2025-08-31
«Un asse tra Quirinale e Vaticano per portare Carpaccio in Slovenia»
Per Roberto Menia, padre del Giorno del Ricordo, dietro al trasloco del capolavoro c’è una mossa congiunta. «Non capisco questo atteggiamento di dare tutto senza ottenere in cambio nulla per gli esuli e i loro eredi».Forse, per comprendere meglio la storia della pala d’altare di Vittore Carpaccio che l’Italia sta per cedere alla Slovenia bisogna partire da Trieste. È il 13 luglio del 2020 e siamo in piena pandemia. Nonostante questo, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, organizza un incontro, per celebrare la cessione dell’ex Narodni dom, ricostruito e divenuta sede universitaria, alla minoranza slovena ma, curiosamente, le chiavi vengono consegnate all’omologo sloveno Borut Pahor. Prima dell’evento, i due capi di Stato decidono di andare nei luoghi che, più di tutti, raccontano il dramma della Seconda guerra mondiale e del confine orientale: la foiba di Basovizza e il memoriale che ricorda quattro membri del Tigr fucilati nel 1930 dagli italiani. Scattano le foto di rito tenendosi per mano. Sono il simbolo della distensione tra i due Paesi. «Una distensione che però è sempre a senso unico», commenta il senatore di Fratelli d’Italia, Roberto Menia. «In quell’occasione Mattarella ha commemorato quattro terroristi che operavano per separare dall’Italia, Trieste, Gorizia, l’Istria e e Fiume. Così facendo, pur non volendolo, ha dato fiato al giustificazionismo e al revisionismo anti italiano». Pochi sanno cos’è il Narodni dom, che in italiano significa «casa nazionale». Si tratta della sede utilizzata dagli sloveni triestini a inizio Novecento, che venne data alla fiamme il 13 luglio del 1920. «Ma ancora meno gente», ricorda Menia, «sa che prima di quell’incendio ci fu la strage di Spalato in cui vennero uccisi dagli slavi il comandante di Nave Puglia, Tommaso Gulli, e il motorista Aldo Rossi. Mattarella pare averlo dimenticato». Sul perché l’Italia avesse unilateralmente ridato il Narodni dom alla Slovenia si è congetturato a lungo. Si trattava infatti di un atto inspiegabile. Poi, un articolo del Piccolo ha fatto finalmente chiarezza: «Angelino Alfano e Karl Erjavec stabilirono nel 2017 il passaggio di proprietà dell’attuale sede di via Filzi in cambio del sostegno di Lubiana all’Italia per l’insediamento (poi fallito) a Milano dell’Agenzia del farmaco». Un flop. In cui l’Italia è riuscita a perdere due volte. Eppure ha continuato a blandire Lubiana, dimenticandosi degli esuli: «Quella fu una cerimonia indigeribile», chiosa Menia, che prosegue: «E non capisco perché il capo della Stato prosegua su quella china di arrendevolezza che ha caratterizzato la politica adriatica dal Dopoguerra ad oggi e si ostini in questa posizione supina nei confronti di Lubiana. Anche sulla pala d’altare di Vittore Carpaccio che verrà consegnata dai francescani proprio nei giorni in cui Mattarella sarà a Capodistria. C’è stato un escamotage, una trattativa, tra Quirinale, Vaticano e Slovenia che lo ha reso possibile». E tutto questo nel cinquantesimo anniversario del trattato di Osimo, con cui l’Italia cedette i territori della zona B dell’Istria alla Jugoslavia: «Fu una vergogna, era il 1975, la guerra era finita da trent’anni ma gli americani ci obbligavano a essere amici di Tito, il nostro carnefice, perché era utile in funzione anti sovietica. Ma davvero dobbiamo continuare a cedere quello che è legalmente il nostro patrimonio a chi ha preso le nostre terre, cacciato gli italiani, rubato le nostre case, nazionalizzate dai comunisti ma poi tenute ben strette, senza restituirci neppure un mattone e ancora oggi osteggia in ogni modo l’ingresso delle nostre aziende e una rinnovata presenza italiana? Basta guardare i censimenti…». Già perché la presenza italiana in Istria e Dalmazia continua a diminuire: «A me non basta», afferma Menia, «che piangiamo sul Giorno del ricordo e poi ci dimentichiamo di tutto il resto e cediamo le nostre opere d’arte alla Slovenia e alla Croazia. E poi un giorno Tartini diventa sloveno e l’altro Marco Polo croato. Non è che se reclamano qualcosa dobbiamo darglielo. Hanno preso tutto, hanno balcanizzato l’Istria facendo scomparire quel tessuto sociale che aveva resistito per secoli». Oggi si parla di Pirano, la città in cui tornerà la pala di Carpaccio, «ma il 95% della popolazione di quella città se n’è andata a guerra finita con l’esodo, quelle opere d’arte erano figlie della cultura e del tessuto veneziano e italiano dell’Istria, anche le congregazioni religiose che oggi cedono quell’opera d’arte scapparono perché avevano paura dei comunisti».Perché quello che appare, che poi è ciò che succede con regolarità, è che il nostro Paese tenda più a dare che a ricevere. Quasi che si sentisse ancora in colpa per ciò che è successo nel Novecento. Agli esuli nulla è stato dato e tutto è stato tolto. A volte anche la dignità, nonostante fossero, e siano ancora oggi, italiani due volte: per nascita e per scelta. «Io non ho nulla contro la Slovenia», conclude Menia. «Vorrei essere loro amico ma vorrei anche che ci ridessero la storia, che è nostra. Vorrei vedere un’Italia un po’ più presente in quelle terre. Va bene la politica dell’amicizia, però deve essere su base giuste. Vorrei un’Italia che porta aziende e industrie, che porta scuole e fa riparlare l’italiano, ma non è possibile… Vorrei insediamenti veramente italiani, non solo qualcuno va oltre confine per pagare meno tasse e senza alcuna prospettiva. Non è un discorso di nostalgia e rancore, anche se non è certo reato la nostalgia della propria storia. Però vedere il nostro Paese che si prodiga a cedere questi beni senza ottenere mai nulla in cambio, o peggio essere preso in giro come nel caso dell’Agenzia del farmaco, fa male. Non solo a noi che siamo vivi oggi ma pure alla memoria di chi in quelle terre è morto oppure ha dovuto lasciarle».Come la Pala di Carpaccio, che sta per abbandonare Padova. Ci sarà un pezzettino d’Italia in più in Istria, è vero. Ma a che prezzo?
Giorgia Meloni e Donald Trump (Getty Images)
il ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araghchi (Ansa)
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa del 14 ottobre con Flaminia Camilletti
Donald Trump (Getty Images)