True
2021-12-10
L’Ue equipara il vino alle sigarette: «Fa male alla salute e causa il cancro»
Getty Images
Dallo Stato etico a quello dietetico è un attimo. Ora l’Europa è anche un ente distopico che finisce per diventare dispotico. Difficile credere che non si renda conto che continuando a emanare regolamenti che distruggono l’identità, l’economia e la cultura dei Paesi che vi aderiscono non determini la sua fine.
Dopo aver provato a cancellare il Natale, non solo vuole imporre le case verdi pena la perdita di qualsiasi valore, ma vuole vietare il vino perché provoca il cancro. E lo fa in base a una presunzione sanitaria che diventa prescrizione autoritaria senza badare alle proprie interne contradizioni. Una per tutte: no al vino perché fa venire il cancro, ma sì alla cannabis che ora in Lussemburgo si può coltivare per uso personale, che diventa libera in Germania, che da sempre si vende nei coffee shop in Olanda.
Ieri la commissione parlamentare europea che si occupa delle politiche anti cancro (Beca) ha votato all’unanimità una risoluzione in cui si afferma: «Non esiste un livello sicuro di consumo di alcol e se ne dovrebbe tenere conto nel progettare le politiche di prevenzione dell’Ue contro i tumori». I difensori a oltranza di questa Unione europea in preda al politically correct dicono che è una risoluzione di indirizzo e che è utile che l’Europa si preoccupi della salute dei suoi cittadini. È il vento green che soffia - alimentato dalle multinazionali della nutrizione - su Bruxelles. Lo stesso che ha prodotto l’aberrazione del Nutri-score (l’etichetta a semaforo che ha un fondamento scientifico inesistente) che è uno dei pilastri del programma Farm to fork in base al quale dovremmo smettere di mangiare carne - anche quella secondo Bruxelles cancerogena e nemica dell’ambiente - per alimentarci di bachi, locuste, spremute di fagioli e coccodrillo.
Pure la risoluzione anti cancro sul vino è priva di fondamento scientifico. Vi è una sola relazione dell’Oms che si basa su un unico studio pubblicato da Lancet quattro anni fa e contestatissimo. Due le principali ragioni che lo invalidano: non è provata una relazione diretta alcol-cancro, non è provato quali siano i livelli di consumo tollerabili. Al contrario sul vino esistono studi autorevoli che promuovono come benefico un moderato consumo. Col pronunciamento dei deputati europei però si avvicinano le etichette con scritto «il vino nuoce gravemente alla salute» come per le sigarette, l’azzeramento di promozioni e finanziamenti che l’Europa concede ai produttori, il divieto di pubblicità e accise sugli alcolici così pesanti da scoraggiarne il consumo.
Contro queste ipotesi - rischiano di diventare realtà nella prossima seduta plenaria del Parlamento di Strasburgo - si è schierata la Ceev (Confederazione europea del settore vino) che contesta il dato sanitario e fa notare come il vino sia per l’Europa un modello culturale e una fonte economica irrinunciabile.
In Italia contro Bruxelles è un coro veemente. Gian Marco Centinaio, sottosegretario leghista alle politiche agricole, nota: «Affermare che non esiste un livello sicuro di consumo oltre a essere un approccio semplicistico e fuorviante si traduce in un danno ingente per l’Italia, dove il vino non è una bevanda, è molto di più: è cultura, è racconto dei territori, è parte di una tradizione millenaria, è uno stile moderato di consumo oltreché componente della dieta mediterranea patrimonio dell’umanità. Prima l’attacco è venuto alla carne adesso all’alcol. Ci batteremo per tutelare il made in Italy».
