
Bruxelles pronta a sospendere l’applicazione delle norme sull’Intelligenza artificiale perché inapplicabili secondo le aziende. Per Mario Draghi sono «fonte di incertezza». La favola dell’avanguardia europea è finita male.Alla fine anche l’intelligenza artificiale si è dovuta arrendere all’ottusità degli euroburocrati. Dopo mesi di annunci trionfalistici, conferenze stampa illuminate e dichiarazioni solenni in power point animati, ecco che l’Ai Act - la legge che avrebbe dovuto regolamentare la nuova era digitale in Europa - verrà sospesa.Non una bocciatura ufficiale, per carità. L’Unione europea queste cose non le fa. Gli euroburocrati preferiscono parlare di «pausa tecnica», o per chi ama l’eleganza dei giri di parole, di «rinvio per maturare i benefici della riflessione collettiva». In altre parole: l’entrata in vigore della legge sarà bloccata senza dirlo.Dopo aver gridato ai quattro venti che l’Europa era «la prima a regolamentare l’Ia», dopo aver fatto passare i parametri sulla nuova tecnologia come il nuovo Vangelo dell’innovazione eticamente corretta, ora Bruxelles balbetta. Si scopre che dietro l’apparente sicurezza, mancano gli standard tecnici, mancano scadenze realistiche, mancano pure le istruzioni per l’uso. Come al solito gli euroburocrati non trovano il manuale d’assistenza.La richiesta di sospensione di una parte consistente dell’Ai Act 2024 ha preso piede durante l’estate, tra forti pressioni da parte delle imprese e crescente imbarazzo istituzionale. Una delle ipotesi più serie sul tavolo prevede di dare alle aziende fino a un anno di tempo in più per adattarsi alle regole sugli usi ad alto rischio dell’Ia. Che, tradotto, significa: «Continuate pure come prima, ci sentiamo tra 12 mesi».Non si sa ancora chi firmerà il documento finale, ma tutti - anche quelli contrari al blocco - in privato cominciano ad accettare l’inevitabile. D’altronde, se anche Mario Draghi, che di solito parla poco ma quando parla fa danni (alle illusioni), si permette di definire la legge una «fonte di incertezza», allora la fritta è servita.Il cambio di rotta è clamoroso. Bruxelles che doveva essere la capitale mondiale della regolazione digitale rischia di diventare la zona franca del rinvio normativo. Se l’Ai Act verrà riscritto, sospeso o anche solo «aggiustato» (come dicono nei corridoi dei palazzi Ue per non dire «rallentato»), l’Unione europea passerà ufficialmente da apripista mondiale a spettatrice timorosa. Il tutto mentre Usa, Cina e Corea sfrecciano come bolidi digitali sulla pista dell’innovazione.Del resto, la Commissione lo sa. Lo ammette - con un linguaggio da manuale del politichese comunitario - che gli organismi di standardizzazione non hanno rispettato le scadenze. E se i binari non sono pronti, il treno non parte. O, nel nostro caso, deraglia prima ancora di lasciare la stazione.Eppure non c’è alcuna ammissione di colpa. C’è solo un balletto di parole: consultazioni, omnibus digitali, aggiustamenti mirati. Venerdì scorso è circolata una bozza (naturalmente «senza data», perché qui nessuno si prende responsabilità) sul piano della Commissione per incentivare l’adozione dell’Ia.La verifica era stata fissata per agosto. Serviva monitorare sistemi Ia che pongono «rischi gravi» per salute, sicurezza e diritti fondamentali. Sistemi usati nella giustizia, nella scuola, nelle risorse umane. Ma le imprese non hanno ancora ricevuto gli standard tecnici per adeguarsi. E chiedono tempo. Un anno, o se possibile anche due, per essere precisi, come chiesto da alcuni delle principali aziende europee. Tempi lunghi in cui nel resto del mondo nasceranno nuovi modelli, nuovi chip, nuovi imperi digitali. E in Europa? Conferenze.La Polonia, già presidente del Consiglio Ue, ha ufficialmente proposto di rinviare le sanzioni di sei o 12 mesi. Varsavia teme che le startup possano fuggire verso giurisdizioni «meno regolamentate» (leggi: America o Asia). E non è la sola: anche Svezia e Repubblica Ceca si schierano