2024-04-02
L’ultima sfida della Murgia? Con il Fisco
Nel testamento olografo, la scrittrice scomparsa l’anno scorso aveva lasciato tutti i beni alla sua «famiglia d’anima». Ma la casa in Sardegna era già stata aggredita dall’Erario per una pendenza da 47.000 euro per multe e imposte non pagate.Si fa un gran parlare di eredità eccellenti e di testamenti olografi, da quelli di Gianni Agnelli a quelli di Silvio Berlusconi, ma ce ne sono altri non meno interessanti. È il caso del lascito della scrittrice Michela Murgia, campionessa del pensiero progressista e pugnace combattente di battaglie più o meno condivisibili. Nell’ultimo periodo della sua, purtroppo, breve vita, ha vergato nuovi romanzi e zibaldoni di pensieri (nel 2022 è uscito God save the queer. Catechismo femminista, nel 2023 Tre ciotole-Rituali per un anno di crisi, mentre postumo, a inizio 2024, è arrivato in libreria Dare la vita) per assicurare ulteriori guadagni alla sua numerosa famiglia «queer» (termine che si associa a chi non si riconosce in un’identità di genere binaria), composta da diverse amiche, quattro figli adottivi e un marito sposato in articulo mortis (un matrimonio celebrato «controvoglia», solo «per garantirsi diritti a vicenda»).E dall’analisi del testamento e delle proprietà collegate, che La Verità ha esaminato in esclusiva, emerge che Michela non era una datrice di lavoro modello e aveva più di un problema con il pagamento delle imposte allo Stato italiano e alle amministrazioni locali. Forse in nome dell’indipendentismo sardo di cui era stata portabandiera.Ma partiamo dalle ultime volontà dell’artista, scritte di proprio pugno il 15 luglio 2023. Nel testo vengono indicate come esecutrici testamentarie l’avvocato trapanese Cathy La Torre (grande amica della Murgia) e l’interior designer Claudia Fausone (con la quale la scrittrice ha «condiviso per dodici anni un figlio», Raphael, anche se le due donne, pur definendosi coppia omogenitoriale, non avevano una relazione) e proprio La Torre, il 23 novembre scorso, ha consegnato l’originale al notaio bolognese Luigi Tinti, «un foglio protocollo a quadretti piegato in quattro, scritto con penna di inchiostro nero, con calligrafia chiara e sicura, per settantasette righe compresa la data e la firma». Il senso del documento era stato anticipato dalla stessa La Torre alle agenzie di stampa, dopo la morte della scrittrice sarda, avvenuta il 10 agosto. Si trattava dell’atto finale della «lotta politica» portata avanti dalla Murgia per il riconoscimento del mondo queer: «Quello che abbiamo fatto è stato non solo dare dignità politica a questo tipo di famiglia e relazioni, ma anche dargli una dignità di fronte alla legge e lo abbiamo fatto attraverso un testamento articolato, attraverso una cosa che spesso la gente non fa perché pensa che costi molti soldi, invece in realtà scrivere un testamento di proprio pugno, olografo, non ha alcun costo e in qualche modo è uno dei primi passi che si può fare in questo senso» spiegò l’avvocato. E leggiamola questa rivendicazione «politica»: «La sottoscritta Michela Murgia, nata a Cabras il 3 giugno 1972, e residente a […] Roma, nel pieno possesso delle sue facoltà mentali e dunque pienamente capace di intendere e di volere, con il presente testamento scritto di mio pugno dispongo le seguenti volontà: lascio l’usufrutto della mia casa di Cabras […] a mia madre Costanza Marongiu, finché lei sarà in vita. Lascio altresì la nuda proprietà del medesimo immobile ad Alessandro Giammei (classe 1988, docente a Yale, uno dei quattro “figli d’anima” della Murgia, ndr) il quale acquisirà l’intera proprietà alla morte di mia madre. Il mio desiderio è che, una volta liberato dall’usufrutto di mia madre, l’immobile venga venduto e la liquidità venga usata per soddisfare ogni esigenza che potrebbe emergere dopo la mia morte, con particolare riferimento a situazioni debitorie». Ecco la nota dolente. Sulla casa gravano ancora 47.399 euro di debiti con il Fisco e l’Inps (ma il gravame, come da prassi, è iscritto per il doppio del valore, ovvero 94.798 euro). Un’ipoteca che potrebbe non rappresentare il solo contenzioso con lo Stato. In questo caso si tratta di un passivo proveniente da vari tributi non versati, in particolare in qualità di datore di lavoro: come titolare della Isolanet, impresa di servizi connessi alla tecnologia informatica nata nel 2004 e cancellata nel 2005, le sono stati contestati il mancato versamento dell’Iva, dell’Irpef per lavoro dipendente e di contributi Inps, oltre che delle ritenute fiscali su retribuzioni, pensioni, trasferte e mensilità aggiuntive (con relative sanzioni). La maxi cartella ipotecaria comprende anche contravvenzioni per violazioni del codice