In Europa peraltro è ancora aperta la questione del Prosek croato che fa il verso al Prosecco. Tanto Unione italiana vini, che chiama a un’azione congiunta di tutti i Paesi produttori contro Bruxelles, quanto Federvini fanno notare che l’Italia col vino fa 13 miliardi di fatturato, di cui 6,5 miliardi all’export e dà lavoro diretto a 1,3 milioni di persone. La Coldiretti con il presidente Ettore Prandini si dice preoccupata per gli effetti sull’export e sul consumo interno. Che negli ultimi 30 anni è diminuito del 50% (siamo sotto i 38 litri pro capite). Dopo due anni di pandemia le cantine non hanno ancora recuperato i livelli del 2019 e in più devono fronteggiare aumenti nei costi di produzione del 30% (oltre 1 miliardo). Una situazione che non riguarda solo l’Italia: lo Champagne scarseggerà sulle tavole delle feste perché i produttori non trovano bottiglie, tappi, gabbiette e hanno difficoltà nelle spedizioni.
Probabilmente la decisione assunta ieri a Bruxelles scatenerà la protesta dei francesi e degli spagnoli. È difficile pensare a una bottiglia di Romanée Conti da 3.000 euro o a un vino di Angelo Gaja, un Sassicaia, un Solaia di Piero Antinori, un Barolo Monfortino o un Masseto di Frescobaldi che oscillano tra 300 e 1.000 euro con la scritta «nuoce gravemente alla salute». La verità è che l’Europa ha dichiarato guerra ai campi e a quelli italiani in particolare. Ursula von der Leyen nel suo discorso sull’unione il 15 settembre scorso non ha mai pronunciato la parola agricoltura. Che il diktat sanitario sia un effetto collaterale?
Tutele in arrivo soltanto per i rider contro le piattaforme e gli algoritmi
La Commissione europea ha presentato la bozza di legge che regola l’operato dei lavoratori della gig economy, di cui i rider sono protagonisti insieme a tutti coloro che esercitano una professione gestita da una piattaforma digitale. Secondo le stime dell’Ue, sarebbero circa 5,5 milioni i lavoratori erroneamente classificati come indipendenti su un totale di 28 milioni di professionisti autonomi.
La norma, prima di essere emanata, dovrà essere discussa con i vari Paesi dell’Ue. Se dovesse essere approvata, questi lavoratori potranno godere di un salario minimo, di una indennità di malattia, di ferie e altri diritti previsti per il lavoro dipendente. Tutti benefici che, va detto, erano già previsti con il contratto scritto da Assodelivery insieme a Ugl e che questa norma straccia senza mezzi termini.
Secondo la bozza, inoltre, i lavoratori acquisirebbero anche diritti sugli algoritmi che decidono della loro attività e quindi il diritto di contestare decisioni automatizzate. Se la direttiva verrà adottata dal Consiglio Ue e dal Parlamento europeo senza sostanziali modifiche spetterà alle aziende dei singoli Stati membri verificare che i lavoratori classificati come autonomi non siano in realtà legati alla piattaforma digitale per cui lavorano. La verifica dovrà essere effettuata in base a cinque criteri stabiliti dalla direttiva: quando almeno due dei criteri saranno soddisfatti, la piattaforma digitale andrà considerata a tutti gli effetti come datore di lavoro e il lavoratore «indipendente» come un suo impiegato, con tutti i diritti che ne conseguono.
Ancora prima di essere approvata, la norma ha già creato dibattito. Il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, si è detto felice della bozza, ma c’è anche chi non ha nascosto la sua contrarietà. «Un risultato che accogliamo con soddisfazione, che recepisce anche le nostre richieste su un tema che rappresenta una delle priorità su cui siamo impegnati e sul quale continueremo a lavorare sia a livello nazionale che europeo», ha detto Orlando. «La proposta accoglie e dà supporto a due nostre richieste», continua il ministro. «Chiarire lo status dei lavoratori delle piattaforme, orientandosi a favore del riconoscimento di un rapporto dipendente, e dare centralità al tema dell’utilizzo di algoritmi e sistemi di intelligenza artificiale».
Decisamente meno favorevole la posizione di BusinessEurope, di fatto la Confindustria europea. Nella sua proposta di legge a tutela dei rider e dei lavoratori delle piattaforme, la Commissione Ue propone una «presunzione confutabile di occupazione» a carico delle stesse piattaforme, se identificate come datori di lavoro dipendente, ma «ciò non riflette la realtà, poiché molti lavoratori delle piattaforme scelgono di lavorare come autonomi», ricordano dall’associazione europea degli industriali.
