2021-10-10
Uno studio internazionale conferma: le leggi contro la droga funzionano
L’Istituto di fisiologia clinica del Cnr dimostra che negli Stati con leggi più restrittive contro la cannabis si è registrato un calo del 6% dell’uso, soprattutto tra i consumatori occasionaliLa cannabis è una droga e, come tutte le droghe, va contrastata sul piano culturale, sociale e politico. Chi ha davvero a cuore il bene delle persone, in particolare dei più giovani, non può che schierarsi contro qualsiasi forma di legalizzazione di una sostanza tossica come questa. Favorire l’uso, aprire la strada alla dipendenza, traghettare verso i disturbi mentali legati alla cannabis non è certamente un progetto a vantaggio del bene di chiunque, in special modo di adolescenti e giovani. Una ulteriore conferma ci viene da un recente studio condotto dall’Istituto di fisiologia clinica del Cnr, pubblicato sulla rivista scientifica International Yournal of Enviromental Research and Pubblic Health, che - come indicato nel titolo - si dedica in particolare alle ricadute sociali di leggi o normative che investono la salute pubblica. Droghe in primis. Lo studio ha il grande pregio di aver raccolto una coorte molto ampia di soggetti analizzati, in un lungo arco di tempo: 300.000 studenti, in 20 anni e in 20 Paesi. Lo studio Espad (European School Survey Project on Alchool and other Drugs) riporta che la cannabis è la droga più utilizzata, con il 16% degli adolescenti europei che ha dichiarato di averne fatto uso, anche sporadicamente. Sulla base della frequenza di utilizzo, sono state definite due categorie di consumatori: «occasionali» (2-3 volte all’anno) e «frequenti» (20 o più in un mese). Raffrontando i dati con le normative regolatrici del consumo di cannabis vigenti nei singoli Paesi è emerso un quadro di enorme valore ed interesse di salute pubblica: negli Stati che hanno leggi più restrittive, dove le sanzioni sono state aumentate – come l’Italia tra il 2007 e il 2014 – si è registrato un calo del 6% dell’uso, e questo calo riguarda soprattutto i consumatori occasionali. A riprova che, piaccia o no, norme rigorose di contrasto hanno un buon valore deterrente sugli adolescenti e i giovani. Se andiamo oltre oceano, negli Usa, i risultati sono ancora più chiari: laddove sono state introdotte riforme più liberali, si registra un aumento del 7%, mentre in presenza di norme più restrittive si ha un calo del 3%. Per valutare in pienezza questi dati, non dobbiamo dimenticare che, dietro i numeri, ci sono ragazzi e giovani con le loro famiglie in carne e ossa. Si tratta cioè di preservare da problemi e sofferenze di ogni genere persone che possono cadere nella trappola mortale della dipendenza. E questa è la prima responsabilità di ogni società che si dica «civile», sulla base del notissimo aforisma «prevenire è meglio che curare». Purtroppo molte malattie ci piovono addosso senza che abbiamo nessuna colpa o responsabilità, ma la tossicodipendenza proprio no: abbiamo la possibilità personale e lo Stato ha la responsabilità civile di prevenire in ogni modo la libera circolazione di sostanze tossiche dannose quali cannabis e consociate. E non vale il solito inutile contradditorio che allora anche fumo ed alcool devono essere vietati. Se questo è vero nella sostanza, e certamente lo è, non risolviamo il problema allargando le maglie del danno, garantendo la legalizzazione della marjuana: aggiungendo danno a danno, male a male, non si raggiunge né il bene né l’utile, per il singolo e per l’intera società. La lettura integrata dei dati riportati, offre almeno tre spunti di riflessione: il fatto che le norme liberali favoriscono l’uso riducendo sia lo stigma sociale che la percezione del rischio/danno; dunque è necessario rafforzare campagne di informazione e prevenzione, soprattutto fra i giovani; terzo, ma certamente non ultimo, prevenire significa rendere sempre più difficile l’approvvigionamento. Tutti questi obbiettivi non si raggiungono certo né con le proposte aperturistiche oggi in corso, né con la promozione dei «cannabis shop». Se non si vuole bruciare in un incendio, la scelta migliore a livello personale è di stare alla larga dal fuoco, mentre compito dei «vigili» (cioè dei legislatori davvero saggi) è fare di tutto per non alimentarlo e possibilmente per spegnerlo.
Giorgia Meloni ad Ancona per la campagna di Acquaroli (Ansa)
«Nessuno in Italia è oggetto di un discorso di odio come la sottoscritta e difficilmente mi posso odiare da sola. L'ultimo è un consigliere comunale di Genova, credo del Pd, che ha detto alla capogruppo di Fdi «Vi abbiamo appeso a testa in giù già una volta». «Calmiamoci, riportiamo il dibattito dove deve stare». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Francesco Acquaroli ad Ancona. «C'é un business dell'odio» ha affermato Giorgia Meloni. «Riportiamo il dibattito dove deve stare. Per alcuni è difficile, perché non sanno che dire». «Alcuni lo fanno per strategia politica perché sono senza argomenti, altri per tornaconto personale perché c'e' un business dell'odio. Le lezioni di morale da questi qua non me le faccio fare».
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