2024-09-03
L’uomo secondo la religione «woke» è un soggetto incapace di intenzioni
Il giornalista e scrittore Mattia Ferraresi; nel riquadro, la copertina del suo saggio «I demoni della mente», edito da Mondadori (Imagoeconomica)
L’ideologia che ha invaso cultura, politica e università immagina una persona completamente determinata dall’appartenenza a un sistema che in sé genera una colpa. Emendarsi dalla quale diventa anche business.Di cosa parliamo quando diciamo woke? […] Woke è la persona emersa dal torpore in cui si consumano gli inganni, è l’individuo con gli occhi aperti, consapevole di ciò che davvero accade intorno a lui. È colui che è in grado di vedere al di là della coltre delle apparenze. Il soggetto risvegliato è protagonista di un rito iniziatico, un’epifania, una rivelazione. Ma rivelazione di cosa? L’individuo consapevole si rende conto dell’intima struttura della realtà, afferra le forze che davvero regolano l’andamento del mondo. E si tratta di relazioni di potere e oppressione, sfruttamento e disparità, violenza e discriminazione. Il soggetto consapevole guarda con occhi nuovi la realtà, e quello che vede è un terrificante sistema di oppressione coperto da una elaborata rete di finzioni a cui le persone «normali» credono docilmente, senza muovere obiezioni. […] Tale concezione porta con sé diverse implicazioni e conseguenze rilevanti per capire meglio come le persone woke si muovono nel mondo. Innanzitutto, la rivelazione non viene dall’esterno, ma è un’illuminazione interiore, una faccenda tutta interna al soggetto. Il grande critico letterario Harold Bloom ha fissato il concetto in un prezioso e spesso dimenticato saggio sulla religione americana, scritto nei secolarizzati e introflessi anni Novanta: «L’io è la verità, e c’è una scintilla nel suo centro che è la sua parte migliore e più antica, cioè è il Dio-interno». Altra conseguenza: dal nuovo stato di coscienza non si può tornare indietro. Una volta scorte le forze che muovono il mondo, non si può fingere di non avere visto. L’unica strada è gettarsi a capofitto nel percorso di consapevolezza con lo zelo del convertito. Poi, il messaggio è radicale e non tollera compromessi. Le forze tremende che regolano il sistema sono radicate così in profondità che non è possibile riformarle, ma soltanto distruggerle e ricostruire. È il senso dell’aggettivo più usato nel vocabolario woke: «sistemico». Se i mali sono strutturali, impressi negli ingranaggi del sistema, le ipotesi incrementali o migliorative vanno scartate. I personaggi malvagi del passato non vanno contestualizzati, giudicati e superati, devono essere rimossi, le statue che li celebrano non vanno comprese ma abbattute.Le parole offensive e indicibili vanno bandite dai libri, il contesto in cui sono state scritte non è un’attenuante valida. Il linguaggio va ripulito dai riferimenti oppressivi, decostruendo le offese implicite ed emendando gli stereotipi. L’intera storia umana va riletta alla luce della consapevolezza risvegliata.Ha provocato vigorose discussioni negli Stati Uniti il 1619 Project (2019), monumentale opera giornalistico-storica del New York Times concepita per mostrare che la vera data di fondazione del progetto americano non cade con la Dichiarazione d’Indipendenza del 1776, ma con lo sbarco della prima nave carica di schiavi sulle coste della Virginia nel 1619. Il senso della storia è che gli Stati Uniti sono una nazione fondata sulla schiavitù, non sugli ideali di uguaglianza, libertà e diritti impressi nei documenti fondativi della repubblica. Senza dubbio i propositi sono stati ampiamente disattesi, ignorati e traditi nella pratica, ma un conto è tendere a un ideale e lavorare nel tempo per applicarlo in modo sempre più compiuto, un altro è condannare l’intero progetto perché costruito su fondamenta marce. Nel racconto del 1619 Project, l’America è una «slavocrazia» fondata sulla supremazia bianca che congiunge gli schiavi nelle piantagioni di tabacco all’innocente George Floyd brutalmente ucciso da un poliziotto bianco a Minneapolis nel 2020. Sono manifestazioni delle stesse, invincibili forze strutturali. oppressioneNon la pensava così, tanto per fare un esempio, Martin Luther King, che nella lotta per i diritti civili non si stancava di affermare la sua fiducia nella possibilità di procedere nel percorso verso la realizzazione degli ideali che l’America proclamava a parole. «L’arco dell’universo morale è lungo, ma tende verso la giustizia» è la frase che sintetizza la sua visione della storia. L’arco della storia woke, invece, non tende verso luoghi felici. […]Come si è visto, la sensibilità woke si è sviluppata nell’ambito delle discriminazioni razziali negli Stati Uniti, ma poi lo stato di consapevolezza ha portato alla luce anche tutte le altre forze oppressive che contribuiscono a conservare l’irredimibile stato delle cose. Neoliberismo, patriarcato, supremazia bianca, eteronormatività, omotransfobia, presunzioni di superiorità di qualunque tipo, dal genere alla specie, fino al disprezzo della disabilità e alla discriminazione sulla base dell’età, all’interiorizzazione dei privilegi ereditati e al negazionismo climatico: l’individuo woke arriva alla consapevolezza che tutti questi sono ingranaggi di una sola, gigantesca e soffocante struttura di potere. Ogni discriminazione nei confronti di un’identità non è che uno fra gli infiniti volti di un male pervasivo. […]Questo significa che i poteri inscritti nella struttura della realtà determinano ogni cosa. Tutto è costruzione e sovrastruttura, comprese la biologia e la matematica. Le donne diventano così «persone