2019-12-25
Tutti i perché e i sapori del Natale in tavola
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Un viaggio tra le tradizioni gastronomiche e non solo. Dalla necessità di colorare le tavole e i pasti con un tocco d'arancio con mandarini e arance alla storia del panettone, declinato in molteplici versioni nelle varie regioni d'Italia.All'interno gallery fotografica.Cominciamo dalla fine, del resto stiamo contando l'ultima settimana dell'anno. Dovete portare in tavola i mandarini e le arance. Usatele se volete anche per colorare il desco, ma questi agrumi proprio non possono mancare. Vi chiederete perché e rispondere perché sono buoni, perché fanno bene, perché quelli italiani sono i migliori sarebbe semplice. E invece come ogni argomento che riguarda la tavola bisogna andare indietro nel tempo. Molto indietro. C'è una questione antropologica dietro quel mandarino e quell'arancia. Oltreché uno struggente ricordo. Quando Babbo Natale stava ancora in ferie e il bambinello nasceva davvero in una mangiatoia, i regali erano scarsa merce. Ai nostri nonni per Natale arrivavano appunto un po' d'agrumi: per i più fortunati un vestitino, o le scarpe nuove: un paio per tutto l'anno. Sovente erano ricavate quelle scarpe dalla vendita del Culatello (quello che oggi mangiamo con gran gusto in antipasto) o dal prosciutto: il mezzadro fidava nel pezzo più pregiato per far quadrare i conti. Ed è il motivo del perché il salvadanaio è fatto a forma di maialino! Toccava poi alla Befana far scivolare il 6 gennaio qualche biscotto o qualche dolcetto nelle calze dei più piccoli. Il Natale era tutto lì salvo mettersi a tavola con l'intera famiglia – sovente in un pranzo costruito a pezzi: ogni fa e porta qualcosa e di piatti comunitari è pieno il ricettario italico - e almeno in quel giorno concedersi qualche lusso gastronomico: ecco il perché del bollito. Gli animali erano arrivati a fine carriera, c'erano i nuovi nati ormai, e così in pentola poteva finire la vacca che aveva dato tanto latte e tanto formaggio, o il manzo che aveva arato per anni, o la gallina ormai esausta a forza di fare le uova. Le carni erano dure: servivano le lunghe cotture ed ecco inventato il bollito sulla stufa a legna o nel camino a sobbollire con tante verdure per dare profumo. E si faceva anche il brodo col maiale anche lui destinato al sacrificio tra il 13 dicembre e il 17 gennaio e cioè tra il giorno di Santa Lucia (quella che porta i doni ai bambini nei paesi del Nord) e quello di Sant'Antonio Abate che ha per animale iconografico proprio il maialino come segno di futura opulenza. Con le ultime uova si facevano i dolci e l'uva passa era il "condimento" di questi pani lievitati con quello che oggi ci appare una rarità e allora era l'unica possibilità: la pasta acida o lievito madre che dir si voglia. Non vi stupite nel sapere che il Panettone meneghino ha tantissimi antenati: dal Pan dolce genovese, al pan giallo romano, al buccellato siciliano che poi si fa anche nei dintorni di Lucca. Ad arricchire questi pani dolci c'erano anche i canditi: nel nord di zucca, nel Sud e nel centro Italia erano la buccia di cedro e quella di arancia bollite con lo zucchero se c'era o nel miele più probabilmente. Ed ecco che siamo tornati lì: agli agrumi. E allora perché portarli in tavola nei giorni del Natale? Oh bella: perché Natale c'era prima di Natale! E proprio in Italia che era detta la "Saturnia Tellus". E gli agrumi hanno il colore e la forma del sole! È una storia complicata di dei, di fuochi, di semi. Ma a raccontarla sembra copiata dalla Bibbia! Cioè? Più o meno è andata così.Quando Zeus o meglio Giove visto che stiamo parlando di età romana, si ribella a Cronos o meglio a Saturno che aveva il vizietto di mangiarsi i figli per restare il re degli Dei ab eterno, lo esilia, dopo la sconfitta dell'esercito saturnino dei Titani ad opera delle scolte "gioviali" composte dai Ciclopi e dagli dei amici di Giove, in Italia e in particolare in una grotta del "latium" (cioè da una parte) che poi diventa Lazio. Ebbene Saturno si porta con se la sua sposa Opi che però può essere Cerere (con la figlia Demetra) o anche Strenna (ora sapete perché i regali di Natale sono detti strenne), ma anche Bona Dea che poi è una riedizione della Mater Matuta, della Cupra picena o la Cavtha etrusca che è proprio la dea del sole che nasce come la sua cugina Abundantia, è la dea della messe copiosa. Ora sapete anche perché si dice che a Natale sulla tavola deve esserci Abbondanza! Insomma la coppia regale esiliata viene accolta da Giano nelle sue montagne (a proposito se trovate l'antro di Saturno avete fatto bingo perché lì è custodito il seme dell'immortalità e dell'abbondanza) e