2022-05-03
Urso: «Prima di inviare carrarmati a Kiev Draghi deve riferire in Parlamento»
Adolfo Urso (Imagoeconomica)
Il presidente del Copasir: «Sono emerse divergenze e il decreto già prevede passaggi in Aula: il governo non si sottragga. Lavrov? Il Cremlino sfrutta canali d’influenza, noi convocheremo i vertici di Rai e Agcom».L’intervista al ministro degli Esteri russo alla fine ha sollevato una valanga di polemiche, logico chiedere al presidente Adolfo Urso quali saranno - se ci saranno - le mosse del Copasir. «Innanzitutto è bene precisare quale sia il perimetro di intervento del comitato, il quale non può e non deve intervenire in alcun modo negli ambiti giornalistici, nei palinsesti e tanto meno dare consigli su chi invitare. Ci sono peraltro altri organi che si occupano nello specifico di informazione: la Vigilanza Rai, l’Agcom. Noi ci occupiamo esclusivamente di sicurezza nazionale e agiamo con il vincolo della segretezza. Noi semmai dobbiamo verificare e garantire che non vi siano interferenze esterne tese appunto a condizionare la nostra democrazia. Recentemente proprio in riferimento alle informazioni sul Covid è stato coniato il termine “infodemia”, cioè l’epidemia di informazioni che rende difficile anche al più accorto giornalista accertare l’affidabilità delle fonti. E noi sappiamo che la Russia utilizza in modo sistemico la disinformazione, le campagne sui social, la guerra cibernetica e ovviamente il reclutamento per condizionare l’Occidente». Il Copasir convocherà l’ad Carlo Fuortes e il presidente Agcom, Carmen Lasorella…«Sì. Abbiamo attivato le nostre abituali procedure nei perimetri della legge».C’è un altro tema caldo che riguarda l’Ucraina. Il Parlamento ha approvato, dopo l’informativa di Mario Draghi, l’invio di armi in Ucraina. La copertura resta valida fino al 31 dicembre e nell’ambito di questo ombrello sono già stati partoriti due decreti. Ora sul terzo invio la maggioranza ribolle. Sarà coinvolto il Copasir?«Il governo ha correttamente informato il comitato in relazione agli invii che sono avvenuti sulla base di una decisione approvata dal Parlamento quasi all’unanimità con un mandato sino a fine anno. Adesso emergono differenti valutazioni della maggioranza sulle modalità di pianificazione del terzo decreto e in molti chiedono una informativa del governo alle Camere, cosa peraltro prevista nella legge di conversione del decreto. Non sussistono ragioni tecniche, ma sicuramente ci sono motivazioni politiche che a questo punto suggerirebbero un passaggio del premier in Parlamento».Il Copasir ha aggiornato la propria relazione sulla sovranità energetica alla luce dell’invasione dell’Ucraina. Al di là dell’emergenza, qual è la vostra posizione sul lungo termine? Come deve realizzarsi la strategia dello Stato all’interno di un settore che ancora - per fortuna - è regolato dal mercato?«Faccio un passo indietro per fornire qualche elemento di scenario».Sì«L’Europa sarebbe dovuta nascere su due pilastri. La Ced, Comunità europea di Difesa, e la Ceca, Comunità europea del carbone e dell’acciaio. La prima avrebbe garantito una prospettiva di sicurezza comune, ma il Parlamento francese mise nei fatti un veto. Il secondo progetto è poi di fatto naufragato tanto da portarci alla dipendenza dall’estero. La guerra ha svelato quanto l’Europa sia un gigante dai piedi di argilla: succube della Russia sull’energia e dipendente dagli Usa per la Difesa. Occorre ripartire proprio dalle indicazioni dei padri fondatori, ovviamente al fine di rafforzare la Nato e l’Occidente. Proprio l’Italia può svolgere un ruolo centrale».In pratica che significa?«Il Copasir si è occupato anche di partecipate ed è emerso che serve maggiore sinergia, se vogliamo che ci sia una politica europea su Difesa e Energia serve innanzitutto che ci sia una visione strategica italiana. L’Eni ha una storia e avendo investito con forza nei giacimenti di gas in Africa e in Medio Oriente ora può far valere l’eredità che ha lasciato Mattei. Snam ha una forza incredibile sull’intera filiera delle autostrade energetiche. Enel per le rinnovabili e Terna per le connessioni. L’Italia può diventare l’hub europeo e mediterraneo del gas e della elettricità, il veicolo dell’energia che arriverà da Sud e servirà il Nord».Non è così semplice. L’Africa e soprattutto il Sahel saranno sempre più instabili. Il rischio è chiudere accordi che resteranno sulla carta…«Per questo occorre che l’Ue abbia una politica estera comune su entrambe i temi. Ciò significa anche e soprattutto sciogliere il nodo della Libia e del Mediterraneo orientale con Francia e Turchia, e pensare alla stabilizzazione del Sahel e del Continente. Bisogna muoversi per allontanare la Wagner e fermare l’avanzata della jihad».Servirà un impegno militare?«Probabilmente, ma soprattutto servirà impegno economico e sociale, grande attenzione sui rifornimenti alimentari e sulla gestione delle acque, così come sul controllo delle materie prime e sullo sviluppo della economia digitale; occorre investire in formazione e cultura, se vogliamo davvero sottrarre l’Africa alla penetrazione russa e cinese. E noi italiani siamo più bravi di altri in questo, per motivi storici e non solo geografici».C’è un ultimo tema che resta da sviscerare nelle tensioni tra Est e Ovest, quello della tecnologia e della globalizzazione. Eravamo convinti che lo sviluppo delle relazioni internazionali portasse ricchezza e democrazia. Invece ci stiamo ravvedendo. Come potremo mantenere rapporti con l’Asia e la Cina di fronte a questa sterzata?«Per vent’anni tecnologia e globalizzazione sono stati i binari su cui sembrava passare il treno della libertà che dall’Occidente giungeva a Oriente. Qualcosa però è cambiato dieci anni fa, quando Vladimir Putin e Xi Jinping hanno dato una sterzata autocratica, eliminando anche ogni limite di mandato. Oggi la tecnologia e la globalizzazione sono strumenti dei sistemi autoritari per sottomettere le democrazie occidentali. Questo passa anche attraverso il controllo dell’economia digitale. Per questo oltre alla Difesa e all’energia dovremmo tornare a concentrarci sulle tlc e sui cavi che consentono il traffico dati. La rete unica non può più tardare. Palermo e Genova devono diventare le due porte d’ingresso dei cavi che collegheranno sempre più Europa e Occidente ai continenti in sviluppo, Asia e Africa. Anche in questo l’Italia può essere centrale e far valere il suo ruolo nello scacchiere globale».Cioè?«La tecnologia oggi consente ai sistemi autoritari il controllo di ogni cosa e il loro sistema economico in cui le imprese rispondono all’apparato statale, spesso diretta emanazione di quello militare, ha un vantaggio competitivo rispetto a quello occidentale. È la conferma che le libertà sono cicliche. Basti pensare ai diritti delle donne in grandi Paesi islamici, come Kabul e Teheran. Tutto ciò ci insegna che nulla è scontato e che la tecnologia sommata al capitalismo di Stato diventa l’arma di un temibile esercito».
Francesca Albanese (Ansa)
Andrea Sempio. Nel riquadro, l'avvocato Massimo Lovati (Ansa)