2020-07-22
Una cosa è certa: la plastic tax dal 1° gennaio
Per far fronte agli aiuti da distribuire ai Paesi membri, l'Unione impone un nuovo salasso. L'imposta scatterà dal 2021 e ammonterà a 80 centesimi ogni chilo di imballaggi non riciclati: quasi il doppio di quanto previsto nella legge di BilancioLa maratona di scadenze rischia di dare la mazzata finale a 4,5 milioni di contribuentiLo speciale contiene due articoli«Come primo passo, dal 1° gennaio 2021 sarà introdotta e applicata una nuova risorsa propria composta da una quota delle entrate provenienti da un contributo nazionale calcolato sul peso dei rifiuti di imballaggio di plastica non riciclata pari a 0,80 euro per chilogrammo». Queste le parole scritte nel documento conclusivo del Consiglio europeo che ha portato all'approvazione del Recovery fund da 750 miliardi di euro. Nel testo si specifica dunque come una parte del tutto sarà finanziata dalle risorse proprie dell'Ue, che per l'occasione dovranno essere trovate e rimpolpate. E dunque la prima che entrerà in vigore e servirà a questo scopo sarà proprio la plastic tax. Nel primo semestre del 2021 la Commissione invece presenterà altre due proposte per la carbon e digital tax, che dovranno essere introdotte nei vari Stati membri a partire dal 1° gennaio del 2023. Per il momento agli italiani tocca dunque solo la tassa sulla plastica a partire dal 1° gennaio 2021, che era stata introdotta dalla legge di Bilancio 2020 e poi sospesa dal decreto Rilancio per far fronte all'emergenza del coronavirus. Lo schema di base dell'imposta potrebbe però subire dei cambiamenti, per adeguarsi alle richieste europee. Inizialmente il governo aveva previsto un prelievo, che sarebbe dovuto partire il 1° luglio 2020 pari a 0,45 euro al chilo. Potrebbe invece adesso doversi alzare a 0,80 euro seguendo il ragionamento fatto sulla scia delle decisioni prese dal Consiglio europeo. La certezza si ha invece ancora sull'oggetto dell'imposta. E infatti questa è destinata al materiale plastico di singolo impiego destinato al contenimento, protezione, manipolazione o consegna di merci e prodotti alimentari realizzati con materiali che non ne consenta il riuso più volte (bottiglie, buste, vaschette per alimentari in polietane, contenitori in tetrapak che vengono usati per diversi prodotti alimentari come il latte o il vino, i contenitori dei detersivi, gli imballaggi in polistirolo espanso, i rotoli di plastica pluriball e le pellicole e i film in plastica estensibili).Sono dunque esclusi dalla tassazione i prodotti compostabili, quelli che si possono usare più volte come le taniche o i secchi destinati al contenimento dei liquidi o per la custodia di oggetti vari, e tutti i dispositivi medici, compresi anche i contenitori dei medicinali. Da sottolineare che i prodotti tassabili non sono solo il classico imballaggio. La norma specifica infatti che ci possono essere diverse forme e che anche l'uso parziale di materiale plastico non ad hoc comporta la tassazione del tutto. Per essere esclusi bisogna quindi controllare che il manufatto non sia stato creato, neanche in piccola parte, da materie plastiche costituite da polimeri organici di origine sintetica e non ideati e messi sul mercato per essere riutilizzati più volte per lo stesso scopo (Macsi). La plastic tax ricade dunque sia sul fabbricante che in Italia produce prodotti plastici, sia su chi acquista materiali non sostenibili da un produttore dell'Ue nell'ambito dell'esercizio di attività di impresa e anche dall'importatore nel caso in cui il manufatto in questione provenga da Paesi terzi. Di conseguenza l'accertamento dell'imposta dovrà essere fatto da questi tre soggetti in base alle dichiarazioni trimestrali presentate all'Agenzia delle entrate. In questa dovranno essere indicati anche i quantitativi di materie plastiche inquinanti utilizzati per la realizzazione dei prodotti Macsi. Questo è fatto per evitare che il contribuente versi un'imposta su oggetti già tassati. L'imposta dovrà inoltre essere versata tramite un F24. Al momento non sono ancora presenti i codici tributo da indicare. L'Agenzia delle entrate dovrà infatti fornire tutte le specifiche necessari tra cui anche questi, prima dell'entrata in vigore della norma. I soggetti che invece risultano non essere residenti in Italia dovranno nominare un rappresentante fiscale e questo dovrà effettuare i necessari pagamenti relativi all'imposta. Si è però esonerati dal redigere i vari documenti e pagare la plastic tax se l'importo risulta essere inferiore ai 10 euro. E questo «per evidenti motivi di semplificazione amministrativa». Per quanto riguarda invece i controlli e le sanzioni, queste possono essere fatta dall'Agenzia delle entrate, nel caso in cui si tratti di imprese nazionali o di imprenditori italiani che acquistano prodotti da un Paese membro dell'Ue mentre dall'Agenzia delle dogane e dei monopoli per tutti i prodotti Macsi di importazioni da Paesi terzi. Per quanto