con l’utero», mentre gli individui che si identificano come uomini possono avere il ciclo mestruale. «Due più due non fa quattro», sostiene l’associazione dei coordinatori di matematica dell’Ontario. L’aritmetica come la conosciamo è un costrutto della supremazia bianca e, secondo Jason To, il presidente dell’associazione che si batte per la «neutralità politica della matematica», chi sostiene che quattro è il risultato dell’operazione commette un «atto nascosto di supremazia bianca».Risulta dunque evidente un altro importante tratto dell’universo woke: il conflitto inevitabile con i principi che regolano il sistema liberale. Se tutte le norme della vita civile sono macchiate dai pregiudizi dei maschi bianchi eterosessuali capitalisti patriarcali colonialisti occidentali ed eurocentrici che le hanno fissate, l’unica via per correggere i torti insiti nel mondo è mettere in discussione regole che non sono affatto neutrali. Il principio per cui tutti gli individui di fronte alla legge sono uguali è in fondo un falso, perché la legge è stata scritta a immagine e somiglianza del legislatore, ne conserva e proietta i pregiudizi, tende a essere benevola con un gruppo e a colpevolizzarne altri, esprime in ogni comma il timbro della maggioranza. Il diritto, in questa logica, mette a sistema i mali di chi scrive le regole e le fa rispettare con la forza. Per avere giustizia bisogna attivamente discriminare gli oppressori, zittire chi ha il potere, riequilibrare i mali del passato con nuove e ben intenzionate iniquità. È su questi presupposti che nasce la cancel culture. […]antropologiaChe tipo di soggetto genera il pensiero woke? Detto più filosoficamente: qual è la sua antropologia implicita? Di certo siamo di fronte a un soggetto senza intenzione. È almeno dai tempi di Pietro Abelardo (1079-1142) che la filosofia occidentale ragiona sul rapporto fra azione e intenzione, in genere concludendo che la prima dipende in modo significativo dalla seconda: per giudicare moralmente qualcosa non basta considerare l’atto in sé, occorre sondare l’intenzione di chi lo commette. […]Nella logica woke, l’intenzione tende invece a scomparire. L’inconsapevole partecipare del soggetto a un sistema di potere - razziale, patriarcale, eteronormativo - è sufficiente per determinare una colpa o stabilire una complicità. Il maschio eterosessuale partecipa del patriarcato semplicemente conducendo un’esistenza conforme alle norme e alle convenzioni oppressive che sono incastonate nel sistema patriarcale. Non può dire: «Non era mia intenzione, non sapevo, non volevo», perché proprio il suo non essere consapevole della propria complicità con il potere è il problema.Il presidente della federazione calcistica spagnola, Luis Rubiales, ha perso il posto di lavoro e la reputazione per avere dato un bacio sulle labbra alla giocatrice della nazionale Jenni Hermoso, durante i festeggiamenti per la vittoria dei mondiali. Il bacio, ripreso da tutte le telecamere del mondo, è durato una frazione di secondo e non ha avuto altre conseguenze materiali. Mancava però fatalmente il consenso della persona che ha «subito» il gesto repentino di Rubiales. Dopo l’iniziale tentativo di minimizzare l’accaduto, Hermoso ci ha pensato meglio e ha stabilito che si è trattato di un abuso sessuale. Sono stata «vittima di un atto impulsivo, sessista, fuori luogo e senza alcun consenso da parte mia», ha spiegato. Tralasciando per un attimo l’agitazione politica che si è generata attorno al caso, quello che interessa qui è che l’intenzione di Rubiales nel fare quel gesto è del tutto irrilevante. […]La colpa è la partecipazione oggettiva alla macchina patriarcale che il bacio dimostra, non il bacio in sé né l’intenzione che ha informato il gesto. Quando dietro a ogni fatto incombono poteri sistemici, ci sono ben poche intenzioni da indagare. Questo scolorire dell’intenzione mette in moto ragionamenti circolari in stile Comma 22, dove la dichiarazione di innocenza finisce per trasformarsi in un’ammissione di colpa. Se l’imputato per un fatto discriminatorio protesta dicendo: «Non l’ho fatto apposta», sta appunto rivelando che ha interiorizzato i pregiudizi di sistema così in profondità da non rendersi nemmeno conto di essere parte del problema. […] In questo senso, la vicenda della «fragilità bianca» è molto istruttiva. L’espressione è stata coniata e resa celebre da Robin DiAngelo, intraprendente sociologa antirazzista che dopo una carriera nelle periferie dell’accademia è salita ai vertici della ricca industria della consulenza aziendale su diversità e inclusione. Nel 2018 ha scritto un libro di cui non è difficile indovinare il titolo - White Fragility - che ha venduto decine di milioni di copie in tutto il mondo. L’idea è che i bianchi - tutti, nessuno escluso - convivono con una forza che impedisce loro di riconoscere e ammettere che sono razzisti. «Fragilità bianca» è il nome di questo ostacolo che offusca la coscienza. Ci sono perciò due possibilità: ostinarsi a negare il proprio razzismo inconsapevole, soccombendo alla fragilità, oppure proclamarsi finalmente colpevoli di essere dei suprematisti bianchi. In breve: se non ammetti di essere razzista, sei razzista; se ammetti di essere razzista, sei razzista. Come se ne esce? Con un costoso ciclo di seminari in cui istruttori come DiAngelo o Ibram X.
Ecco #DimmiLaVerità del 30 ottobre 2025. Ospite la senatrice calabrese della Lega Clotilde Minasi. L'argomento del giorno è: "La bocciatura del ponte sullo Stretto da parte della Corte dei Conti"
Container in arrivo al Port Jersey Container Terminal di New York (Getty Images)