Il nostro Paese ha il record mondiale di decessi subito dopo Israele e Usa. Anche gli scienziati denunciano l’anomalia: per Matteo Bassetti è sbagliato il metodo di calcolo, per Stefania Salmaso sono inadeguate le cure. Ma, invece di capire e affrontare il problema, Roberto Speranza tace.
Il nostro Paese ha il record mondiale di decessi subito dopo Israele e Usa. Anche gli scienziati denunciano l’anomalia: per Matteo Bassetti è sbagliato il metodo di calcolo, per Stefania Salmaso sono inadeguate le cure. Ma, invece di capire e affrontare il problema, Roberto Speranza tace.È in calo la curva dei contagi, diminuiscono i ricoverati in area medica e in terapia intensiva, l’indice Rt si mantiene sotto la soglia dell’1, però in Italia si muore troppo per Covid. Sempre che si tratti di soli decessi per coronavirus e non per patologie concomitanti, interrogativo mai chiarito dal ministero della Salute, la letalità risulta eccessiva se confrontata con quanto accade negli altri Paesi. Dallo scorso 20 gennaio, i nostri morti giornalieri non sono mai stati meno di 300, tranne domenica scorsa quando scesero a quota 235. Febbraio si è aperto con 427 decessi, per poi calare a 395 martedì, il conteggio è tornato a innalzarsi mercoledì (+ 414) e ieri (+ 433) con 60 morti pregresse, ma sempre dati elevati rimangono. Dal 29 gennaio al 4 febbraio sono stati 2.630 i pazienti non sopravvissuti al Covid, in crescita del 2,2% rispetto alla settimana precedente. Rispetto alla mortalità per coronavirus nel resto del mondo, secondo gli aggiornamenti di Ourworldindata.org, il 3 febbraio l’Italia aveva 6,08 decessi per milione di abitanti, subito dopo Israele (10,49) e Stati Uniti (7,33) ma molto al di sopra del Portogallo (4,68), della Svezia (4,53), della Francia, della Spagna (3,89), del Regno Unito (3,29), della Danimarca (3,37) e della Germania (1,37), per non parlare della distanza abissale con l’India, che ha registrato 0,79 morti per milione di abitanti.«A metà febbraio l’Italia rischia almeno 500 morti al giorno», prevedeva un mese fa l’Institute for health metrics and evaluation (Ihme), istituto dell’università di Washington finanziato dalla Fondazione di Bill Gates. Speriamo davvero di non arrivare a un simile funesto traguardo, mentre calano i contagi e le ospedalizzazioni, però non c’è dubbio, i decessi aumentano e il picco sembra avvicinarsi. Perché una simile anomalia? Matteo Bassetti, virologo, direttore della clinica di malattie infettive dell’ospedale San Martino di Genova, sostiene che si debba iniziare a calcolare i morti in maniera diversa. «Nonostante Omicron e vaccini ci stiano portando fuori dalla pandemia, il numero di morti, classificati come Covid in Italia, è troppo alto anche rispetto agli altri Paesi europei e non solo», è tornato a scrivere ieri sui social, «In Danimarca, per esempio, riportano una significativa riduzione della mortalità e della letalità nelle ultime settimane, ma mettono in evidenza ciò che sostengo da oltre un mese: in questa fase sono moltissimi i decessi con Covid e non a causa del Covid. Per chi non fa il medico sembra una differenza solo semantica. Non è così. È sostanziale», ragiona il professore. Per poi aggiungere: «Bisogna differenziare chi ha sintomi e segni del Covid, da chi invece è asintomatico per Covid è ha qualcos’altro. Solo così potremo capire cosa sta succedendo, ridando oltretutto dignità ai vaccini che da questa classificazione italica non ne hanno giovato», ha concluso l’esperto, riferendosi ai primi posti per mortalità che il nostro Paese occupa, a dispetto di una campagna vaccinale che ha raggiunto la stragrande maggioranza della popolazione. Il ministro Roberto Speranza rimane sordo al problema, i conteggi dei deceduti proseguono nella stessa maniera e non abbiamo informazioni sul perché si muoia di più. Forse, però, le cause sono pure altrove. Già lo aveva detto a gennaio l’epidemiologa Stefania Salmaso: «Non sappiamo abbastanza dei decessi Covid». Secondo l’ex direttrice del Centro nazionale di epidemiologia dell’Istituto superiore di sanità, «in Italia si dovrebbe poter sapere età, regione e luogo dei decessi. Sarebbe utile alla prevenzione». In un’intervista alla Stampa affermava che un virus particolarmente aggressivo nei confronti degli anziani «non basta a spiegare la frequenza di decessi. Ci potrebbe essere qualche inefficienza del sistema sanitario, penso per esempio alla quantificazione della quota prevenibile con antivirali entro cinque giorni dall’infezione. Mentre i vaccini sono offerti a tutti, questi farmaci sono a rischio disuguaglianza e serve una campagna sul tema che coinvolga i medici di base». La grande assente è sempre la medicina del territorio, che non offre cure a domicilio, tantomeno ai pazienti Covid. Trascurata, senza fondi, personale e strategie regionali che mettano in atto direttive emanate dal ministero della Salute, non dà risposte rapide, immediate. Nella maggior parte dei casi nemmeno le fornisce, con medici di base immersi in pratiche burocratiche e Usca, le Unità speciali di continuità assistenziale, formate da giovanotti alle prime armi. Eppure se non intervieni subito, con il Covid, metti a rischio la salute della persona che quando arriverà in ospedale avrà un quadro dell’infezione ormai gravemente compromesso. «Riteniamo fondamentale che il medico vada a casa, visiti il paziente e poi lo tenga monitorato anche per telefono», ha dichiarato Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, ricordando che «ogni malattia viene curata a domicilio prima di arrivare in ospedale». Già, ma nel caso del Covid, solo con Tachipirina e vigile attesa come prescrivono il ministero della Salute e l’Aifa? Remuzzi ha pubblicato due studi sull’utilizzo degli antinfiammatori «capaci di fermare la malattia Covid ai primi sintomi» ed entrambi «hanno dimostrato una riduzione del 90% della necessità di ospedalizzazione». Se il paziente non si aggrava, significa riduzione della mortalità, ma questo ancora non avviene in Italia. Che cosa aspettano a muoversi, ministero della Salute ed Aifa?
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