Secondo BusinessEurope, in pratica, questa sarebbe solo una dichiarazione politica o poco più. «Ci rammarichiamo per l’approccio scelto dalla Commissione europea sul lavoro sulle piattaforme. La Commissione ha scelto di fare una dichiarazione politica piuttosto che proporre una soluzione equilibrata per le piattaforme, per i lavoratori e per i loro clienti», ha ribadito ieri il direttore generale di BusinessEurope, Markus Beyrer. BusinessEurope ha preso di mira soprattutto «la proposta presunzione di occupazione» che, a detta dell’organizzazione, potrebbe avere «un effetto dissuasivo sulle opportunità per i singoli di esercitare un’attività autonoma», oltre a «un impatto negativo sulla fornitura di servizi nel mercato interno».
Continua a leggereRiduci
Una risoluzione azzera i finanziamenti al settore e impone gli avvertimenti sanitari. In pericolo 13 miliardi di fatturato.La Commissione vuole trasformare i rider autonomi in dipendenti. Critici gli industriali.Lo speciale contiene due articoli.Dallo Stato etico a quello dietetico è un attimo. Ora l’Europa è anche un ente distopico che finisce per diventare dispotico. Difficile credere che non si renda conto che continuando a emanare regolamenti che distruggono l’identità, l’economia e la cultura dei Paesi che vi aderiscono non determini la sua fine. Dopo aver provato a cancellare il Natale, non solo vuole imporre le case verdi pena la perdita di qualsiasi valore, ma vuole vietare il vino perché provoca il cancro. E lo fa in base a una presunzione sanitaria che diventa prescrizione autoritaria senza badare alle proprie interne contradizioni. Una per tutte: no al vino perché fa venire il cancro, ma sì alla cannabis che ora in Lussemburgo si può coltivare per uso personale, che diventa libera in Germania, che da sempre si vende nei coffee shop in Olanda. Ieri la commissione parlamentare europea che si occupa delle politiche anti cancro (Beca) ha votato all’unanimità una risoluzione in cui si afferma: «Non esiste un livello sicuro di consumo di alcol e se ne dovrebbe tenere conto nel progettare le politiche di prevenzione dell’Ue contro i tumori». I difensori a oltranza di questa Unione europea in preda al politically correct dicono che è una risoluzione di indirizzo e che è utile che l’Europa si preoccupi della salute dei suoi cittadini. È il vento green che soffia - alimentato dalle multinazionali della nutrizione - su Bruxelles. Lo stesso che ha prodotto l’aberrazione del Nutri-score (l’etichetta a semaforo che ha un fondamento scientifico inesistente) che è uno dei pilastri del programma Farm to fork in base al quale dovremmo smettere di mangiare carne - anche quella secondo Bruxelles cancerogena e nemica dell’ambiente - per alimentarci di bachi, locuste, spremute di fagioli e coccodrillo. Pure la risoluzione anti cancro sul vino è priva di fondamento scientifico. Vi è una sola relazione dell’Oms che si basa su un unico studio pubblicato da Lancet quattro anni fa e contestatissimo. Due le principali ragioni che lo invalidano: non è provata una relazione diretta alcol-cancro, non è provato quali siano i livelli di consumo tollerabili. Al contrario sul vino esistono studi autorevoli che promuovono come benefico un moderato consumo. Col pronunciamento dei deputati europei però si avvicinano le etichette con scritto «il vino nuoce gravemente alla salute» come per le sigarette, l’azzeramento di promozioni e finanziamenti che l’Europa concede ai produttori, il divieto di pubblicità e accise sugli alcolici così pesanti da scoraggiarne il consumo. Contro queste ipotesi - rischiano di diventare realtà nella prossima seduta plenaria del Parlamento di Strasburgo - si è schierata la Ceev (Confederazione europea del settore vino) che contesta il dato sanitario e fa notare come il vino sia per l’Europa un modello culturale e una fonte economica irrinunciabile. In Italia contro Bruxelles è un coro veemente. Gian Marco Centinaio, sottosegretario