avversarie.Clarke sostiene che sia necessario difendere gli interessi Usa avvicinandosi il più possibile agli avversari attraverso i nodi delle reti di comunicazione al di fuori degli Stati Uniti, prima che i contenuti ritenuti fuorvianti possano essere divulgati e amplificati, prevenendo al contempo qualsiasi operazione di attacco informatico e d'influenza straniera. Ma il concetto di difesa preventiva non è applicabile solo al cyberspazio e il generale nella sua relazione ha descritto la necessità di ampliare le forze per le operazioni speciali, in particolare i professionisti delle operazioni di supporto alle informazioni militari che lavorano a stretto contatto con le ambasciate di tutto il mondo. Il suo collega, generale Paul Nakasone, a capo del Cyber Command, giovedì 25 marzo ha spiegato ai senatori americani di aver già condotto una dozzina di operazioni per scongiurare minacce di influenza straniera prima delle elezioni 2020. Ecco perché serviva la costituzione di un Centro per la guerra alla disinformazione all'interno del Jso per poter creare e sparare «colpi di artiglieria d'influenza» ma anche rilevare l'attività degli avversari in tutto il mondo e trasmettere rapidamente tali informazioni a coloro che ne hanno bisogno. E mentre viene fatto tutto questo, i militari dovranno anche evitare che gli aggressori possano aggirare le leggi e le politiche nazionali Usa provando a utilizzare la stessa infrastruttura statunitense per ordire i loro tentativi. Sebbene rispondere alle operazioni di disinformazione o di influenza sia imperativo, se le contromisure non si rivelassero sufficientemente efficaci le risposte a talune affermazioni potrebbero essere portate dal cyber spazio sul piano diplomatico e quindi su quello finanziario, senza poter escludere eventuali azioni militari nei confronti di centri infornatici nevralgici. Se un tempo bloccare una rotta mercantile poteva danneggiare l'economia di una nazione, oggi bloccare una parte del web sulla quale transitano informazioni causa danni ben maggiori.
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Secondo un’analisi della Fondazione Eni Enrico Mattei, la decarbonizzazione dell’auto europea stenta: le vendite elettriche sono ferme al 14%, le batterie e le infrastrutture sono arretrate. E mentre Germania e Italia spingono per una maggiore flessibilità, la Commissione europea valuta la revisione normativa.
La decarbonizzazione dell’automobile europea si trova a un bivio. Lo evidenzia un’analisi della Fondazione Eni Enrico Mattei, in un articolo dal titolo Revisione o avvitamento per la decarbonizzazione dell’automobile, che mette in luce le difficoltà del cosiddetto «pacchetto automotive» della Commissione europea e la possibile revisione anticipata del Regolamento Ue 2023/851, che prevede lo stop alle immatricolazioni di auto a combustione interna dal 2035.
Originariamente prevista per il 2026, la revisione del bando è stata anticipata dalle pressioni dell’industria, dal rallentamento del mercato delle auto elettriche e dai mutati equilibri politici in Europa. Germania e Italia, insieme ad altri Stati membri con una forte industria automobilistica, chiedono maggiore flessibilità per conciliare gli obiettivi ambientali con la realtà produttiva.
Il quadro che emerge è complesso. La domanda di veicoli elettrici cresce più lentamente del previsto, la produzione europea di batterie fatica a decollare, le infrastrutture di ricarica restano insufficienti e la concorrenza dei produttori extra-Ue, in particolare cinesi, si fa sempre più pressante. Nel frattempo, il parco auto europeo continua a invecchiare e la riduzione delle emissioni di CO₂ procede a ritmi inferiori alle aspettative.
I dati confermano il divario tra ambizioni e realtà. Nel 2024, meno del 14% delle nuove immatricolazioni nell’Ue a 27 è stata elettrica, mentre il mercato resta dominato dai motori tradizionali. L’utilizzo dell’energia elettrica nel settore dei trasporti stradali, pur in crescita, resta inferiore all’1%, rendendo molto sfidante l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050.
Secondo la Fondazione Eni Enrico Mattei, non è possibile ignorare l’andamento del mercato e le preferenze dei consumatori. Per ridurre le emissioni occorre che le nuove auto elettriche sostituiscano quelle endotermiche già in circolazione, cosa che al momento non sta avvenendo in Italia, seconda solo alla Germania per numero di veicoli.
