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2024-03-20
Nell’Ue calano solo i salari italiani
Christine Lagarde (Ansa)
È ufficiale: abbiamo un problema con i salari. La circostanza, empiricamente già riscontrata da lavoratori e famiglie, è ora messa nero su bianco dall’Eurostat, secondo cui, in termini di retribuzioni, il Belpaese è maglia nera a livello europeo. L’Italia è infatti l’unico Paese europeo che, nel quarto trimestre 2023, ha visto calare dello 0,1% annuale il costo della manodopera, mentre nell’eurozona si è assistito a un +3,4%. Anche la variazione degli stipendi è stata negativa dello 0,1% nel nostro Paese. Dati che inevitabilmente si riflettono sul potere d’acquisto, allargando la forbice con il resto d’Europa. Nel dettaglio, i salari nell’Eurozona sono aumentati del 3,1% su base annua nel quarto trimestre del 2023, il minimo dal terzo trimestre del 2022, dopo un +5,2% rivisto al ribasso nel periodo precedente. I maggiori aumenti sono stati osservati nel settore minerario ed estrattivo (11,3%), approvvigionamento idrico, fognature (5,7%), trasporti e stoccaggio (5,6%), servizi amministrativi e di supporto (5,6%) e commercio all’ingrosso e al dettaglio (4,9%). Invece tra le principali economie del blocco, la crescita dei salari ha rallentato bruscamente in Germania (2,2% rispetto a +5,8%) e ad un ritmo più modesto in Francia (2,7% contro 3,3%) e Spagna (4,2% da 4,6%). Da noi, anziché il freno, i salari hanno messo la retromarcia. Le retribuzioni orarie nominali in Italia sono infatti diminuite dello 0,1%, dopo un +2% nel periodo precedente. Complessivamente, gli aumenti più elevati dei costi salariali orari per l’intera Ue sono stati registrati in Romania (+16,9%), Ungheria (+16,3%), Croazia (+16%), Polonia (+13,1%) e Slovenia (+12,5%). Altri quattro Stati membri dell’Ue hanno registrato un aumento superiore al 10%, vale a dire: Bulgaria (+11,9%), Lituania (+11,2%), Lettonia (+11,1%) ed Estonia (+10,9%). Si tratta di dati che tolgono qualsiasi alibi alla Bce, che finora ha preso tempo sul taglio dei tassi temendo un incremento fuori controllo delle buste paga. La quale, combinata con una produttività molto bassa, potrebbe portare ad un aumento significativo del costo unitario del lavoro. I dati di ieri tuttavia sembrano smentire le previsioni fosche dei banchieri europei. Non a caso le Borse hanno subito reagito al rialzo dopo la diffusione del comunicato di Eurostat. In Italia, invece, i numeri inducono a ben poco ottimismo. Un recente studio della Bce ha del resto individuato nel pensionato italiano la figura che più si è impoverita con l’ondata inflattiva 2021-2022. L’analisi pubblicata sul sito dell’istituto di Francoforte evidenzia che le famiglie dell’area euro hanno perso circa il 4% di welfare e di potere d’acquisto a causa dell’impennata dei prezzi, ma le differenze tra i principali Paesi sono state significative. Confrontando infatti i grandi Paesi europei, lo studio ha evidenziato perdite di welfare «per la famiglia mediana che variavano dal 3% del reddito disponibile in Francia e Spagna, all’8% in Italia. Le differenze tra Paesi sono state causate principalmente dalle differenze nei tassi di inflazione nazionali e dalle differenze nella distribuzione della ricchezza nominale netta, insieme alle diverse politiche fiscali». Nel nostro Paese, entrando nel dettaglio, gli over 64 con un reddito medio basso ma non bassissimo hanno perso addirittura il 18% di potere d'acquisto, mentre i pensionati nella fascia più inferiore del reddito hanno lasciato per strada «solo» il 13%. Si tratta delle percentuali peggiori tra i big 4 europei. In Germania, ad esempio, nessun pensionato ha visto calare di oltre il 10 per cento il proprio potere d'acquisto.
