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2024-11-26
Banche, Unicredit vuole Bpm. La Lega insorge: «Va fermata»
Andrea Orcel (Getty Images)
Unicredit ha sganciato la bomba all’alba, quasi tre ore prima dell’apertura di Piazza Affari: il gruppo guidato da Andrea Orcel ha promosso un’offerta pubblica di scambio volontaria sulla totalità delle azioni del Banco Bpm. Scombinando i piani del governo Meloni (e non solo) che qualche settimana fa ceduto il 15% del Monte dei Paschi e una quota (il 5%) è stata acquisita proprio dal Banco Bpm lasciando la porta aperta alla nascita di un terzo polo bancario con l’istituto di Piazza Meda a fare da pivot. Ieri Orcel ha sparigliato le carte e ribaltato le mosse del risiko del credito.
Vediamo perché e partiamo dai dettagli dell’operazione lanciata da Unicredit che entro 20 giorni presenterà a Consob il documento di offerta che ha un controvalore complessivo, in caso di integrale adesione, di quasi 10,1 miliardi (cioè 6,657 euro per azione di Banco Bpm). L’offerta pubblica di scambio (Ops) è una tipologia di offerta pubblica che utilizza le azioni dell’offerente, in questo caso Unicredit, per comprare quelle della preda. Viene per questo definita «carta contro carta» a differenza dall’Opa, che utilizza i contanti, e dall’Opas, che avviene in parte in contanti e in parte in carta, cioè in titoli azionari. Per finanziare la sua proposta l’offerente, a meno che non disponga di un grosso pacchetto di azioni proprie, vara un aumento di capitale al servizio dell’offerta, con il quale genera le azioni che verranno scambiate con quelle della preda. In questo caso l’Ops esprime un premio dello 0,5% rispetto al prezzo ufficiale delle azioni dell’istituto guidato da Giuseppe Castagna di venerdì scorso. A supporto dell’offerta, Unicredit lancerà un aumento di capitale di nuove azioni destinate a essere scambiate con quelle del Banco. Aumento che dovrà essere approvato dall’assemblea straordinaria fissata per il prossimo 10 aprile. Entro 20 giorni verranno intanto presentate anche le richieste delle autorizzazioni a Bce, Banca d’Italia e Ivass anche per la quota di controllo in Anima (su cui il Banco ha lanciato l’offerta lo scorso 6 novembre) e le altre controllate. L’intera operazione, stima il gruppo, potrebbe poi chiudersi entro giugno. L’offerta sarà comunque efficace se Unicredit verrà a detenere almeno il 66,67% di Banco Bpm. Che verrà poi incorporata e ritirata dal listino milanese. Dove ieri il titolo della banca di Castagna ha guadagnato il 5,48% a 7 euro (oggi si riunirà il cda) mentre quello di Unicredit ha ceduto il 4,7% a 36,2 euro.
Quali sono gli obiettivi dichiarati della mossa su Piazza Meda? In una conferenza telefonica con gli analisti ieri l’ad Orcel ha sottolineato che «l’Europa ha bisogno di banche più forti e più grandi che la aiutino a sviluppare la propria economia e a competere contro gli altri principali blocchi economici». In dote il Banco Bpm porta 4 milioni di clienti. Con un’eventuale fusione Unicredit raddoppierebbe la quota di mercato per filiali nel Nord Italia (area in cui il Banco dispone di oltre 1.000 filiali), diventerebbe la terza banca europea e vedrebbe anche salire la quota di mercato nel Nord Italia dall’11 al 20% mentre la quota nazionale in termini di volumi intermediati salirà dal 9 al 15% e quella dei depositi dal 9% al 14%. Le sinergie di costo sono stimate in 900 milioni e quelle da ricavi in 300 milioni mente i costi di integrazione sono di 2 miliardi. Orcel aveva già tentato per la prima volta di rilevare il Banco di Castagna due anni fa, ma l’operazione venne ostacolata da una fuga di notizie che ha fatto salire il prezzo delle azioni. Nel 2021 la stessa Unicredit rinunciò a un potenziale accordo con il governo italiano per rilevare il Monte dei Paschi. Ieri, Orcel agli analisti ha chiarito di non avere per ora «alcuna ambizione su Mps». Ha invece confermato di voler portare avanti le discussioni relative a Commerzbank (che sono state già prolungate nel rispetto delle elezioni di febbraio in Germania). Così come è stata confermata la politica di distribuzione dei dividendi e il dividendo 2024.
