Uccisa per il rifiuto delle leggi islamiche ma la fine di Saman non indigna nessuno

Non sarai mai sola». Frase da fiaccolata, frase da sindaco in cerca di slogan motivazionali. E invece a una settimana dalla presa di posizione di Elena Carletti, prima cittadina di Novellara (Reggio Emilia), Saman Abbas è sempre più sola, sepolta senza un perché, abbandonata con il suo coraggio da diciottenne per colpa di un conformismo subalterno alle mode e ai codici perversi della società occidentale senza spina dorsale. Saman Abbas, un nome e un cognome biodegradabili, finiti dentro il parallelepipedo di cemento dell'ignavia per un motivo elementare: la sua storia è scomoda, i suoi diritti si scontrano con un'agenda politica e ideologica dominata dal perbenismo progressista che oggi in Italia prevede altro. Saman è semplicemente fuori sincrono.
Eppure in quell'omicidio famigliare sul quale il fratello sedicenne ha messo il punto esclamativo («È stata uccisa dallo zio perché non voleva un matrimonio combinato») ci sarebbe tutto ciò che agita le anime in tempesta della sinistra arcobaleno: sessismo, razzismo, ferocia di genere. Un combinato disposto che in altre occasioni avrebbe scatenato l'inferno mediatico, con dichiarazioni mirate da Michela Murgia a Laura Boldrini, all'esercito sempre in trincea del mondo Lgbtq. E puntate speciali di Giovanni Floris e Lilli Gruber. Invece il delitto islamico che conferma la subalternità dei diritti della donna crea solo imbarazzo. Rula Jebreal forse è distratta dallo shopping a Manhattan?
Silenzio, vento che porta malinconia. Neppure Alessandro Zan ritiene di dover puntare il dito contro la barbarie. Per loro Saman è solo cronaca. Dimenticabile, da seppellire con le pale dell'oblio. Spazzata via dall'indifferenza pelosa di chi non osa alzare la voce contro le ipocrisie di un'integrazione da talk show. Basta scorrere le prime pagine dei giornali e le homepage dei siti mainstream per pensare che quella ragazza ha sbagliato battaglia. Se fosse stata uccisa perché transgender o si fosse imbattuta in un coatto italiano in cerca di avventure, ora sarebbe un simbolo. Poesie nelle scuole, canzoni rap con Fedez al mixer, una targa alla memoria in municipio e lo zio candidato alle regionali da Articolo 1.
Invece niente, polvere e silenzio. Il Corriere della Sera dedica all'accusa del fratellino alla famiglia un box, di quelli che ospitano l'impresa di un cercatore di funghi; sul sito la notizia è al sesto scroll, accanto all'aliscafo elettrico e al nuovo amore di Brad Pitt. Sulla Stampa online nulla, si arriva fino allo scoop di Francesco Rutelli impegnato a salvare il pianeta, segnale subliminale che le news sono finite. Sul Messaggero.it c'è spazio per il cormorano che ha inghiottito una sigaretta elettronica. Di Saman Abbas nessuna traccia. Né nei campi emiliani battuti dai carabinieri, né sui media paladini dei diritti.
In compenso, per proprietà transitiva, si nota un lungo applauso commosso e trasversale per il comunicato dell'Ucoii (l'Unione delle comunità islamiche in Italia) nel quale si stigmatizza il delitto e si preannuncia «una fatwa contro i matrimoni combinati forzati e l'altrettanto tribale usanza dell'infibulazione femminile. L'Ucoii respinge con forza comportamenti che non possono trovare alcuna giustificazione religiosa». La ola mediatica in questo caso è compatta, come se contro un omicidio fosse necessaria una fatwa e non bastasse il codice penale. In vigore da sempre e scritto in buon italiano.
Parliamo di Saman. Aveva 18 anni, voleva vivere come una giovane italiana, si è presentata in camicetta, jeans e sneakers per dire ai suoi - guardandoli negli occhi - che non avrebbe sposato un cugino in Pakistan come da progetto famigliare medioevale. Voleva vivere con il ragazzo che amava, quello a cui scriveva sul profilo Instagram: «Non sono sola ma mi sento abbandonata senza di te». Uccisa. Ce n'era a sufficienza per stigmatizzare il fatto e anche la barbarie d'importazione. Proprio qui si avverte l'odore della frenata dei buoni per decreto: lei si è ribellata all'Islam più deteriore, a sinistra nessuno sa come dirlo e allora meglio tacere. Code di paglia sventolano. Ovviamente la parola «pachistano» non compare, neanche si trattasse di una prova generale di applicazione del ddl Zan. Se fosse in vigore, a finire davanti a un giudice per discriminazione etnica e religiosa saremmo noi.
La storia di Saman Abbas merita pietà e fermezza perché conferma ciò che accade nelle periferie del Nord Europa e magistralmente Michel Houellebecq trasferisce nei suoi romanzi: minoranze religiose proliferano senza alcuna intenzione di integrarsi, anzi marcando la diversità con regole tribali che vanno oltre i codici. E quando una ragazza che vive dentro il nostro tempo, permeata della nostra cultura, cerca l'integrazione, rischia la morte. L'agenda gender fluid non comprende il dramma di Saman. Se avesse rifiutato lo sposo perché lesbica o «in transizione» sarebbe stata ammazzata egualmente, ma da eroina. Con quattro pagine passanti e la grande foto di prima.