leghista alle politiche agricole, nota: «Affermare che non esiste un livello sicuro di consumo oltre a essere un approccio semplicistico e fuorviante si traduce in un danno ingente per l’Italia, dove il vino non è una bevanda, è molto di più: è cultura, è racconto dei territori, è parte di una tradizione millenaria, è uno stile moderato di consumo oltreché componente della dieta mediterranea patrimonio dell’umanità. Prima l’attacco è venuto alla carne adesso all’alcol. Ci batteremo per tutelare il made in Italy». In Europa peraltro è ancora aperta la questione del Prosek croato che fa il verso al Prosecco. Tanto Unione italiana vini, che chiama a un’azione congiunta di tutti i Paesi produttori contro Bruxelles, quanto Federvini fanno notare che l’Italia col vino fa 13 miliardi di fatturato, di cui 6,5 miliardi all’export e dà lavoro diretto a 1,3 milioni di persone. La Coldiretti con il presidente Ettore Prandini si dice preoccupata per gli effetti sull’export e sul consumo interno. Che negli ultimi 30 anni è diminuito del 50% (siamo sotto i 38 litri pro capite). Dopo due anni di pandemia le cantine non hanno ancora recuperato i livelli del 2019 e in più devono fronteggiare aumenti nei costi di produzione del 30% (oltre 1 miliardo). Una situazione che non riguarda solo l’Italia: lo Champagne scarseggerà sulle tavole delle feste perché i produttori non trovano bottiglie, tappi, gabbiette e hanno difficoltà nelle spedizioni. Probabilmente la decisione assunta ieri a Bruxelles scatenerà la protesta dei francesi e degli spagnoli. È difficile pensare a una bottiglia di Romanée Conti da 3.000 euro o a un vino di Angelo Gaja, un Sassicaia, un Solaia di Piero Antinori, un Barolo Monfortino o un Masseto di Frescobaldi che oscillano tra 300 e 1.000 euro con la scritta «nuoce gravemente alla salute». La verità è che l’Europa ha dichiarato guerra ai campi e a quelli italiani in particolare. Ursula von der Leyen nel suo discorso sull’unione il 15 settembre scorso non ha mai pronunciato la parola agricoltura. Che il diktat sanitario sia un effetto collaterale? <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/ue-vino-sigarette-salute-cancro-2655969128.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="tutele-in-arrivo-soltanto-per-i-rider-contro-le-piattaforme-e-gli-algoritmi" data-post-id="2655969128" data-published-at="1639103444" data-use-pagination="False"> Tutele in arrivo soltanto per i rider contro le piattaforme e gli algoritmi La Commissione europea ha presentato la bozza di legge che regola l’operato dei lavoratori della gig economy, di cui i rider sono protagonisti insieme a tutti coloro che esercitano una professione gestita da una piattaforma digitale. Secondo le stime dell’Ue, sarebbero circa 5,5 milioni i lavoratori erroneamente classificati come indipendenti su un totale di 28 milioni di professionisti autonomi. La norma, prima di essere emanata, dovrà essere discussa con i vari Paesi dell’Ue. Se dovesse essere approvata, questi lavoratori potranno godere di un salario minimo, di una indennità di malattia, di ferie e altri diritti previsti per il lavoro dipendente. Tutti benefici che, va detto, erano già previsti con il contratto scritto da Assodelivery insieme a Ugl e che questa norma straccia senza mezzi termini. Secondo la bozza, inoltre, i lavoratori acquisirebbero anche diritti sugli algoritmi che decidono della loro attività e quindi il diritto di contestare decisioni automatizzate. Se la direttiva verrà adottata dal Consiglio Ue e dal Parlamento europeo senza sostanziali modifiche spetterà alle aziende dei singoli Stati membri verificare che i lavoratori classificati come autonomi non siano in realtà legati alla piattaforma digitale per cui lavorano. La verifica dovrà essere effettuata in base a cinque criteri stabiliti dalla direttiva: quando almeno due dei criteri saranno soddisfatti, la piattaforma digitale andrà considerata a tutti gli effetti