La mossa di Orcel potrebbe avere un impatto anche su altri tavoli, come quello del risparmio gestito, e su altre partite, come quella che si giocherà a primavera 2025 sulla governance delle Generali. Per valutarne gli effetti bisogna scattare una fotografia di azionisti e accordi commerciali. Il primo socio di Unicredit, public company controllata per oltre l’85% da investitori professionali, è Blackrock con il 6,8%, seguito da Allianz con il 4,1% e da Vanguard con il 3,9%. Nel capitale della banca di Orcel c’è anche Delfin, la cassaforte della famiglia Del Vecchio, che nei giorni scorsi ha rilevato una parte della quota di Mps (circa il 3,5%) ceduta dal Tesoro al fianco del Banco Bpm e di Francesco Gaetano Caltagirone (che aveva comprato un altro 3,5%). Delfin non sapeva nulla della mossa a sorpresa di Unicredit, riferiscono alcune agenzie di stampa citando ambienti vicini alla holding degli eredi del patron di Luxottica. Sia Delfin sia Caltagirone sono anche azionisti di Mediobanca (rispettivamente con il 19,8% e il 7,7%) che possiede il 13,1% delle Generali (di cui Delfin ha il 9,9% e Caltagirone circa il 7%). Ed è curioso che proprio ieri il Financial Times abbia rilanciato un’indiscrezione secondo cui la francese Natixis starebbe trattando con la compagnia triestina per una possibile alleanza strategica che darebbe vita a un gigante Ue del risparmio gestito da oltre 2.000 miliardi. Attenzione, infatti, agli altri intrecci societari in questo settore. Il Banco Bpm ha da poco lanciato un’Opa su Anima (di cui è azionista anche Caltagirone, con il 3,5%, che è anche socio del Banco Bpm, con oltre l’1%). «Se Banco Bpm vuole alzare l’offerta su Anima dovrà convocare l’assemblea», ha detto ieri Orcel agli analisti sottolineando che l’assenza di modifiche all’Opa è tra le condizioni di efficacia dell’Ops sul Banco. Anima, ricordiamolo, ha rilevato un 3% della quota di Mps ceduta dal Mef che, sommata all’1% già in suo possesso, ha portato la sua partecipazione nel Monte al 4%. Nessun commento è arrivato ieri dal Crédit agricole, primo azionista del Banco Bpm con poco meno del 10%. Unicredit ha anche un contratto in scadenza nel 2027 con il più grande gestore patrimoniale europeo, Amundi. Che è di proprietà del Crédit agricole e che ha investito in Anima per conto dei suoi clienti.
In mezzo a questo rompicapo, resta una domanda: di fronte alla mossa di Orcel sul Banco Bpm ci sarà una reazione sullo scacchiere del risiko dell’altra big del credito italiano, ovvero Intesa Sanpaolo?
E Orcel fa sbroccare Giorgetti: «Per noi è no. C’è il golden power»
La Lega l’ha presa molto male. D’altronde meno di due settimane fa aveva celebrato l’operazione di Banco Bpm su Mps come il ritorno dell’italianità. Un modo agli occhi dei leghisti di terminare il percorso di risanamento di Mps e soprattutto l’occasione per creare l’asse virtuale tra il mondo che un tempo era della Padania e Siena, ex feudo rosso. Ieri mattina alle 6 e mezza il Mef ha appreso come un comune mortale la notizia dell’Offerta di pubblico scambio immessa sul mercato da Unicredit. La comunicazione della banca guidata da Andrea Orcel ha fatto sapere al mercato di offrire uno scambio di azioni con Banco Bpm sulla totalità delle quote. Una operazione carta contro carta che vale una decina di miliardi e sconta il peso di Unicredit, all’incirca dieci volte quello dell’istituto guidato da Giuseppe Castagna.