della strada, tra gli 80 e i 150 euro, subite a Oristano, Cagliari e Arborea, e anche tasse automobilistiche da poche decine di euro (bolli per macchine o motocicli, che in Sardegna sono gestiti dall’Agenzia delle entrate), ma l’importo finale risulta pari a zero probabilmente perché cancellate da un saldo e stralcio. Nell’elenco dei debiti compare pure il contributo di solidarietà sui redditi alti introdotto da Mario Monti nel 2011, una gabella applaudita, almeno a livello mediatico e demagogico, dagli esponenti della sinistra. Anche in questo caso, però, la pasionaria sarda si sarebbe sottratta al pagamento. Alla fine pure questa cartella non prevede costi, probabilmente per lo stesso motivo delle multe. La prima «comunicazione preventiva», ovvero l’avviso con il quale l’ente aveva chiesto alla Murgia di rientrare e che ha interrotto i termini di prescrizione, risale al 2011. Tra il 2012 e il 2018 il debito è cresciuto fino all’addebito esecutivo e al trasferimento della pratica all’ufficio Riscossione. Che il 24 giugno 2021 ha iscritto l’ipoteca. Ma riprendiamo a scorrere il testamento: «Ad Alessandro lascio altresì, in qualità di mio esegeta sin dall’inizio della sua e mia carriera, la curatela completa e insindacabile di tutti i miei testi editi inediti e di qualunque altra natura negoziabile. Egli ha altresì accesso, tramite password che è custodita come da indicazioni in postilla, alla gestione postuma di tutti i miei account social, email compresa, alle mie agende scritte e a quanto di virtuale possa aver prodotto in questi anni. Gli lascio anche le agende scritte a mano, il certificato di cavalierato della ministra francese e le edizioni straniere della mia produzione, nonché il romanzo Canne al Vento di Deledda con l’autografo. Lascio la casa di via Rolli […] a Roma a Raphael Luis Truchet (altro “figlio d’anima”, studente universitario, ndr) e a Francesco Leone (ulteriore fratello e cantante lirico, nato a Cagliari nel 1994, ndr), consapevole che essine disporranno in modo da non lasciarla mai vuota, disabitata. Desidero infatti che Lorenzo (Terenzi, musicista, attore e regista, il marito sposato in punto di morte, anche lui classe 1988, ndr) continui ad abitarla come casa stabile. Lascio in aggiunta i frutti dei miei diritti editoriali passati, presenti e futuri, detti per semplicità royalties, ad Alessandro Giammei, Raphael Luis Trucher, Francesco Leone, Riccardo Turrisi (altro “figlio d’anima”, esperto di comunicazione con un dottorato di ricerca in Scienza dei materiali, conosciuto con il gioco di ruolo Lot, ndr) e Lorenzo Terenzi nella misura di 1/5 ciascuno. Claudia Fausone e Cathy La Torre dopo la mia morte si occuperanno di gestire l’organizzazione funerea e relative spese, le tasse per l’apertura della successione, nonché le eventuali posizioni debitorie che dovessero permanere nei miei conti correnti. Il denaro che eventualmente residuerà nei miei conti correnti a mio nome, chiedo venga diviso tra» i cinque di cui sopra. C’è poi l’abbigliamento: «L’intero armadio e il patrimonio di abiti firmati a Chiara Tagliaferri (coautrice del podcast Morgana, ndr) affinché ne disponga come crede con licenza di vendita dei pezzi più pregiati. Lascio altresì a Patrizia Renzi tutto il patrimonio di (pochi) ori e (moltissima) bigiotteria, che ho accumulato in questi anni, perché ne disponga a suo giudizio. Il patrimonio delle borse firmate va invece in capo a Claudia Fausone, perché ne disponga a discrezione». Il 26 luglio la Murgia aggiunge una postilla, dove annuncia di rinunciare, in favore della madre, alla quota a lei spettante della vecchia casa del padre, così che i suoi «eredi testamentari non avranno nulla da pretendere, né da dare, e i beni resteranno nella disponibilità di chi attualmente li gestisce e detiene». Quindi la scrittrice conclude: «Le password che dovevo lasciare ad Alessandro Giammei gliele ho date a mano durante la sua permanenza in via Rolli. Se ne mancano, nelle agende c’è il modo per ottenerle». Al momento non c’è modo di sapere se gli eredi queer abbiano deciso di accettare l’eredità, accollandosi pure i debiti. Turrisi, per esempio, contattato dalla Verità, nonostante abbia mostrato inizialmente una certa disponibilità a parlare, quando apprende che le nostre domande puntano a verificare le sue intenzioni rispetto al lascito della Murgia taglia corto: «Non sono cose di dominio pubblico e non dovrebbero essere di dominio pubblico. Mi dispiace, non voglio essere scortese, ma non è argomento di discussione pubblica». Quindi non ce lo vuole dire? «Sono fatti nostri», replica. Terenzi è sulla stessa linea. Con lui la telefonata è telegrafica. E la risposta è ferma: «Non mi interessa dirvi niente».