riguarda invece la verifica delle imposte, questa sarà svolta dalla Guardia di finanza e dalle due Agenzie coinvolte nel processo. Nel caso in cui non si paghi la plastic tax la norma prevede una sanzione amministrativa che può andare dal doppio al decuplo dell'imposta evasa. E comunque la multa non dovrà essere inferiore ai 500 euro. Se si ritarda al pagamento ci sarà una sanzione amministrativa del 30% dell'imposta dovuta (anche in questo caso la punizione non potrà essere inferiore ai 250 euro). Se invece si presenta tardi la dichiarazione all'Agenzia delle entrate ci sarà una sanzione che oscilla dai 500 ai 5.000 euro. Secondo i calcoli del governo Conte, la plastic tax porterebbe a un introito per il 2021 di 1,8 miliardi di euro, mentre per il 2022 di 1,5 miliardi. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/una-cosa-e-certa-la-plastic-tax-dal-1deg-gennaio-2646446406.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="senza-la-proroga-e-ingorgo-fiscale-i-commercialisti-fanno-sciopero" data-post-id="2646446406" data-published-at="1595356000" data-use-pagination="False"> Senza la proroga è ingorgo fiscale. I commercialisti fanno sciopero I commercialisti non cedono e ieri hanno annunciato lo sciopero di categoria contro la decisione del governo di non rinviare a settembre le scadenze fiscali. Inoltre, nessun invio telematico dei dichiarativi Iva il 16 settembre 2020, giorno della seconda scadenza annuale Li.pe (Liquidazioni periodiche dell'Iva). È quel che intendono fare i commercialisti italiani contro «il governo che ha opposto un no che sembra irrevocabile, oltre che incomprensibile» e che sta provocando un maxi ingorgo di scadenze fiscali per 4,5 milioni di contribuenti che verseranno 8,4 miliardi nelle casse dello Stato. La decisione di sindacati e Consiglio nazionale dei professionisti è stata spiegata direttamente in Senato. Il presidente dei dottori commercialisti, Massimo Miani, aveva già anticipato che ci sarebbe stata un'azione forte e coordinata tra Ordini, sindacati e iscritti: «Il governo si mostra sordo alle ragionevoli richieste, il no ha dell'incredibile e così ci vediamo costretti a chiamare la categoria alla mobilitazione e a forme di protesta forte. È il momento di chiamare a raccolta i 120.000 commercialisti italiani. Il loro responsabile impegno quotidiano al fianco di cittadini e imprese merita quel rispetto che la politica ci nega da troppo tempo». La mazzata fiscale cominciata lunedì scorso, e che si completerà il 30 e 31 luglio, su imprese e professionisti rischia infatti di frenare gli sforzi di settori economici che stanno faticosamente riprendendosi dopo il lockdown per il Covid-19. Ieri però il viceministro dell'Economia, Laura Castelli, ha spiegato che «il nuovo scostamento che il governo si appresta a chiedere alle Camere dovrebbe essere di circa 20 miliardi che serviranno anche per cancellare una parte delle tasse rinviate a settembre, uno stralcio di almeno un terzo, a partire dalle attività più colpite dalla crisi. Inoltre per le scadenze rinviate a settembre si sta pensando anche a una rateizzazione più lunga». Le più penalizzate sono proprio le partite Iva già pronte alla protesta per le parole dell'altro viceministro dell'Economia, Antonio Misiani: «In questo Paese bisogna anche iniziare a dire che le imposte vanno pagate perché servono a finanziare i servizi essenziali. E non credo che le partite Iva stiano peggio degli altri». Non la pensa così il centrodestra che di fronte alla maratona delle 142 scadenze dice di essere «al fianco dei commercialisti e dei contribuenti. Noi sosterremo qualunque forma di protesta fiscale, di sciopero fiscale delle partite Iva, degli autonomi e dei commercialisti. È indegno che un governo pretenda il rispetto delle scadenze da parte di chi è stato chiuso 4 mesi. È una follia. Abbiamo un governo di incapaci» hanno detto Matteo Salvini e Giorgia Meloni. A parlare invece di problemi tecnici legati a un rinvio delle scadenze è stata ieri in audizione presso la commissione Finanze della Camera, Fabrizia Lapecorella, direttore del dipartimento delle finanze del Mef: «Sul piano tecnico, rinviando al 30 settembre una parte significativa delle imposte autoliquidate non si è più in grado di formulare delle proiezioni del gettito dei tributi autoliquidati che consentano di determinare il livello delle entrate atteso entro la fine dell'anno» ha spiegato Lapecorella ai parlamentari. «Se il governo è determinato a intervenire con la manovra finanziaria per semplificare il sistema del credito e per ridurre la pressione fiscale sulle imprese, deve avere contezza dello spazio finanziario disponibile». Intanto ieri il sottosegretario al Lavoro, Francesca Puglisi, ha chiarito che il governo vuole prorogare lo smart working non solo nella pubblica amministrazione, come prevede il dl Rilancio, ma anche nel privato con una norma che sarà nel prossimo decreto per il prosieguo degli ammortizzatori sociali.