Non è certo un gossip, ma notizia il fatto che Unicredit non abbia avvisato né il governo né il Mef. Almeno così risulta alla Verità. Così come al contrario risulta che la Bce abbia ricevuto congrue comunicazioni. Da qui scaturisce sicuramente una parte delle reazioni sia di Matteo Salvini sia del titolare del Mef Giancarlo Giorgetti. Il secondo nel corso della giornata di ieri ha voluto precisare di essere stato informato ma di non condividere l’operazione. «Come è noto esiste il golden power, il governo farà le sue valutazioni», ha detto il ministro, «valuterà attentamente quando Unicredit invierà la sua proposta». Giorgetti ha poi citato Von Clausewitz: «Il modo più sicuro per perdere la guerra è impegnarsi su due fronti, poi chissà, magari questa volta questa regola non sarà vera». Il riferimento è alla Germania e al tentativo di scalata messo in atto su Commerzbank, suggerendo implicitamente a Orcel di guardare solo all’estero. Salvini ha messo il carico da undici ed espresso forti perplessità sull’operazione: «Non vorrei che qualcuno volesse fermare l’accordo tra Banco Bpm e Mps per fare un favore ad altri», ha commentato tirando in ballo Banca d’Italia. Premesso che il tema specifico è di competenza della Bce e che la strada del golden power si applicherà con difficoltà (sebbene la notifica sia obbligatoria) a una banca italiana che fa una operazione di mercato su un’altra banca, lo stop leghista e di govenro resta un punto delicato e di matrice totalmente politica. Innanzitutto, in Unicredit si ricordano benissimo che cosa è accaduto nell’ottobre del 2021, quando la banca già all’epoca guidata da Orcel muoveva su Mps. Tensioni sul prezzo fecero saltare l’operazione. Ma ricordano anche che cosa è accaduto nel febbraio del 2022. In quell’occasione Unicredit muoveva guarda caso su Banco Bpm. Indiscrezioni di stampa tolsero il velo di segretezza e imposero l’addio al blitz. Dalle parti di Milano tutti convinti che la notizia fosse trapelata dai corridoi del Mef che aveva in mente altre strade. Non stupisce che Unicredit abbia tirato su un muro. Per essere sicura di non dover assistere a un bis. L’alzata di scudi da parte di Giorgetti dimostra anche un’altra frizione. Per l’ennesima volta si capisce che è venuto meno il dialogo tra un pezzo di finanza italiana, quello che ha sede a Milano, e il governo. La mossa di Orcel, se dovesse andare in porto, scombussolerebbe i piani di Banco Bpm sul Monte dei Paschi ma soprattutto rimescolerebbe il risiko del risparmio gestito che a sua volta Castagna aveva approcciato con la collaborazione del gruppo Caltagirone e di Delfin, guidata da Francesco Milleri. D’altronde si troverebbero comunque al centro del risiko. Da una parte o dall’altra. Delfin ha quote di Unicredit ed entrambe hanno partecipazioni in Anima, Mps e Banco Bpm. Il che ci riporta per prima cosa al futuro di Mps. Ieri Orcel ha tenuto a precisare di non essere interessato. Allora a chi potrebbe vendere la quota, inferiore al 10%, che prenderebbe in carico mangiandosi Banco Bpm? Potrebbe esserci Unipol interessata. Come la vivrebbe il governo? Come uno smacco. D’altronde non si può non notare che l’attuale presidente di Unicredit si chiama Pier Carlo Padoan e quello di Banco Bpm Massimo Tononi. Nessuno dei due ha un background vicino al centrodestra. Forse Salvini si riferiva a questo possibile asse dicendo che l’intervento di Unicredit su Mps potrebbe favorire altri. Al momento è una ipotesi come è una ipotesi il possibile ruolo di Crédit agricole. La banca francese che detiene una quota di Banco Bpm è stata informata? Ci sarebbe magari un accordo per la liquidazione e uno scambio di vedute sulla parte di risparmio gestito (Amundi è controllato da Credit agricole) oppure come sostengono alcuni analisti Unicredit si sarebbe mossa proprio per anticipare i francesi che erano rimasti incastrati dentro l’operazione di Castagna? Vista la battaglia sull’italianità difficile immaginare che la seconda ipotesi se fosse vera non sarebbe stata sventolata. In ogni caso adesso la palla passa al mercato. Spetta alle Borse dire se il futuro del terzo polo sarà dentro una public company in cui il ceo conta molto oppure potrà tornare a un livello più locale nel quale la politica ha più voce in capitolo.