come datore di lavoro e il lavoratore «indipendente» come un suo impiegato, con tutti i diritti che ne conseguono. Ancora prima di essere approvata, la norma ha già creato dibattito. Il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, si è detto felice della bozza, ma c’è anche chi non ha nascosto la sua contrarietà. «Un risultato che accogliamo con soddisfazione, che recepisce anche le nostre richieste su un tema che rappresenta una delle priorità su cui siamo impegnati e sul quale continueremo a lavorare sia a livello nazionale che europeo», ha detto Orlando. «La proposta accoglie e dà supporto a due nostre richieste», continua il ministro. «Chiarire lo status dei lavoratori delle piattaforme, orientandosi a favore del riconoscimento di un rapporto dipendente, e dare centralità al tema dell’utilizzo di algoritmi e sistemi di intelligenza artificiale». Decisamente meno favorevole la posizione di BusinessEurope, di fatto la Confindustria europea. Nella sua proposta di legge a tutela dei rider e dei lavoratori delle piattaforme, la Commissione Ue propone una «presunzione confutabile di occupazione» a carico delle stesse piattaforme, se identificate come datori di lavoro dipendente, ma «ciò non riflette la realtà, poiché molti lavoratori delle piattaforme scelgono di lavorare come autonomi», ricordano dall’associazione europea degli industriali. Secondo BusinessEurope, in pratica, questa sarebbe solo una dichiarazione politica o poco più. «Ci rammarichiamo per l’approccio scelto dalla Commissione europea sul lavoro sulle piattaforme. La Commissione ha scelto di fare una dichiarazione politica piuttosto che proporre una soluzione equilibrata per le piattaforme, per i lavoratori e per i loro clienti», ha ribadito ieri il direttore generale di BusinessEurope, Markus Beyrer. BusinessEurope ha preso di mira soprattutto «la proposta presunzione di occupazione» che, a detta dell’organizzazione, potrebbe avere «un effetto dissuasivo sulle opportunità per i singoli di esercitare un’attività autonoma», oltre a «un impatto negativo sulla fornitura di servizi nel mercato interno».
Getty Images
Nuove accuse tra Cambogia e Thailandia lungo il confine conteso. Phnom Penh denuncia bombardamenti con caccia F-16, Bangkok parla di attacchi notturni cambogiani. Oltre mezzo milione di sfollati mentre proseguono i negoziati.
La crisi tra Cambogia e Thailandia torna ad aggravarsi lungo il confine conteso. Phnom Penh accusa Bangkok di aver intensificato i bombardamenti con caccia F-16, mentre le autorità thailandesi parlano di attacchi cambogiani durante la notte. Le accuse incrociate arrivano mentre sono in corso negoziati per un cessate il fuoco e il numero degli sfollati supera il mezzo milione.
Secondo il ministero della Difesa cambogiano, l’aeronautica thailandese avrebbe impiegato caccia F-16, sganciando almeno quaranta bombe nell’area del villaggio di Chok Chey. L’episodio viene descritto come un’ulteriore escalation militare in una zona già colpita da ripetuti raid. La versione di Bangkok è opposta. I media thailandesi riferiscono che, durante la notte, le forze cambogiane avrebbero condotto attacchi massicci lungo il confine nella provincia sud-orientale di Sa Kaeo, provocando danni a diverse abitazioni civili.
Nel frattempo, le due parti hanno avviato un nuovo ciclo di colloqui, iniziato mercoledì e destinato a durare quattro giorni, con l’obiettivo dichiarato di porre fine ai combattimenti. L’incontro si svolge in territorio thailandese, presso un valico di frontiera nella provincia di Chanthaburi, secondo quanto riferito da funzionari di Phnom Penh. Sul piano diplomatico si registra anche un coinvolgimento diretto degli Stati Uniti. Il primo ministro cambogiano Hun Manet ha reso noto di aver avuto un colloquio telefonico con il segretario di Stato americano Marco Rubio, durante il quale si è discusso di «come garantire un cessate il fuoco lungo il confine tra Cambogia e Thailandia».
