2020-06-30
Un governo terminale tenuto in vita dall’avvocato maestro del rinvio
L'accesso al prestito del Meccanismo di stabilità è vincolato a una consultazione parlamentare che Giuseppe Conte evita debitamente. Accadrà come con Autostrade, Ilva e ponte di Genova: tutto sospeso per tirare a campare.Da avvocato, Giuseppe Conte sa che le parole sono importanti. Una virgola o un aggettivo possono infatti cambiare l'esito di una causa, perché di un contratto ciò che conta non è l'intenzione di coloro che lo hanno sottoscritto, bensì quanto è stato messo nero su bianco, ossia l'atto conclusivo firmato dalle parti. Dunque, quando nacque il Conte bis, un ircocervo con dentro 5 stelle e Pd, si capiva che il contratto di governo sarebbe stato irrealizzabile, perché al di là del collante che attaccava i parlamentari giallorossi alla poltrona, nient'altro univa i due schieramenti politici. I quali, fino al giorno prima, cioè fino a che Matteo Renzi non realizzò l'ennesimo voltafaccia della sua carriera, si detestavano poco cordialmente. Di sicuro, grillini e piddini avevano una posizione diametralmente opposta sul Mes, il cosiddetto Fondo salva Stati. Mentre i primi ritenevano che fosse una fregatura, l'ennesimo modo per legare le mani all'Italia in cambio di un'apertura di credito, i secondi, che nel solco della tradizione prodiana sono sempre pronti a digerire qualsiasi cosa arrivi da Bruxelles, dunque anche le fregature, erano favorevoli. Come si sarebbero comportati dunque al momento di prendere una decisione sulle regole del Fondo? Per quanto ci riguarda, li aspettavamo al varco già mesi fa, perché un voto sul Mes avrebbe potuto sancire l'ennesima piroetta pentastellata, dopo quelle sulla Tav e sul Tap, oppure una profonda spaccatura dell'armata giallorossa. Ma Conte, che come dicevamo è un giocoliere e sa gettare in aria le parole per distrarre gli astanti, finora è riuscito a evitare di aggiungere virgole e aggettivi all'accordo pro o contro il Mes. Soprattutto è riuscito a scongiurare l'appuntamento definitivo, quello che metterebbe un punto alla faccenda. Nonostante il Parlamento lo abbia vincolato a un voto in aula prima della scelta sul Salvastati, il presidente del Consiglio è riuscito fino a oggi a discutere con i partner europei senza mai avere un mandato. Anche in vista dell'ultimo consiglio d'Europa, il nostro se l'è data a gambe, girando al largo da Montecitorio e Palazzo Madama nel timore che una decisione potesse rappresentare la fine della sua carriera di premier.Di rinvio in rinvio, così si è arrivati a oggi, con un'Italia che non ha soldi, ma neppure ha idea di come fare a trovarli. Il capo del governo respinge ufficialmente il denaro che viene offerto dall'Europa attraverso il Meccanismo europeo di stabilità, perché sa che almeno la metà dei grillini non accetterebbe mai un prestito condizionato e che di fatto aprirebbe le porte alla Troika. Non potendo dire sì senza rischiare la poltrona, Conte da mesi insegue il sogno di un Recovery fund multimiliardario e privo di vincoli, ma più passa il tempo e più si capisce che il piano è di là da venire e dunque anche i quattrini. Nel mezzo di una situazione che si va complicando, il presidente del Consiglio continua a dire che l'Italia non ha bisogno di finanziamenti, rimandando a settembre ogni decisione. Gli Stati generali, da questo punto di vista, sono stati un espediente per prendere tempo e allontanare l'ora della resa dei conti, ma più il tempo passa e più le cose peggiorano. Ogni indicatore economico segnala il peggio e i centri studi delle organizzazioni imprenditoriali e commerciali sfornano proiezioni da brivido. Ma invece di prendere una decisione, magari ricorrendo massicciamente al mercato, come noi ma anche autorevoli economisti hanno suggerito, Conte rimane in una specie di limbo, dove l'indecisione regna sovrana. A tirarlo per la giacchetta ci ha pensato Angela Merkel, e l'uomo ha reagito con stizza. Ieri, a dargli una specie di penultimatum, ha provveduto un altro cuor di leone che risponde al nome di Nicola Zingaretti, uno che gli ultimatum non sa cosa siano. Risultato, al momento il premier continua nell'attività che gli riesce meglio: tergiversare. Cioè, dire tutto e il contrario di tutto, ma quel che conta è non prendere una strada che ne precluda un'altra, con il rischio di finire in un vicolo cieco. Sì, Conte è Conte, il premier più indecisionista che ci sia capitato di conoscere. C'è da revocare la concessione ad Autostrade? Dopo aver minacciato tuoni e fulmini, a distanza di due anni dal crollo del ponte Morandi non ha ancora deciso che cosa fare. Quelli dell'Ilva fanno gli indiani e riconsegnano le chiavi dell'acciaieria? Il premier alza la voce, ma passato il clamore sui giornali abbassa le penne e aspetta paziente che gli dicano cosa fare. Sì, insomma tutto rimane sospeso: gli annunci sono tanti, ma i fatti ridotti allo stretto necessario. L'obiettivo del resto rimane il solito, che accomuna Conte al più incallito dei politici. Come diceva Giulio Andreotti, tirare a campare è meglio che tirare le cuoia. Perciò aspettatevi altre puntate della telenovela del Mes e altri penultimatum di un segretario del Pd che, da governatore del Lazio, ha imparato l'arte del non governo.