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Riduci
Ops sul Banco, che ha appena lanciato una scalata su Anima e preso una fetta di Mps. Nascerebbe il terzo istituto in Europa.Lega furiosa: il Mef non è stato informato dell’operazione che scompagina i piani sul Monte. Ma per il governo sarà difficile intervenire. Comunicazioni, invece, alla Bce. S’allarga la distanza fra Roma e la finanza milanese.Lo speciale contiene due articoli.Unicredit ha sganciato la bomba all’alba, quasi tre ore prima dell’apertura di Piazza Affari: il gruppo guidato da Andrea Orcel ha promosso un’offerta pubblica di scambio volontaria sulla totalità delle azioni del Banco Bpm. Scombinando i piani del governo Meloni (e non solo) che qualche settimana fa ceduto il 15% del Monte dei Paschi e una quota (il 5%) è stata acquisita proprio dal Banco Bpm lasciando la porta aperta alla nascita di un terzo polo bancario con l’istituto di Piazza Meda a fare da pivot. Ieri Orcel ha sparigliato le carte e ribaltato le mosse del risiko del credito. Vediamo perché e partiamo dai dettagli dell’operazione lanciata da Unicredit che entro 20 giorni presenterà a Consob il documento di offerta che ha un controvalore complessivo, in caso di integrale adesione, di quasi 10,1 miliardi (cioè 6,657 euro per azione di Banco Bpm). L’offerta pubblica di scambio (Ops) è una tipologia di offerta pubblica che utilizza le azioni dell’offerente, in questo caso Unicredit, per comprare quelle della preda. Viene per questo definita «carta contro carta» a differenza dall’Opa, che utilizza i contanti, e dall’Opas, che avviene in parte in contanti e in parte in carta, cioè in titoli azionari. Per finanziare la sua proposta l’offerente, a meno che non disponga di un grosso pacchetto di azioni proprie, vara un aumento di capitale al servizio dell’offerta, con il quale genera le azioni che verranno scambiate con quelle della preda. In questo caso l’Ops esprime un premio dello 0,5% rispetto al prezzo ufficiale delle azioni dell’istituto guidato da Giuseppe Castagna di venerdì scorso. A supporto dell’offerta, Unicredit lancerà un aumento di capitale di nuove azioni destinate a essere scambiate con quelle del Banco. Aumento che dovrà essere approvato dall’assemblea straordinaria fissata per il prossimo 10 aprile. Entro 20 giorni verranno intanto presentate anche le richieste delle autorizzazioni a Bce, Banca d’Italia e Ivass anche per la quota di controllo in Anima (su cui il Banco ha lanciato l’offerta lo scorso 6 novembre) e le altre controllate. L’intera operazione, stima il gruppo, potrebbe poi chiudersi entro giugno. L’offerta sarà comunque efficace se Unicredit verrà a detenere almeno il 66,67% di Banco Bpm. Che verrà poi incorporata e ritirata dal listino milanese. Dove ieri il titolo della banca di Castagna ha guadagnato il 5,48% a 7 euro (oggi si riunirà il cda) mentre quello di Unicredit ha ceduto il 4,7% a 36,2 euro.Quali sono gli obiettivi dichiarati della mossa su Piazza Meda? In una conferenza telefonica con gli analisti ieri l’ad Orcel ha sottolineato che «l’Europa ha bisogno di banche più forti e più grandi che la aiutino a sviluppare la propria economia e a competere contro gli altri principali blocchi economici». In dote il Banco Bpm porta 4 milioni di clienti. Con un’eventuale fusione Unicredit raddoppierebbe la quota di mercato per filiali nel Nord Italia (area in cui il Banco dispone di oltre 1.000 filiali), diventerebbe la terza banca europea e vedrebbe anche salire la quota di mercato nel Nord Italia dall’11 al 20% mentre la quota nazionale in termini di volumi intermediati salirà dal 9 al 15% e quella dei depositi dal 9% al 14%. Le sinergie di costo sono stimate in 900 milioni e quelle da ricavi in 300 milioni mente i costi di integrazione sono di 2 miliardi. Orcel aveva già tentato per la prima volta di rilevare