
Nata circa 5.000 anni prima di Cristo in Mesopotamia, la birra si diffuse in Egitto e da lì in Europa. Nel XII secolo fu la monaca benedettina Ildegarda ad aromatizzarla con il luppolo. Per papa Alessandro VII era sulfurea e venne accusata di accorciare la vita.S'offendano pure, ma certe cose bisogna dirle: gli americani che bevono la birra direttamente dal collo della bottiglia o dal foro della lattina - e a quanto si vede nei loro film lo fanno tutti - sono barbari. Senza offesa per le antiche popolazioni barbariche - Germani, Galli, Celti, Belgi (che secondo Asterix la bevevano riscaldata) - che avevano un tale rispetto della cervogia, la nonna della birra, da berla in coppe d'oro ornate di gemme o in corni di bue con la bocca cerchiata d'oro o d'argento. Per loro bere birra non era solo l'atto del dissetarsi, era un rito, una sorta di preghiera pagana. Ne approfittò Giulio Cesare che agli dèi credeva poco, anche ai suoi, per tornare a Roma dalle vittoriose campagne galliche con una tale collezione di boccali preziosi, di crateri, coppe, nappi di squisita fattura artigianale che avrebbe potuto aprire non so quante birrerie nell'Urbe se ai Romani fosse piaciuta la birra. Ma alla bionda bevanda alcolica di orzo e grano i cives preferivano il vino dei Colli Albani, il Falernum, il Caecubum.Dici birra e pensi al Nord Europa. Invece l'origine è mediterranea e berla dal collo della bottiglia è un'offesa a settemila anni di storia. La birra nasce circa 5.000 anni prima di Cristo in Mesopotamia, prodotta nel fertile territorio racchiuso tra il Tigri e l'Eufrate. L'importanza della bevanda crebbe a tal punto che i Sumeri ne affidarono la protezione a una dea, Nunkasi, e il re babilonese Hammurabi regolò con una legge il consumo di birra e le modalità di vendita. Duemila anni dopo dalla Mesopotamia la birra si diffuse in Egitto dove in breve tempo divenne bevanda nazionale. Secondo gli Egizi fu il dio Osiride a crearla mescolando l'acqua del Nilo all'orzo fermentato. «L'effetto inebriante», scrive Renzo Pellati ne La storia di ciò che mangiamo, «fece pensare a un collegamento con il mondo degli dèi, da qui il significato religioso e rituale». Per questo troviamo raccontato nelle pitture murali il lavoro dei birrai e vasi contenenti birra sono stati trovati nelle tombe di faraoni e notabili: la bevanda avrebbe reso più piacevole il viaggio nell'aldilà. La birra fu una delle cause del primo sciopero della storia: nel XII secolo avanti Cristo, regnante Ramses III, i lavoratori che stavano costruendo i templi di Tebe incrociarono le braccia perché da giorni non arrivavano le razioni di cibo che spettavano loro: grano, legumi, birra. Furono i Greci a introdurre la birra in Europa, ma non l'amavano molto. La chiamavano «vino d'orzo». La birra si riscattò trovando immediato successo presso Galli, Celti e tutte le altre popolazioni del nord. Da allora, scrive Pellati, «l'Europa risulta per secoli divisa da un confine ideale al di sopra del quale si beveva birra e al di sotto vino». Greci e latini preferivano decisamente il frutto della vite. Eschilo nel V secolo avanti Cristo, ne Le Supplici, prende pesantemente in giro gli egiziani: «Non sono uomini veri, ma uomini che bevono vino d'orzo». Publio Cornelio Tacito rincara nel De origine et situ Germanorum scrivendo che le popolazioni di lassù bevono «un liquido ricavato dall'orzo o dal frumento fermentato pressapoco come il vino».Fu grazie a monaci dell'area intorno al basso Reno (Germania, Alsazia, Svizzera) che intorno al Mille fu introdotto l'aromatizzante giusto: il luppolo che rese la birra più piacevole, quindi, apprezzata, e in grado di durare più a lungo nel tempo. C'è la mano di una santa nell'incentivazione dell'uso del luppolo: santa Ildegarda di Bingen, monaca benedettina tedesca del XII secolo, dichiarata dottore della chiesa da papa Benedetto XVI. Donna di vasti studi, scoprì che l'infiorescenza del luppolo svolgeva un'azione antisettica e conservante. Scrisse nel Libro delle creature: «Grazie alla sua amarezza, il luppolo