2024-09-25
Anche i dem americani sanno che Kiev non può vincere. Ma qui dirlo è ancora un tabù
Media e studiosi influenti come Kupchan demoliscono la retorica occidentale: l’Ucraina deve trattare. Un fatto chiaro da mesi, mentre soldati e civili sono mandati al macello.Terza ondata di bombardamenti israeliani in Libano. In 100.000 in fuga dal Sud verso Beirut e la Siria. Eliminato Qubaisi, vertice dell’unità missilistica della milizia sciita.Lo speciale contiene due articoli.un tavolo negoziale, non sul campo di battaglia». A pronunciare queste parole, tombali, è in una intervista alla Stampa Charles Kupchan, senior fellow del Council on Foreign Relations (Cfr) e professore di International affairs alla Georgetown University, voce molto ascoltata dai democratici statunitensi e considerata autorevolissima oltre che parecchio influente. Kupchan appare piuttosto ruvido. «Nessuna delle parti coinvolte ha la forza di produrre la superiorità militare necessaria per chiudere i conti», spiega. E quando l’intervistatore gli domanda se abbia «qualcosa da rimproverare all’amministrazione Biden nell’approccio avuto», il professore risponde: «Vorrei che limitasse l’uso della terminologia «la vittoria dell’Ucraina». Non aiuta. I governi occidentali devono avere una conversazione onesta con le loro opinioni pubbliche sullo stato della guerra e su come finirla evitando ogni retorica». In buona sostanza, Kupchan ha demolito - senza impiegare nemmeno troppe parole - l’intera impalcatura propagandistica occidentale. Quella che per oltre due anni ha ripetuto che la Russia sarebbe stata annientata, o sarebbe implosa, o avrebbe organizzato un golpe contro Putin o ancora sarebbe crollata economicamente. È un filo sconfortante leggere oggi quel che lo studioso americano ha da dire, perché gli stessi ragionamenti si sarebbero potuti fare appunto mesi e mesi fa, a conflitto appena iniziato. I politici occidentali avrebbero dovuto essere onesti con le opinioni pubbliche, e i media avrebbero dovuto evitare di nascondere la verità con tigna e intolleranza come hanno fatto per troppo tempo. Invece ancora adesso si leggono articoli su Volodymyr Zelensky che vanno perfino oltre l’agiografia, le analisi sono per lo più sostituite da esagitati appelli alla mobilitazione totale. In queste ore, poi, si sta raggiungendo l’apice del grottesco. Il presidente ucraino si trova negli Stati Uniti per presentare il suo «Victory Plan». Ovvero un piano per la vittoria che in realtà è un piano per la trattativa. Lo sanno tutti, ma sembra che sia vietato dirlo: la mistificazione della realtà ormai è la regola, almeno dalle nostre parti. Occorre ripetere che l’Ucraina vincerà, ma persino nell’amministrazione Biden ci sono feroci divisioni sull’atteggiamento da tenere verso Kiev. Il Washington Post illustra con drammatica chiarezza quale sia la situazione: «Il persistente rifiuto degli Stati Uniti di allentare le restrizioni all’uso di missili occidentali da parte dell’Ucraina per attacchi più profondi sul territorio russo ha esacerbato la crescente divisione tra gli alleati», scrive il giornale statunitense, «con Kiev infuriata per l’ennesima battuta d’arresto nel rallentamento dell’attacco russo in tutto il paese».Il Post spiega che Zelensky chiederà «il permesso di utilizzare i sistemi missilistici tattici dell’esercito (Atacms) forniti dagli Stati Uniti e altre munizioni a lungo raggio per raggiungere obiettivi come gli aeroporti strategici situati più in profondità nella Russia». Poi però aggiunge che «a più di due anni dall’invasione russa, un esempio del crescente divario tra le due parti è che gli ucraini si aspettavano che Biden avesse già concesso il permesso». Insomma, a quanto pare anche a Washington sono piuttosto scettici riguardo alle prospettive di vittoria ucraine. Ma allora perché si insiste a voler mantenere il segreto di Pulcinella? Charles Kupchan fornisce una chiave di lettura abbastanza surreale della retorica ufficiale. «Con il termine vittoria Zelensky non intende la totale cacciata delle truppe russe dall’Ucraina perché è un risultato non raggiungibile», dice. «Si arriverà a uno stallo e le parti non avranno altra scelta che sedersi a trattare. E attenzione teniamo bene in mente che, dietro le quinte, Russia e Ucraina sono impegnati in azioni diplomatiche. Ci sono stati incontri per le linee di navigazione nel Mar Nero; era stato programmato un meeting in Qatar sulla questione dei civili da tutelare; le parti hanno negoziato scambi di prigionieri e Zelensky ha detto di voler invitare la Russia al summit di quest’autunno, benché per ora Mosca abbia rifiutato. I canali sono aperti». Kupchan spiega che le fasi finali della trattativa sono ancora lontane, ma sostiene che «lentamente si sta giungendo a una svolta. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz poco tempo fa ha parlato espressamente di fare perno sulla diplomazia. Queste conversazioni ci sono, sono concrete. Ma prima delle elezioni statunitensi al massimo si apparecchierà la tavola perché sia pronta per la nuova leadership a Washington». Lo stesso Zelensky, appena giunto negli Usa, ha rilasciato una intervista televisiva dichiarando che la guerra è «più vicina alla fine» di quanto si pensi. Chiaro, egli continua a chiedere che si continui a rafforzare militarmente l’Ucraina, ma quale sia il senso delle sue parole è ovvio. Altre vie di uscita al di fuori di quella diplomatica non ci sono. Kiev sta semplicemente cercando (ed è comprensibile) di arrivare al tavolo con più forza e credibilità possibili. Ma che possa trionfare sul campo tutti lo escludono.Resta un solo problema: a queste condizioni si sarebbe potuto farla finita molto tempo fa, ma si è voluto prolungare il conflitto, cercando di illudere europei e ucraini che la vittoria sarebbe arrivata presto. E mentre politici e presunti esperti mentivano, sul campo si continuava a morire.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/ucraina-crisi-dem-usa-2669271490.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="ucciso-un-altro-capo-di-hezbollah" data-post-id="2669271490" data-published-at="1727273733" data-use-pagination="False"> Ucciso un altro capo di Hezbollah È sempre più difficile disinnescare la bomba a orologeria mediorientale. Nonostante si sprechino gli appelli dal Palazzo di vetro di New York all’Assemblea generale dell’Onu, la situazione sul campo pare essere vicina a un punto di non ritorno. Israele sta continuando a bombardare il Libano, con 1.600 attacchi in 24 ore e una lunga lista di morti: 558 è il bilancio provvisorio delle vittime, di cui 50 minori e 94 donne. Nella notte tra lunedì e martedì, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, con un videomessaggio, ha esortato la popolazione libanese a lasciare le proprie case, convinto che Hezbollah stia nascondendo le armi nelle zone abitate dai civili. Poco dopo l’Idf ha annunciato, con l’operazione Northern Arrows, di aver colpito decine di bersagli di Hezbollah nel Libano meridionale. Pare che, durante uno di questi attacchi sia stato ucciso Hussein Mahmoud al-Nader, il comandante delle Brigate Qassam che costituiscono l’ala armata di Hamas. I bombardamenti israeliani si sono poi estesi nella valle di Beqaa, situata nella parte orientale del Paese. Gli avvertimenti sono proseguiti anche ieri pomeriggio, con l’esercito israeliano che ha avvertito i civili libanesi di nuovi attacchi. Va da sé che sia iniziato l’esodo di migliaia di persone per scappare dal Sud, con 500 persone che sarebbero già entrate in Siria e 10.000 rifugiati arrivati a Sidone, città nel Sud che dista circa 40 km da Beirut. Proprio nella capitale si sono concentrati i raid israeliani ieri pomeriggio: un attacco mirato in cui è stato ucciso, secondo quanto riportato da Haaretz, il capo dell’unità missilistica di Hezbollah Ibrahim Qubaisi. Tel Aviv non è però rimasta immune dagli attacchi: la milizia sciita ha lanciato oltre 90 razzi contro alcune postazioni militari e una fabbrica di esplosivi nel Nord di Israele. E nonostante l’annuncio del presidente israeliano Isaac Herzog di non avere «aspirazioni o ambizioni territoriali, in Libano o altrove», il centro della diplomazia a New York ha risposto con reazioni di forte preoccupazione e condanna. Il Segretario generale dell’Onu Guterres, durante l’Assemblea generale, ha affermato che Beirut è «sull’orlo del baratro», aggiungendo che «il mondo non si può permettere che il Libano diventi una nuova Gaza». Più mite la reazione del presidente degli Stati Uniti Joe Biden, che ha dichiarato: «Anche se la situazione si è intensificata, una soluzione diplomatica è ancora possibile». La paura che il conflitto si possa estendere è condivisa, per ora, in modo unanime: il capo degli affari esteri Ue, Josep Borrell, ha dichiarato che «siamo sull’orlo di una guerra totale», il nuovo ministro degli esteri francese Jean-Noël Barrot ha richiesto una riunione d’emergenza del Consiglio di sicurezza Onu, la Russia e l’Iran temono che il conflitto provochi un effetto domino, destabilizzando l’intero Medio Oriente. Dal Palazzo di vetro, la critica più dura è arrivata dal presidente della Turchia Recep Tayyip Erdogan che ha dichiarato: «Come vi fu un’alleanza per fermare Hitler ora è necessario formare un’alleanza per fermare Netanyahu». Intanto, il premier israeliano avrebbe ritardato la sua partenza per gli Stati Uniti ed è atteso oggi, mentre sembra ci sia un cambio di programma per il primo ministro libanese Najib Mikati. Nonostante avesse manifestato l’intenzione di non spostarsi, dati gli ultimi sviluppi dovrebbe arrivare presto a New York proprio per partecipare all’Assemblea generale dell’Onu.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.