il Banco di Castagna due anni fa, ma l’operazione venne ostacolata da una fuga di notizie che ha fatto salire il prezzo delle azioni. Nel 2021 la stessa Unicredit rinunciò a un potenziale accordo con il governo italiano per rilevare il Monte dei Paschi. Ieri, Orcel agli analisti ha chiarito di non avere per ora «alcuna ambizione su Mps». Ha invece confermato di voler portare avanti le discussioni relative a Commerzbank (che sono state già prolungate nel rispetto delle elezioni di febbraio in Germania). Così come è stata confermata la politica di distribuzione dei dividendi e il dividendo 2024.La mossa di Orcel potrebbe avere un impatto anche su altri tavoli, come quello del risparmio gestito, e su altre partite, come quella che si giocherà a primavera 2025 sulla governance delle Generali. Per valutarne gli effetti bisogna scattare una fotografia di azionisti e accordi commerciali. Il primo socio di Unicredit, public company controllata per oltre l’85% da investitori professionali, è Blackrock con il 6,8%, seguito da Allianz con il 4,1% e da Vanguard con il 3,9%. Nel capitale della banca di Orcel c’è anche Delfin, la cassaforte della famiglia Del Vecchio, che nei giorni scorsi ha rilevato una parte della quota di Mps (circa il 3,5%) ceduta dal Tesoro al fianco del Banco Bpm e di Francesco Gaetano Caltagirone (che aveva comprato un altro 3,5%). Delfin non sapeva nulla della mossa a sorpresa di Unicredit, riferiscono alcune agenzie di stampa citando ambienti vicini alla holding degli eredi del patron di Luxottica. Sia Delfin sia Caltagirone sono anche azionisti di Mediobanca (rispettivamente con il 19,8% e il 7,7%) che possiede il 13,1% delle Generali (di cui Delfin ha il 9,9% e Caltagirone circa il 7%). Ed è curioso che proprio ieri il Financial Times abbia rilanciato un’indiscrezione secondo cui la francese Natixis starebbe trattando con la compagnia triestina per una possibile alleanza strategica che darebbe vita a un gigante Ue del risparmio gestito da oltre 2.000 miliardi. Attenzione, infatti, agli altri intrecci societari in questo settore. Il Banco Bpm ha da poco lanciato un’Opa su Anima (di cui è azionista anche Caltagirone, con il 3,5%, che è anche socio del Banco Bpm, con oltre l’1%). «Se Banco Bpm vuole alzare l’offerta su Anima dovrà convocare l’assemblea», ha detto ieri Orcel agli analisti sottolineando che l’assenza di modifiche all’Opa è tra le condizioni di efficacia dell’Ops sul Banco. Anima, ricordiamolo, ha rilevato un 3% della quota di Mps ceduta dal Mef che, sommata all’1% già in suo possesso, ha portato la sua partecipazione nel Monte al 4%. Nessun commento è arrivato ieri dal Crédit agricole, primo azionista del Banco Bpm con poco meno del 10%. Unicredit ha anche un contratto in scadenza nel 2027 con il più grande gestore patrimoniale europeo, Amundi. Che è di proprietà del Crédit agricole e che ha investito in Anima per conto dei suoi clienti.In mezzo a questo rompicapo, resta una domanda: di fronte alla mossa di Orcel sul Banco Bpm ci sarà una reazione sullo scacchiere del risiko dell’altra big del credito italiano, ovvero Intesa Sanpaolo?<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/unicredit-banco-bpm-2670001934.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="e-orcel-fa-sbroccare-giorgetti-per-noi-e-no-ce-il-golden-power" data-post-id="2670001934" data-published-at="1732604248" data-use-pagination="False"> E Orcel fa sbroccare Giorgetti: «Per noi è no. C’è il golden power» La Lega l’ha presa molto male. D’altronde meno di due settimane fa aveva celebrato l’operazione di Banco Bpm su Mps come il ritorno dell’italianità. Un modo agli occhi dei leghisti di terminare il percorso di risanamento di Mps e soprattutto l’occasione per creare l’asse virtuale tra il mondo che un tempo era della Padania e Siena, ex feudo rosso. Ieri mattina alle 