Alla base delle tensioni c’è una disputa storica sulla delimitazione di circa 800 chilometri di confine, che affonda le radici nell’epoca coloniale. Il confronto armato si è riacceso con forza nel corso dell’anno. A luglio, cinque giorni di scontri avevano provocato circa 40 morti e costretto 300.000 persone ad abbandonare le proprie abitazioni, prima di una tregua che successivamente è fallita.
L’impatto umanitario resta pesante. Secondo le autorità cambogiane, oltre mezzo milione di persone è stato costretto a lasciare case e scuole nelle ultime due settimane di combattimenti. In una nota, il ministero dell’Interno di Phnom Penh ha parlato di 518.611 sfollati, denunciando che «oltre mezzo milione di cambogiani, tra cui donne e bambini, stanno soffrendo gravi difficoltà a causa dello sfollamento forzato dalle loro case e scuole per sfuggire al fuoco di artiglieria, ai razzi e agli attacchi aerei dei caccia F-16 thailandesi». In precedenza, Bangkok aveva indicato in circa 400.000 il numero degli sfollati sul proprio territorio. Il portavoce del ministero della Difesa thailandese, Surasant Kongsiri, ha affermato che il numero di persone accolte nei rifugi è in diminuzione, pur restando superiore alle 200.000 unità. Kongsiri ha inoltre invitato gli abitanti dei villaggi a rientrare con cautela, avvertendo che «potrebbero esserci ancora mine o bombe pericolose». Dal punto di vista militare, Phnom Penh ha sottolineato come le forze thailandesi abbiano continuato le operazioni dall’alba del 21 dicembre, segnalando combattimenti anche nei pressi del tempio khmer di Preah Vihear, risalente a 900 anni fa. La Cambogia ha inoltre ricordato il divario di risorse tra i due eserciti, a vantaggio di Bangkok. Secondo i dati ufficiali, il bilancio complessivo degli scontri è salito ad almeno 41 morti, di cui 22 thailandesi e 19 cambogiani. Le ostilità più recenti sono riprese il 12 dicembre, mentre una precedente ondata di violenze, a luglio, aveva causato 43 vittime in pochi giorni.
La crisi è ora all’attenzione dell’Associazione delle nazioni del sud-est asiatico. I ministri degli Esteri dell’Asean, compresi quelli di Thailandia e Cambogia, si riuniscono il 22 dicembre a Kuala Lumpur per discutere del conflitto. Entrambi i governi hanno espresso l’auspicio che l’incontro contribuisca a ridurre le tensioni. La portavoce del ministero degli Esteri thailandese, Maratee Nalita Andamo, ha definito il vertice «un’importante opportunità per entrambe le parti». Bangkok ha tuttavia ribadito alcune condizioni preliminari, chiedendo a Phnom Penh di annunciare per prima un cessate il fuoco e di cooperare nelle operazioni di sminamento lungo il confine. In un comunicato, il governo thailandese ha precisato che un accordo potrà essere raggiunto «solo se basato principalmente su una valutazione della situazione sul campo da parte dell’esercito thailandese».
Continua a leggereRiduci
L’obiettivo è evitare la delocalizzazione della produzione e contrastare l’effetto dei costi energetici elevati sulla competitività europea. La misura riguarda principalmente i settori dell’acciaio, della chimica e dell’automotive, fortemente influenzati dalle bollette elettriche, che in Germania risultano quasi tre volte superiori rispetto agli Stati Uniti. Le autorità tedesche hanno già avviato le trattative con la Commissione Europea per ottenere la compatibilità con le norme sugli aiuti di Stato. Per la Slovacchia, strettamente integrata nelle filiere tedesche, la mossa può rappresentare una sfida competitiva: se le imprese tedesche recuperano tranquillità sui costi dell’energia, le aziende slovacche del comparto manifatturiero esportatrici potrebbero trovarsi a dover far fronte a maggiori pressioni sui costi. Lo stesso potrebbe accadere in Italia.
Prima della Germania il Regno Unito, dove un “price cap” è stato stabilito nel 2019 dall’allora governo May. Dal gennaio 2019 l’Ofgem (l’equivalente della nostra Arera) applica un tetto alla spesa massima dei consumatori di trimestre in trimestre. Ma attenzione: non a tutti i clienti, bensì solo ai sottoscrittori delle “standard variable tariffs”, cioè delle tariffe a prezzo variabile molto basilari, dedicate ai clienti meno abituati a cercare tariffe sul mercato libero, e per questo da anni con lo stesso operatore che a volte approfitta di questo immobilismo applicando prezzi piuttosto elevati.