per la pausa. E chi rimane a difendere l’applicazione immediata? Un pugno di idealisti digitali e 31 gruppi per i diritti civili, che accusano la Commissione di alimentare un «circolo vizioso di ritardi».Ma si sa: tra ideali e lobby vince sempre chi ha più pazienza. E più fatturato.Nel frattempo, nel mondo reale, Nvidia ha annunciato un investimento da 100 miliardi di dollari per Open Ai, una cifra che fa impallidire ogni fondo europeo «Next Generation» e ridicolizza i «fondi strutturali» digitali.La Cina avanza con forza, integrando Ia nei gangli vitali dello Stato, e la Corea del Sud investe in applicazioni pratiche e industriali, senza perdere tempo in seminari su «etica e algoritmo». L’Europa? Sta ancora aspettando che il Comitato per la Semplificazione normativa completi la valutazione d’impatto sul comma 17, paragrafo B dell’allegato tecnico. Una barzelletta, se non fosse un dramma.Alla fine, questa storia ce la ricorderemo come l’ennesimo capolavoro europeo al contrario. Si voleva dare l’esempio al mondo, e si è finito per cercare l’uscita d’emergenza. Si voleva regolare il futuro, e ci si è persi nel presente. Si voleva diventare leader del nuovo ordine digitale, e si è rimasti prigionieri della propria burocrazia.Forse era tutto troppo intelligente per noi.
Ansa
Maurizio Marrone, assessore alla casa della Regione Piemonte in quota Fdi, ricorda che esiste una legge a tutela degli italiani nei bandi. Ma Avs la vuole disapplicare.
In Italia non è possibile dare più case agli italiani. Non appena qualcuno prova a farlo, subito si scatena una opposizione feroce, politici, avvocati, attivisti e media si mobilitano gridando alla discriminazione. Decisamente emblematico quello che sta avvenendo in Piemonte in queste ore. Una donna algerina sposata con un italiano si è vista negare una casa popolare perché non ha un lavoro regolare. Supportata dall’Asgi, associazione di avvocati di area sorosiana sempre in prima fila nelle battaglie pro immigrazione, la donna si è rivolta al tribunale di Torino che la ha dato ragione disapplicando la legge e ridandole la casa. Ora la palla passa alla Corte costituzionale, che dovrà decidere sulla legittimità delle norme abitative piemontesi.
Henry Winkler (Getty Images)
In onda dal 9 novembre su History Channel, la serie condotta da Henry Winkler riscopre con ironia le stranezze e gli errori del passato: giochi pericolosi, pubblicità assurde e invenzioni folli che mostrano quanto poco, in fondo, l’uomo sia cambiato.
Il tono è lontano da quello accademico che, di norma, definisce il documentario. Non perché manchi una parte di divulgazione o il tentativo di informare chi stia seduto a guardare, ma perché Una storia pericolosa (in onda dalle 21.30 di domenica 9 novembre su History Channel, ai canali 118 e 409 di Sky) riesce a trovare una sua leggerezza: un'ironia sottile, che permetta di guardare al passato senza eccessivo spirito critico, solo con lo sguardo e il disincanto di chi, oggi, abbia consapevolezze che all'epoca non potevano esistere.
Ansa
Gli obiettivi imposti sono rifiutati perché deleteri e insostenibili. Farebbero meglio a seguire i consigli di Bill Gates.
L’appuntamento è fisso e il corollario di allarmi sulla imminente fine del mondo arriva puntuale. Alla vigilia della Cop30 - la Conferenza delle Nazioni Unite sul clima che si terrà a Belém, in Brasile, dal 10 al 21 novembre - il fronte allarmista globale ha rinnovato il coro catastrofico con la pubblicazione di due rapporti cruciali. L’Organizzazione meteorologica mondiale (Wmo) ha diffuso il suo State of the Global Climate Update 2025, mentre l’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) ha pubblicato il suo Climate Action Monitor 2025.
2025-11-07
Dimmi La Verità | Giovanni Maiorano (Fdi): «Una proposta di legge a tutela delle forze dell'ordine»
Ecco #DimmiLaVerità del 7 novembre 2025. Il deputato di Fdi Giovanni Maiorano illustra una proposta di legge a tutela delle forze dell'ordine.