6 e mezza il Mef ha appreso come un comune mortale la notizia dell’Offerta di pubblico scambio immessa sul mercato da Unicredit. La comunicazione della banca guidata da Andrea Orcel ha fatto sapere al mercato di offrire uno scambio di azioni con Banco Bpm sulla totalità delle quote. Una operazione carta contro carta che vale una decina di miliardi e sconta il peso di Unicredit, all’incirca dieci volte quello dell’istituto guidato da Giuseppe Castagna. Non è certo un gossip, ma notizia il fatto che Unicredit non abbia avvisato né il governo né il Mef. Almeno così risulta alla Verità. Così come al contrario risulta che la Bce abbia ricevuto congrue comunicazioni. Da qui scaturisce sicuramente una parte delle reazioni sia di Matteo Salvini sia del titolare del Mef Giancarlo Giorgetti. Il secondo nel corso della giornata di ieri ha voluto precisare di essere stato informato ma di non condividere l’operazione. «Come è noto esiste il golden power, il governo farà le sue valutazioni», ha detto il ministro, «valuterà attentamente quando Unicredit invierà la sua proposta». Giorgetti ha poi citato Von Clausewitz: «Il modo più sicuro per perdere la guerra è impegnarsi su due fronti, poi chissà, magari questa volta questa regola non sarà vera». Il riferimento è alla Germania e al tentativo di scalata messo in atto su Commerzbank, suggerendo implicitamente a Orcel di guardare solo all’estero. Salvini ha messo il carico da undici ed espresso forti perplessità sull’operazione: «Non vorrei che qualcuno volesse fermare l’accordo tra Banco Bpm e Mps per fare un favore ad altri», ha commentato tirando in ballo Banca d’Italia. Premesso che il tema specifico è di competenza della Bce e che la strada del golden power si applicherà con difficoltà (sebbene la notifica sia obbligatoria) a una banca italiana che fa una operazione di mercato su un’altra banca, lo stop leghista e di govenro resta un punto delicato e di matrice totalmente politica. Innanzitutto, in Unicredit si ricordano benissimo che cosa è accaduto nell’ottobre del 2021, quando la banca già all’epoca guidata da Orcel muoveva su Mps. Tensioni sul prezzo fecero saltare l’operazione. Ma ricordano anche che cosa è accaduto nel febbraio del 2022. In quell’occasione Unicredit muoveva guarda caso su Banco Bpm. Indiscrezioni di stampa tolsero il velo di segretezza e imposero l’addio al blitz. Dalle parti di Milano tutti convinti che la notizia fosse trapelata dai corridoi del Mef che aveva in mente altre strade. Non stupisce che Unicredit abbia tirato su un muro. Per essere sicura di non dover assistere a un bis. L’alzata di scudi da parte di Giorgetti dimostra anche un’altra frizione. Per l’ennesima volta si capisce che è venuto meno il dialogo tra un pezzo di finanza italiana, quello che ha sede a Milano, e il governo. La mossa di Orcel, se dovesse andare in porto, scombussolerebbe i piani di Banco Bpm sul Monte dei Paschi ma soprattutto rimescolerebbe il risiko del risparmio gestito che a sua volta Castagna aveva approcciato con la collaborazione del gruppo Caltagirone e di Delfin, guidata da Francesco Milleri. D’altronde si troverebbero comunque al centro del risiko. Da una parte o dall’altra. Delfin ha quote di Unicredit ed entrambe hanno partecipazioni in Anima, Mps e Banco Bpm. Il che ci riporta per prima cosa al futuro di Mps. Ieri Orcel ha tenuto a precisare di non essere interessato. Allora a chi potrebbe vendere la quota, inferiore al 10%, che prenderebbe in carico mangiandosi Banco Bpm? Potrebbe esserci Unipol interessata. Come la vivrebbe il governo? Come uno smacco. D’altronde non si può non notare che l’attuale presidente di Unicredit si chiama Pier Carlo Padoan e quello di Banco Bpm Massimo Tononi. Nessuno dei due ha un background vicino al centrodestra. Forse Salvini si riferiva a questo possibile asse dicendo che l’intervento