L’Ue mette in freezer i contro dazi agli Usa. Il premier: difenderò i prodotti nazionali

Bruxelles sceglie ancora la strada della cautela e ripone l’arma dei contro dazi. Oggi, con procedura d’urgenza, la Commissione adotterà le misure necessarie per sospendere per sei mesi le contromisure da 93 miliardi nei confronti degli Stati Uniti, che avrebbero dovuto entrare in vigore il 7 agosto in caso di mancato accordo. L’annuncio è venuto Olof Gill, portavoce della Commissione, che ha confermato il proseguo delle trattative con Washington «per finalizzare una dichiarazione congiunta, come concordato il 27 luglio». Gill è tornato a giustificare l’accordo in Scozia su nuovi dazi al 15%, ribadendo i vantaggi: ovvero che «ripristina la stabilità e la prevedibilità per i cittadini e le imprese su entrambe le sponde dell’Atlantico, garantisce il mantenimento dell’accesso delle esportazioni dell’Ue al mercato statunitense, preserva le catene del valore transatlantiche profondamente integrate, salvaguarda efficacemente milioni di posti di lavoro e fornisce la base per una cooperazione strategica continua tra l’Ue e gli Stati Uniti». Parole che dovrebbero silenziare le polemiche sull’onerosità delle nuove tariffe e sulla debolezza del presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ma che cadono nel vuoto. La realtà è che per il made in Europe, l’imposta del 15% alla dogana Usa è una stangata senza precedenti.
È vero, si continua a trattare sulle esenzioni, ma i tempi sono un’incognita e le possibilità di mettere a segno risultati importanti, sono esigue. Lo ha fatto capire il rappresentante statunitense per il Commercio, Jamieson Greer. «Questi dazi sono praticamente definitivi e non dovrebbero essere oggetto di negoziato nell’immediato» ha detto a chiare note, ridimensionando le aspettative dei negoziatori. Il testo congiunto Ue-Usa, difficilmente vedrà la luce nel breve termine. Washington non ha fretta e si gode i risultati delle maggiori entrate (gli Stati Uniti hanno finora incamerato 152 miliardi di dollari, circa il doppio rispetto ai 78 miliardi dell’anno fiscale precedente). È vero che gli istituti di ricerca economici mettono in guardia dall’inflazione ma Donald Trump ha pensato anche a questo e ha ipotizzato dai dazi «un dividendo per gli americani a medio e basso reddito». Propaganda? Si vedrà.
Al momento con la Casa Bianca che non ha alcun interesse a concludere un accordo sulle esenzioni, la strada del negoziato Ue sulle esenzioni è tutta in salita. Sicché alcuni governi si sono già mossi per trattare in modo autonomo smarcandosi da Bruxelles sperando così in qualche risultato. Ieri il ministro delle Finanze tedesco, Lars Klingbeil ha incontrato a Washington il segretario al Tesoro Usa, Scott Bessent. Sul tavolo l’auto e l’acciaio, i due temi rimasti scoperti. I dazi sull’auto sono inchiodati al 27,5% come risultato dell’aliquota del 2,5% in vigore prima del ritorno di Trump alla Casa Bianca, e del 25% aggiuntivo imposto dal presidente ai sensi della sezione 232 del Trade expansion act che valuta quali merci rientrano nella sicurezza nazionale. Questo spiega perché l’auto non è rientrata nell’ordine esecutivo con cui Trump ha imposto dazi al 15%. Questi infatti sono stati giustificati dalla Casa Bianca come un «legittimo» meccanismo per riequilibrare la bilancia commerciale. Sono quindi due binari diversi. Per modificare l’imposta doganale del 25% è necessario un intervento specifico. Per capire che margini ci sono per modificare il quadro, il ministro tedesco è volato a Washington. Altra voce che interessa a Berlino è l’acciaio. Secondo quanto riporta l’agenzia Reuters, Klingbeil ha chiesto l’inserimento di un sistema di quote sulle esportazioni di acciaio. Bruxelles ha già posto questa soluzione sul tavolo delle trattative ma Washington finora non è sembrata interessata.
Si muove anche il governo italiano. Il premier Giorgia Meloni ha ribadito che c’è «l’impegno costante per difendere i prodotti italiani». Una dichiarazione che lascia intendere un’apertura alle trattative bilaterali. «Sono sempre stata convinta che noi dovessimo fare del nostro meglio per arrivare ad un accordo quadro, a una cornice entro la quale giocare alcune partite su alcuni settori, su alcune filiere, spiegando ai nostri amici e alleati americani che c’è una serie di prodotti che difficilmente possono essere rimpiazzati da produzioni nazionali. Questo vale molto per alcuni prodotti italiani, anche per quello del vino», ha detto, sottolineando la necessità di definire una strategia a tutela e rilancio delle etichette italiane.
Il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha detto che il negoziato tra Ue e Usa, «è un lavoro che durerà settimane se non mesi».
Il governo svizzero, ancora sotto shock per la sovrattassa del 39%, ieri ha convocato una riunione straordinaria, dalla quale è emersa l’intenzione di aprire la trattativa con la Casa Bianca, mettendo sul tavolo «un’offerta più vantaggiosa».
Anche l’Ungheria corre ai ripari. Il premier Viktor Orbán ha detto che «i colloqui sono già iniziati».
Intanto Trump conferma la linea dura con chi non accetta le sue regole. Ieri è tornato a minacciare l’India che non intende rescindere i suoi rapporti con la Russia. «Non solo acquista enormi quantità di petrolio russo, ma poi, gran parte lo rivende sul mercato, ricavandone grandi profitti» ha scritto Trump su Truth annunciando che «per questo motivo, aumenterò sostanzialmente i dazi».
Nel caos c’è chi guarda a come approfittarne: la Cina ora apre le porte a 183 esportatori brasiliani di caffè. L’annuncio è arrivato dall’ambasciata di Pechino a Brasilia, dopo la conferma da parte di Trump dell’introduzione del dazio del 50% sui prodotti provenienti dal Paese sudamericano.






