2018-11-13
Un’ideologia folle che contraddice le leggi di natura
L'idea di cancellare le frontiere si scontra con i fondamenti delle comunità umane. È dai primi anni Ottanta che viene auspicata una «economia intercollegata» a livello globale, per creare un mondo senza confini.Sulla Verità di domenica 11 novembre, in prima pagina, viene trattato l'argomento della difesa (militare) dei confini. Mi pare utile proporre una riflessione su come i «confini di mercato» abbiano influenzato quelli politici. È dai primi anni Ottanta che viene auspicata una «economia intercollegata» a livello globale, per creare un mondo senza confini. Fino ad allora, le frontiere avevano avuto un significato, i mercati erano stati protetti, le valute erano nazionali e le banche centrali proteggevano dalle speculazioni a costi elevatissimi. Si cominciò a domandarsi (e studiare) se fosse possibile, grazie alla logica del mercato, che le frontiere potessero scomparire, creando vantaggi superiori agli svantaggi, naturalmente facendo rinunciare gli organismi nazionali alla guida unica delle economie nazionali. L'apertura totale delle frontiere avrebbe potuto permettere ai Paesi occidentali, che rischiavano lo stallo nella crescita del Pil per colpa del crollo voluto della natalità, i vantaggi di una economia globale, delocalizzando produzioni in Paesi a basso costo. I Paesi orientali avrebbero avuto il vantaggio di crescere le loro economie esportando in Occidente e i Paesi in via di sviluppo avrebbero potuto crescere a loro volta esportando le loro risorse sia in Occidente che in Oriente. Ciò è avvenuto, prima i flussi finanziari e poi le merci hanno cominciato a muoversi in tempo reale intorno al mondo e oggi, quarant'anni dopo, riconosciamo che le grandi imprese sono quasi tutte denazionalizzate e l'economia intercollegata è diventata una realtà. Gli errori fatti, con una certa supponenza, son consistiti nel sottovalutare gli effetti della negazione di leggi naturali, prima fra tutte quella sulla natalità, e ciò ha provocato conseguenze drammatiche sul successo del progetto di globalizzazione. Si pensi al consumismo imposto per compensare il crollo natalità, all'invecchiamento della popolazione, al crollo dei risparmi per tradurli in consumi, al debito delle famiglie per crescere i consumi sempre più, ai problemi ambientali conseguenti alla delocalizzazione in Paesi low cost, eccetera. Ma per riuscire a gestire e controllare queste complessità, il mondo globale integrato ha necessitato di avere governi omogenei nella visione politica. Così in quaranta anni si è «rinunciato» al comunismo, al socialismo, ai nazionalismi vari, alle democrazie popolari, ecc. All'inizio di questo processo i governi del mondo che aspirava a esser interconnesso sembrarono aver ricevuto istruzioni per permettere ai cittadini di accedere ai prodotti e servizi migliori e più economici, da qualsiasi parte provenissero. Dopo il parziale fallimento di questo processo, con l'intento di non interrompere detto progetto, e nel contempo risolvere problemi di povertà e di gap di popolazione, le istruzione ai governi son state indirizzate alla soluzione migratoria, imponendola, vietando di non desiderarla erigendo nuovi confini. Da qui il «nuovo mondo senza confini». Un nuovo mondo dove anche i migranti possano muoversi e circolare liberamente. La giustificazione di fondo sta nel fatto che un patrimonio di risorse naturali (tra queste, oggi, la risorsa umana migranti ) non può esser utilizzato solo per cercare di produrre ricchezza nazionale (da utilizzare autonomamente, da isolazionista), soprattutto se queste non sono utilizzate e restano sterili (come le popolazioni che vengono fatte emigrare, assimilabili a risorse naturali, a investimenti finanziari). Meglio affidarle o condividerle con chi saprebbe utilizzarle per un maggior «bene comune». La decisione di creare un sistema economico intercollegato continua a stare nel fatto che il perseguimento dello sviluppo economico non vuole barriere. Se ci sono stati insuccessi è proprio perché si è ignorata volutamente la «morale di mercato», e ciò è avvenuto perché nel mondo globale esistono troppe morali, secondo principi religiosi, o laici, fra loro troppo differenti. Perciò si sono combattute (con successo) le resistenze a mantenere frontiere e confini nazionali, giustificate con la volontà di difendere la sovranità. Pertanto l'interesse nazionale (il nazionalismo) è stato progressivamente indicato e considerato un male per l'umanità. Il pluralismo di culture e valori è così stato presentato come un valore essenziale del mondo senza frontiere, ed è diventato compito dei governi «ben educati», quello di convincere della bontà di questo valore, facendo così crollare l'illusione del nazionalismo autonomo. Per questo intento, la gestione della informazione, ha giocato un ruolo essenziale, l'informazione ha concorso a creare valori comuni da perseguire, non imponendoli, ma rendendoli credibili grazie a collegamenti a livello orizzontale. La stampa, educata al vantaggio della economia interdipendente, ha in gran parte sostenuto la necessità di queste soluzioni concorrendo a convincere l'opinione pubblica della necessità di una forma di integrazione globale, così tanto auspicata. Gli incidenti di percorso (la crisi scoppiata in Usa nel 2008) vengono così considerati un «piccolo incidente» in una fase di transizione, da correggere, non da rivedere, soprattutto dal punto di vista morale. La difesa dei confini continuerà a esser combattuta.