«Ai 224 milioni di autovetture circolanti nel 2015 nell’Ue, negli ultimi nove anni se ne sono aggiunti oltre 29 milioni con motore a scoppio e poco più di 6 milioni elettriche. Valori che pongono interrogativi sulla strategia della sostituzione del parco circolante e sull’eventuale ruolo di biocarburanti e altre soluzioni», sottolinea Antonio Sileo, Programme Director del Programma Sustainable Mobility della Fondazione. «È necessario un confronto per valutare l’efficacia delle politiche europee e capire se l’Unione punti a una revisione pragmatica della strategia o a un ulteriore avvitamento normativo», conclude Sileo.
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Ecco #DimmiLaVerità del 15 novembre 2025. Con il senatore di Fdi Etel Sigismondi commentiamo l'edizione dei record di Atreju.
La risposta alla scoppiettante Atreju è stata una grigia assemblea piddina
Il tema di quest’anno, Angeli e Demoni, ha guidato il percorso visivo e narrativo dell’evento. Il manifesto ufficiale, firmato dal torinese Antonio Lapone, omaggia la Torino magica ed esoterica e il fumetto franco-belga. Nel visual, una cosplayer attraversa il confine tra luce e oscurità, tra bene e male, tra simboli antichi e cultura pop moderna, sfogliando un fumetto da cui si sprigiona luce bianca: un ponte tra tradizione e innovazione, tra arte e narrazione.
Fumettisti e illustratori sono stati il cuore pulsante dell’Oval: oltre 40 autori, tra cui il cinese Liang Azha e Lorenzo Pastrovicchio della scuderia Disney, hanno accolto il pubblico tra sketch e disegni personalizzati, conferenze e presentazioni. Primo Nero, fenomeno virale del web con oltre 400.000 follower, ha presentato il suo debutto editoriale con L’Inkredibile Primo Nero Show, mentre Sbam! e altre case editrici hanno ospitato esposizioni, reading e performance di autori come Giorgio Sommacal, Claudio Taurisano e Vince Ricotta, che ha anche suonato dal vivo.
Il cosplay ha confermato la sua centralità: più di 120 partecipanti si sono sfidati nella tappa italiana del Nordic Cosplay Championship, con Carlo Visintini vincitore e qualificato per la finale in Svezia. Parallelamente, il propmaking ha permesso di scoprire il lavoro artigianale dietro armi, elmi e oggetti scenici, rivelando la complessità della costruzione dei personaggi.
La musica ha attraversato generazioni e stili. La Battle of the Bands ha offerto uno spazio alle band emergenti, mentre le icone delle sigle tv, Giorgio Vanni e Cristina D’Avena, hanno trasformato l’Oval in un grande palco popolare, richiamando migliaia di fan. Non è mancato il K-pop, con workshop, esibizioni e karaoke coreano, che ha coinvolto i più giovani in una dimensione interattiva e partecipativa. La manifestazione ha integrato anche dimensioni educative e culturali. Il Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino ha esplorato il ruolo della matematica nei fumetti, mostrando come concetti scientifici possano dialogare con la narrazione visiva. Lo chef Carlo Mele, alias Ojisan, ha illustrato la relazione tra cibo e animazione giapponese, trasformando piatti iconici degli anime in esperienze reali. Il pubblico ha potuto immergersi nella magia del Villaggio di Natale, quest’anno allestito nella Casa del Grinch, tra laboratori creativi, truccabimbi e la Christmas Elf Dance, mentre l’area games e l’area videogames hanno offerto tornei, postazioni libere e spazi dedicati a giochi indipendenti, modellismo e miniature, garantendo una partecipazione attiva e immersiva a tutte le età.
Con 28.000 visitatori in due giorni, Xmas Comics & Games conferma la propria crescita come festival della cultura pop, capace di unire creatività, spettacolo e narrazione, senza dimenticare la componente sociale e educativa. Tra fumetti, cosplay, musica e gioco, Torino è diventata il punto d’incontro per chi vuole vivere in prima persona il racconto pop contemporaneo, dove ogni linguaggio si intreccia e dialoga con gli altri, trasformando la fiera in una grande esperienza culturale condivisa.
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