2021-12-10
L’Ue equipara il vino alle sigarette: «Fa male alla salute e causa il cancro»
Una risoluzione azzera i finanziamenti al settore e impone gli avvertimenti sanitari. In pericolo 13 miliardi di fatturato.La Commissione vuole trasformare i rider autonomi in dipendenti. Critici gli industriali.Lo speciale contiene due articoli.Dallo Stato etico a quello dietetico è un attimo. Ora l’Europa è anche un ente distopico che finisce per diventare dispotico. Difficile credere che non si renda conto che continuando a emanare regolamenti che distruggono l’identità, l’economia e la cultura dei Paesi che vi aderiscono non determini la sua fine. Dopo aver provato a cancellare il Natale, non solo vuole imporre le case verdi pena la perdita di qualsiasi valore, ma vuole vietare il vino perché provoca il cancro. E lo fa in base a una presunzione sanitaria che diventa prescrizione autoritaria senza badare alle proprie interne contradizioni. Una per tutte: no al vino perché fa venire il cancro, ma sì alla cannabis che ora in Lussemburgo si può coltivare per uso personale, che diventa libera in Germania, che da sempre si vende nei coffee shop in Olanda. Ieri la commissione parlamentare europea che si occupa delle politiche anti cancro (Beca) ha votato all’unanimità una risoluzione in cui si afferma: «Non esiste un livello sicuro di consumo di alcol e se ne dovrebbe tenere conto nel progettare le politiche di prevenzione dell’Ue contro i tumori». I difensori a oltranza di questa Unione europea in preda al politically correct dicono che è una risoluzione di indirizzo e che è utile che l’Europa si preoccupi della salute dei suoi cittadini. È il vento green che soffia - alimentato dalle multinazionali della nutrizione - su Bruxelles. Lo stesso che ha prodotto l’aberrazione del Nutri-score (l’etichetta a semaforo che ha un fondamento scientifico inesistente) che è uno dei pilastri del programma Farm to fork in base al quale dovremmo smettere di mangiare carne - anche quella secondo Bruxelles cancerogena e nemica dell’ambiente - per alimentarci di bachi, locuste, spremute di fagioli e coccodrillo. Pure la risoluzione anti cancro sul vino è priva di fondamento scientifico. Vi è una sola relazione dell’Oms che si basa su un unico studio pubblicato da Lancet quattro anni fa e contestatissimo. Due le principali ragioni che lo invalidano: non è provata una relazione diretta alcol-cancro, non è provato quali siano i livelli di consumo tollerabili. Al contrario sul vino esistono studi autorevoli che promuovono come benefico un moderato consumo. Col pronunciamento dei deputati europei però si avvicinano le etichette con scritto «il vino nuoce gravemente alla salute» come per le sigarette, l’azzeramento di promozioni e finanziamenti che l’Europa concede ai produttori, il divieto di pubblicità e accise sugli alcolici così pesanti da scoraggiarne il consumo. Contro queste ipotesi - rischiano di diventare realtà nella prossima seduta plenaria del Parlamento di Strasburgo - si è schierata la Ceev (Confederazione europea del settore vino) che contesta il dato sanitario e fa notare come il vino sia per l’Europa un modello culturale e una fonte economica irrinunciabile. In Italia contro Bruxelles è un coro veemente. Gian Marco Centinaio, sottosegretario leghista alle politiche agricole, nota: «Affermare che non esiste un livello sicuro di consumo oltre a essere un approccio semplicistico e fuorviante si traduce in un danno ingente per l’Italia, dove il vino non è una bevanda, è molto di più: è cultura, è racconto dei territori, è parte di una tradizione millenaria, è uno stile moderato di consumo oltreché componente della dieta mediterranea patrimonio dell’umanità. Prima l’attacco è venuto alla carne adesso all’alcol. Ci batteremo per tutelare il made in Italy». In Europa peraltro è ancora aperta la questione del Prosek croato che fa il verso al Prosecco. Tanto Unione italiana vini, che chiama a un’azione congiunta di tutti i Paesi produttori contro Bruxelles, quanto Federvini fanno notare che l’Italia col vino fa 13 miliardi di fatturato, di cui 6,5 miliardi all’export e dà lavoro diretto a 1,3 milioni di persone. La Coldiretti con il presidente Ettore Prandini si dice preoccupata per gli effetti sull’export e sul consumo interno. Che negli ultimi 30 anni è diminuito del 50% (siamo sotto i 38 litri pro capite). Dopo due anni di pandemia le cantine non hanno ancora recuperato i livelli del 2019 e in più devono fronteggiare aumenti nei costi di produzione del 30% (oltre 1 miliardo). Una situazione che non riguarda solo l’Italia: lo Champagne scarseggerà sulle tavole delle feste perché i produttori non trovano bottiglie, tappi, gabbiette