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Nel Belpaese retribuzioni giù dello 0,1% annuale, nell’Eurozona sono salite del 3,4% Il dato continentale, in ogni caso, toglie gli alibi alla Banca centrale sul taglio dei tassi.È ufficiale: abbiamo un problema con i salari. La circostanza, empiricamente già riscontrata da lavoratori e famiglie, è ora messa nero su bianco dall’Eurostat, secondo cui, in termini di retribuzioni, il Belpaese è maglia nera a livello europeo. L’Italia è infatti l’unico Paese europeo che, nel quarto trimestre 2023, ha visto calare dello 0,1% annuale il costo della manodopera, mentre nell’eurozona si è assistito a un +3,4%. Anche la variazione degli stipendi è stata negativa dello 0,1% nel nostro Paese. Dati che inevitabilmente si riflettono sul potere d’acquisto, allargando la forbice con il resto d’Europa. Nel dettaglio, i salari nell’Eurozona sono aumentati del 3,1% su base annua nel quarto trimestre del 2023, il minimo dal terzo trimestre del 2022, dopo un +5,2% rivisto al ribasso nel periodo precedente. I maggiori aumenti sono stati osservati nel settore minerario ed estrattivo (11,3%), approvvigionamento idrico, fognature (5,7%), trasporti e stoccaggio (5,6%), servizi amministrativi e di supporto (5,6%) e commercio all’ingrosso e al dettaglio (4,9%). Invece tra le principali economie del blocco, la crescita dei salari ha rallentato bruscamente in Germania (2,2% rispetto a +5,8%) e ad un ritmo più modesto in Francia (2,7% contro 3,3%) e Spagna (4,2% da 4,6%). Da noi, anziché il freno, i salari hanno messo la retromarcia. Le retribuzioni orarie nominali in Italia sono infatti diminuite dello 0,1%, dopo un +2% nel periodo precedente. Complessivamente, gli aumenti più elevati dei costi salariali orari per l’intera Ue sono stati registrati in Romania (+16,9%), Ungheria (+16,3%), Croazia (+16%), Polonia (+13,1%) e Slovenia (+12,5%). Altri quattro Stati membri dell’Ue hanno registrato un aumento superiore al 10%, vale a dire: Bulgaria (+11,9%), Lituania (+11,2%), Lettonia (+11,1%) ed Estonia (+10,9%). Si tratta di dati che tolgono qualsiasi alibi alla Bce, che finora ha preso tempo sul taglio dei tassi temendo un incremento fuori controllo delle buste paga. La quale, combinata con una produttività molto bassa, potrebbe portare ad un aumento significativo del costo unitario del lavoro. I dati di ieri tuttavia sembrano smentire le previsioni fosche dei banchieri europei. Non a caso le Borse hanno subito reagito al rialzo dopo la diffusione del comunicato di Eurostat. In Italia, invece, i numeri inducono a ben poco ottimismo. Un recente studio della Bce ha del resto individuato nel pensionato italiano la figura che più si è impoverita con l’ondata inflattiva 2021-2022. L’analisi pubblicata sul sito dell’istituto di Francoforte evidenzia che le famiglie dell’area euro hanno perso circa il 4% di welfare e di potere d’acquisto a causa dell’impennata dei prezzi, ma le differenze tra i principali Paesi sono state significative. Confrontando infatti i grandi Paesi europei, lo studio ha evidenziato perdite di welfare «per la famiglia mediana che variavano dal 3% del reddito disponibile in Francia e Spagna, all’8% in Italia. Le differenze tra Paesi sono state causate principalmente dalle differenze nei tassi di inflazione nazionali e dalle differenze nella distribuzione della ricchezza nominale netta, insieme alle diverse politiche fiscali». Nel nostro Paese, entrando nel dettaglio, gli over 64 con un reddito medio basso ma non bassissimo hanno perso addirittura il 18% di potere d'acquisto, mentre i pensionati nella fascia più inferiore del reddito hanno lasciato per strada «solo» il 13%. Si tratta delle percentuali peggiori tra i big 4 europei. In Germania, ad esempio, nessun pensionato ha visto calare di oltre il 10 per cento il proprio potere d'acquisto.
Beppe Sala (Ansa)
«Il Comune di Milano ha premiato la Cgil con l’Ambrogino, la più importante benemerenza civica. Quello che vorremmo capire è perché lo stesso riconoscimento non sia stato assegnato anche alla Cisl. O alla Uil. Insomma, a tutto il movimento sindacale confederale», afferma Abimelech. Il segretario della Cisl richiama il peso organizzativo del sindacato sul territorio e il ruolo svolto nei luoghi di lavoro e nei servizi ai cittadini: «È una risposta che dobbiamo ai nostri 185.000 iscritti, ai delegati e alle delegate che si impegnano quotidianamente nelle aziende e negli uffici pubblici, alle tantissime persone che si rivolgono ai nostri sportelli diffusi in tutta l’area metropolitana per chiedere di essere tutelate e assistite».
Nel merito delle motivazioni che hanno accompagnato il riconoscimento alla Cgil, Abimelech solleva una serie di interrogativi sul mancato coinvolgimento delle altre sigle confederali. «Abbiamo letto le motivazioni del premio alla Cgil e allora ci chiediamo: la Cisl non è un presidio democratico e di sostegno a lavoratori e lavoratrici? Non è interlocutrice cruciale per istituzioni e imprese, impegnata nel tutelare qualità del lavoro, salute pubblica e futuro del territorio?», dichiara.
Il segretario generale elenca le attività svolte dal sindacato sul piano dei servizi e della rappresentanza: «Non offre servizi essenziali, dai Caf al Patronato, agli sportelli legali? Non promuove modelli di sviluppo equi, sostenibili e inclusivi? Non è vitale il suo ruolo nel dibattito sulle dinamiche della politica economica e industriale?».
Nella dichiarazione trova spazio anche il recente trasferimento della sede della sigla milanese. «In queste settimane la Cisl ha lasciato la sua “casa” storica di via Tadino 23, inaugurata nel 1961 dall’arcivescovo Giovanni Battisti Montini, il futuro Papa Paolo VI, per trasferirsi in una più grande e funzionale in via Valassina 22», ricorda Abimelech, sottolineando le ragioni dell’operazione: «Lo ha fatto proprio per migliorare il suo ruolo di servizio e tutela per i cittadini e gli iscritti».
La presa di posizione si chiude con un interrogativo rivolto direttamente all’amministrazione comunale: «Dobbiamo pensare che per il Comune di Milano ci siano sindacati di serie A e di serie B? Dobbiamo pensare che per il Comune di Milano ci siano sindacati amici e nemici?». Al sindaco Sala non resta che conferire con Abimelech e metterlo a parte delle risposte ai suoi interrogativi.
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