di Unicredit su Mps potrebbe favorire altri. Al momento è una ipotesi come è una ipotesi il possibile ruolo di Crédit agricole. La banca francese che detiene una quota di Banco Bpm è stata informata? Ci sarebbe magari un accordo per la liquidazione e uno scambio di vedute sulla parte di risparmio gestito (Amundi è controllato da Credit agricole) oppure come sostengono alcuni analisti Unicredit si sarebbe mossa proprio per anticipare i francesi che erano rimasti incastrati dentro l’operazione di Castagna? Vista la battaglia sull’italianità difficile immaginare che la seconda ipotesi se fosse vera non sarebbe stata sventolata. In ogni caso adesso la palla passa al mercato. Spetta alle Borse dire se il futuro del terzo polo sarà dentro una public company in cui il ceo conta molto oppure potrà tornare a un livello più locale nel quale la politica ha più voce in capitolo.
Il motore è un modello di ricavi sempre più orientato ai servizi: «La crescita facile basata sulla forbice degli interessi sta inevitabilmente assottigliandosi, con il margine di interesse aggregato in calo del 5,6% nei primi nove mesi del 2025», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert Scf. «Il settore ha saputo, però, compensare questa dinamica spingendo sul secondo pilastro dei ricavi, le commissioni nette, che sono cresciute del 5,9% nello stesso periodo, grazie soprattutto alla focalizzazione su gestione patrimoniale e bancassurance».
La crescita delle commissioni riflette un’evoluzione strutturale: le banche agiscono sempre più come collocatori di prodotti finanziari e assicurativi. «Questo modello, se da un lato genera profitti elevati e stabili per gli istituti con minori vincoli di capitale e minor rischio di credito rispetto ai prestiti, dall’altro espone una criticità strutturale per i risparmiatori», dice Gaziano. «L’Italia è, infatti, il mercato in Europa in cui il risparmio gestito è il più caro», ricorda. Ne deriva una redditività meno dipendente dal credito, ma con un tema di costo per i clienti. La «corsa turbo» agli utili ha riacceso il dibattito sugli extra-profitti. In Italia, la legge di bilancio chiede un contributo al settore con formule che evitano una nuova tassa esplicita.
«È un dato di fatto che il governo italiano stia cercando una soluzione morbida per incassare liquidità da un settore in forte attivo, mentre in altri Paesi europei si discute apertamente di tassare questi extra-profitti in modo più deciso», dice l’esperto. «Ad esempio, in Polonia il governo ha recentemente aumentato le tasse sulle banche per finanziare le spese per la Difesa. È curioso notare come, alla fine, i governi preferiscano accontentarsi di un contributo una tantum da parte delle banche, piuttosto che intervenire sulle dinamiche che generano questi profitti che ricadono direttamente sui risparmiatori».
Come spiega David Benamou, responsabile investimenti di Axiom alternative investments, «le banche italiane rimangono interessanti grazie ai solidi coefficienti patrimoniali (Cet1 medio superiore al 15%), alle generose distribuzioni agli azionisti (riacquisti di azioni proprie e dividendi che offrono rendimenti del 9-10%) e al consolidamento in corso che rafforza i gruppi leader, Unicredit e Intesa Sanpaolo. Il settore in Italia potrebbe sovraperformare il mercato azionario in generale se le valutazioni rimarranno basse. Non mancano, tuttavia, rischi come un moderato aumento dei crediti in sofferenza o gli choc geopolitici, che smorzano l’ottimismo».
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Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
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Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
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Merito-Dicembre-2025.pdf
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