blocca la putrefazione di certe bevande alle quali lo si aggiunge, al punto che possano conservarsi molto più a lungo».Oltre alla sumera Nunkasi e all'egiziano Osiride, la mitologia legata alla birra è ricca d'«inventori», dal fantomatico Charlie Mopps cantato dal popolo dei pub inglesi quando intona Beer, beer, beer, al leggendario re fiammingo Gambrinus raffigurato con due boccali per mano e appoggiato a una botte. Secondo i cechi a inventare la birra fu il mitico Radigost. Ma se questa è leggenda, è verità che la birra chiara, leggermente alcolica ottenuta con il lievito a bassa temperatura, è nata a Pilsen, nella Repubblica Ceca nel 1842. Nonostante il luppolo, la birra continuò a dividere a lungo i gusti dei bevitori. Tra i contrari va annoverato il medico senese Aldobrandino che, nel 1256, pur riconoscendo il valore diuretico e cosmetico della birra, terrorizzò i pazienti: «Con qualsiasi cosa venga prodotta, sia con l'avena, sia con l'orzo o con il frumento, la birra fa male alla testa e allo stomaco, causa una cattiva respirazione e rovina i denti, riempie lo stomaco con fumi dannosi, e chiunque la beva insieme al vino s'ubriaca rapidamente». Contrario fu il cardinale Fabio Chigi, futuro papa Alessandro VII. Quand'era legato in Westfalia (prima metà del '600), gli fu offerto un boccale di birra al posto del vino. L'eminenza l'assaggiò e, poco diplomaticamente, lanciò l'elegante e prezioso steinkrug in porcellana fuori dalla finestra: «Se ci mettete un po' di zolfo è una bevanda degna del diavolo». Il conterraneo e contemporaneo Francesco Redi, medico e poeta, calunniò la birra di accorciare la vita: «Chi la squallida cervogia/ alle labbra sue congiugne,/ presto muore, o rado giugne/ all'età vecchia e barbogia». La birra rispose dopo tre secoli con l'indovinatissimo slogan: «Chi beve birra campa cent'anni».Grandi bevitori di birra i lanzichenecchi accettavano l'ingaggio mercenario pretendendo la fornitura di 15 litri di birra al giorno a testa. Ma ad esaltare la birra, prima di Redi, ci fu un poeta di tutt'altro spessore: William Shakespeare. Al bardo di Stratford-upon-Avon la bionda bevanda piaceva assai. Tanto che la nominò nell'Amleto, nel Sogno di una notte di mezza estate e nell'Enrico V: «Ah, come mi vorrei trovare a Londra, in una birreria! Sarei disposto a barattare tutta la mia gloria per un gotto di birra e la pellaccia!». Ma è ne Il racconto d'inverno che rivela tutta la sua passione per la birra quando fa dire al vagabondo Autolico: «Un boccale di birra è un pasto da re!». Fu proprio un sovrano, kaiser Guglielmo II, a buttarla in sesso e politica: «Datemi una donna che ama la birra e conquisterò il mondo».Il primo birrificio italiano fu aperto nel 1789 da Giovanni Baldassarre Ketter a Nizza, che apparteneva ancora al regno Sabaudo. In poco più di settant'anni il Piemonte divenne la birreria d'Italia. Subito dopo l'unità del Paese, Torino contava 114 birrerie. Oggi non c'è regione italiana che non vanti la sua birra, dalla Messina siciliana all'Ichnusa sarda, dall'Amarcord romagnola, alla veneta Corti veneziane. Micro e piccoli birrifici artigianali si moltiplicano a vista d'occhio mentre proseguono il loro storico cammino marchi centenari: la biellese Menabrea, la Moretti di Udine, la Wurher bresciana, la Peroni nata a Vigevano, la Poretti.Bere birra seriamente - e non dalla bottiglietta - è un rito. È vero che George Orwell diceva che la birra bevuta nei calici di porcellana ha un gusto impareggiabile, ma la birra vuole il vetro: inerte, esalta il colore della bevanda senza intaccare fragranza e sapore. È importante anche la forma del bicchiere per esaltare l'aroma: bicchieri stretti e slanciati vanno bene per le birre a bassa fermentazione, quelle ad alta fermentazione prediligono i baloon dai bordi svasati. Il boccale col manico, che i veneti chiamano pècar, lo lasciamo alle pettorute kellnerin dell'Oktober Fest che riescono a portare, contemporaneamente, una dozzina di brocche da un litro.
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