e hanno difficoltà nelle spedizioni. Probabilmente la decisione assunta ieri a Bruxelles scatenerà la protesta dei francesi e degli spagnoli. È difficile pensare a una bottiglia di Romanée Conti da 3.000 euro o a un vino di Angelo Gaja, un Sassicaia, un Solaia di Piero Antinori, un Barolo Monfortino o un Masseto di Frescobaldi che oscillano tra 300 e 1.000 euro con la scritta «nuoce gravemente alla salute». La verità è che l’Europa ha dichiarato guerra ai campi e a quelli italiani in particolare. Ursula von der Leyen nel suo discorso sull’unione il 15 settembre scorso non ha mai pronunciato la parola agricoltura. Che il diktat sanitario sia un effetto collaterale? <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/ue-vino-sigarette-salute-cancro-2655969128.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="tutele-in-arrivo-soltanto-per-i-rider-contro-le-piattaforme-e-gli-algoritmi" data-post-id="2655969128" data-published-at="1639103444" data-use-pagination="False"> Tutele in arrivo soltanto per i rider contro le piattaforme e gli algoritmi La Commissione europea ha presentato la bozza di legge che regola l’operato dei lavoratori della gig economy, di cui i rider sono protagonisti insieme a tutti coloro che esercitano una professione gestita da una piattaforma digitale. Secondo le stime dell’Ue, sarebbero circa 5,5 milioni i lavoratori erroneamente classificati come indipendenti su un totale di 28 milioni di professionisti autonomi. La norma, prima di essere emanata, dovrà essere discussa con i vari Paesi dell’Ue. Se dovesse essere approvata, questi lavoratori potranno godere di un salario minimo, di una indennità di malattia, di ferie e altri diritti previsti per il lavoro dipendente. Tutti benefici che, va detto, erano già previsti con il contratto scritto da Assodelivery insieme a Ugl e che questa norma straccia senza mezzi termini. Secondo la bozza, inoltre, i lavoratori acquisirebbero anche diritti sugli algoritmi che decidono della loro attività e quindi il diritto di contestare decisioni automatizzate. Se la direttiva verrà adottata dal Consiglio Ue e dal Parlamento europeo senza sostanziali modifiche spetterà alle aziende dei singoli Stati membri verificare che i lavoratori classificati come autonomi non siano in realtà legati alla piattaforma digitale per cui lavorano. La verifica dovrà essere effettuata in base a cinque criteri stabiliti dalla direttiva: quando almeno due dei criteri saranno soddisfatti, la piattaforma digitale andrà considerata a tutti gli effetti come datore di lavoro e il lavoratore «indipendente» come un suo impiegato, con tutti i diritti che ne conseguono. Ancora prima di essere approvata, la norma ha già creato dibattito. Il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, si è detto felice della bozza, ma c’è anche chi non ha nascosto la sua contrarietà. «Un risultato che accogliamo con soddisfazione, che recepisce anche le nostre richieste su un tema che rappresenta una delle priorità su cui siamo impegnati e sul quale continueremo a lavorare sia a livello nazionale che europeo», ha detto Orlando. «La proposta accoglie e dà supporto a due nostre richieste», continua il ministro. «Chiarire lo status dei lavoratori delle piattaforme, orientandosi a favore del riconoscimento di un rapporto dipendente, e dare centralità al tema dell’utilizzo di algoritmi e sistemi di intelligenza artificiale». Decisamente meno favorevole la posizione di BusinessEurope, di fatto la Confindustria europea. Nella sua proposta di legge a tutela dei rider e dei lavoratori delle piattaforme, la Commissione Ue propone una «presunzione confutabile di occupazione» a carico delle stesse piattaforme, se identificate come datori di lavoro dipendente, ma «ciò non riflette la realtà, poiché molti lavoratori delle piattaforme scelgono di lavorare come autonomi», ricordano dall’associazione europea degli industriali. Secondo BusinessEurope, in pratica, questa sarebbe solo una dichiarazione politica o poco più. «Ci rammarichiamo per l’approccio scelto dalla Commissione europea sul lavoro sulle piattaforme. La Commissione ha scelto di fare una dichiarazione politica piuttosto che proporre una soluzione equilibrata per le piattaforme, per i lavoratori e per i loro clienti», ha ribadito ieri il direttore generale di BusinessEurope, Markus Beyrer. BusinessEurope ha preso di mira soprattutto «la proposta presunzione di occupazione» che, a detta dell’organizzazione, potrebbe avere «un effetto dissuasivo sulle opportunità per i singoli di esercitare un’attività autonoma», oltre a «un impatto negativo sulla fornitura di servizi nel mercato interno».
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