Continua a leggereRiduci
Donald Trump con il Segretario alla Guerra degli Stati Uniti Pete Hegseth (Getty Images)
«Stasera, su mia indicazione in qualità di Comandante in Capo, gli Stati Uniti hanno sferrato un attacco potente e letale contro la feccia terroristica dell’Isis nel nord-ovest della Nigeria, che ha preso di mira e ucciso brutalmente, principalmente cristiani innocenti, a livelli che non si vedevano da molti anni, persino da secoli», ha scritto il presidente.
L’intervento militare arriva dopo settimane di tensioni tra Washington e Abuja. Trump aveva più volte accusato il governo nigeriano di non riuscire a fermare le violenze contro le comunità cristiane, annunciando già il mese scorso di aver ordinato al Pentagono di predisporre una possibile azione armata. In parallelo, il Dipartimento di Stato aveva comunicato restrizioni sui visti per cittadini nigeriani e familiari coinvolti in uccisioni di massa e persecuzioni religiose. Gli Stati Uniti hanno inoltre inserito la Nigeria tra i «Paesi di particolare preoccupazione» ai sensi dell’International Religious Freedom Act.
Nel suo messaggio, Trump ha rivendicato la continuità tra gli avvertimenti lanciati in precedenza e l’azione militare appena condotta: «Avevo già avvertito questi terroristi che se non avessero smesso di massacrare i cristiani, avrebbero pagato un prezzo altissimo, e stasera è successo». Il presidente ha quindi elogiato l’operato delle forze armate: «Il Dipartimento della Guerra ha eseguito numerosi attacchi perfetti, come solo gli Stati Uniti sono in grado di fare. Sotto la mia guida, il nostro Paese non permetterà al terrorismo islamico radicale di prosperare. Che Dio benedica le nostre forze armate e Buon Natale a tutti, compresi i terroristi morti, che saranno molti di più se continueranno a massacrare i cristiani».
La conferma dell’operazione è arrivata anche dal Comando militare statunitense per l’Africa (Africom), che ha spiegato come l’attacco sia stato condotto su richiesta delle autorità nigeriane e abbia portato all’uccisione di diversi terroristi dell’Isis. «Gli attacchi letali contro l’Isis dimostrano la forza del nostro esercito e il nostro impegno nell’eliminare le minacce terroristiche contro gli americani, in patria e all’estero», ha comunicato Africom. Sulla stessa linea il capo del Pentagono, Pete Hegseth, che ha ricordato come la posizione del presidente fosse stata chiarita già nelle settimane precedenti: «Il presidente era stato chiaro il mese scorso: l’uccisione di cristiani innocenti in Nigeria (e altrove) deve finire. Il Dipartimento della Guerra è sempre pronto, come ha scoperto l’Isis stasera, a Natale. Seguiranno altre notizie», aggiungendo di essere «grato per il sostegno e la cooperazione del governo nigeriano».
Da Abuja è arrivata una conferma ufficiale dei raid. In una nota, il ministero degli Affari Esteri della Repubblica Federale della Nigeria ha dichiarato che «le autorità nigeriane continuano a collaborare in modo strutturato con i partner internazionali, compresi gli Stati Uniti, nella lotta contro la minaccia persistente del terrorismo e dell’estremismo violento». La cooperazione, prosegue il comunicato, ha portato «a attacchi mirati contro obiettivi terroristici in Nigeria mediante raid aerei nel nord-ovest del Paese». Il ministero ha inoltre precisato che, «in linea con la prassi internazionale consolidata e gli accordi bilaterali, tale cooperazione comprende lo scambio di informazioni, il coordinamento strategico e altre forme di sostegno conformi al diritto internazionale, il reciproco rispetto della sovranità e gli impegni condivisi in materia di sicurezza regionale e globale».
Continua a leggereRiduci