Saturno ricompensa il suo ospite insegnandogli a coltivare la terra e a ricavarne i frutti migliori. Ecco in omaggio a Saturno nell'antica Roma dal 17 al 23 dicembre si facevano i Saturnali che erano cominciati con un giorno solo, ma l'imperatore Domiziano li allunga. E cosa facevano i romani? Mangiavano tanto e tanti dolci, avevano i banchetti per lo shopping nelle strade che venivano addobbate con tante fiaccole e nastri colorati e candele rosse ché il rosso era il colore dell'abbondanza. Si scambiavano doni e per quella settimana era sospesa ogni attività. Tutto in attesa del 25 dicembre e cioè della festa del Sol Invictus quando il sole antico muore e il sole nuovo rinasce in speranza di abbondanza, in concomitanza con il solstizio d'inverno. Mettetevi un po' nei panni di quelli di allora che vedevano le giornate farsi sempre più corte, i campi allagati, gli alberi ritorti. La paura era tanta. Che il sole morisse, che non ci fossero più frutti… ma poi piano piano ecco che la luce s'allunga, che nonostante il freddo la terra respira e così si fa festa per propiziare l'abbondanza. Ora se ci riflettete il Natale è il giorno della frutta magari candita (pensate al Certosino bolognese, allo stesso panforte senese) è il giorno dei nastri (le cartellate pugliesi) è il giorno dell'oro (il pan giallo laziale, ma anche il giallo delle uova nella sfoglia e dello zafferano citando a esempio il Parrozzo abruzzese) e anche della frutta secca che è riserva di energia e ricordo del tempo d'autunno che s'offre al tempo di rinascita (ed ecco il torrone, l'usanza della frutta secca, i frati cercatori che facevano i sacchi di noci, i pan nociati, i pan papati) con i fichi secchi magari ripieni alla calabrese, ma anche con i mosti cotti. Ecco tutto questo si riassume nel mandarino e nell'arancia che sono i frutti del Sol Invictus: sono il sole in tavola, sono l'energia. Il loro tempo migliore è proprio a cavallo tra dicembre e gennaio. Che le cose stiano così, che le nostre tradizioni stiano in questa mitologia che si è poi fatta liturgia cristiana lo provano proprio le ricette del Natale dove emerge che nei nostri dolci tradizionali non c'è il cioccolato. Certo ora troviamo Panettoni e Pandori farciti con qualsiasi crema, troviamo mille varianti, ma guardando le ricette tradizionali non si trova cioccolato. Ci sono le spezie (ancora il panforte) c'è la frutta secca (il torrone ma anche i ricciarelli e le paste di mandorle spesso fatta con le armelline cioè con i semi delle albicocche) ci sono i canditi (il certosino) ci sono le contaminazioni arabe (la cubiata) o ebraiche che potremmo riassumere nelle Spongata. Sull'influsso ebraico conviene soffermarsi. Direte: ma gli ebrei mica festeggiano il Natale. Vero, ma fanno qualcosa di molto simile e come al solito si tratta di stabilire a chi va il primato, ammesso che sia interessante. Gli ebrei hanno una festa che si chiama Channukkà (o hanukkà) che significa rinnovamento. E come si celebra, detto in estrema sintesi? Con l'accensione delle candele e delle Menorrah (il candelabro a sette braccia) e del candelabro specifico di Channukkà che di braccia ne ha 9 (8 sono i giorni di festa poi c'è la nona candela che serve ad accendere tutte le altre). È la festa dei bambini che ricevono doni, della famiglia, della luce che vince le tenebre e della consacrazione del tempio di Gerusalemme dopo la profanazione greca e cade, pensate un po', a dicembre per otto giorni coincidendo spesso con il Natele del calendario cristiano. Ma quello che ci interessa è la tavola dove arriva il Kugel una specie di lasagne vegetariane fatte con tagliolini, patate cipolle, poi il Brsket che è una sorta di punta di petto al forno e poi le zuppe e i dolci che sono molto interessanti perché spiccano i bomboloni e i Rugelach che sono dei cornettini farciti. In tutto questo poi ci sono i dolci come lo Sfratto di Pitigliano un bastone di pasta ripieno di frutta secca, miele, fichi secchi non dissimile dalla Gubana friulana, dalla Serpe di Spoleto, dalla Frustenca delle Marche, ma anche e non sembri un paradosso dallo Zelten altoatesino in dolce che si fa solo a Natale. Per dire che cosa? Che il Natale come lo viviamo adesso tra tanti cotillon e lustrini è in realtà una festa di riflessione, di origine remotissima dove la tavola davvero diventa la liturgia dello stare insieme per rinascere.Lo si capisce dalle tante ricette di tradizione che scandiscono il nostro desco nei due giorni cruciali del 24 e del 25 dicembre. Intanto vi è una prima differenza: nel Nord il giorno vero della festa è il 25 con il pranzo di Natale nel Sud anche il cenone della vigilia dove si mangia di magro (si fa per dire) è sontuoso. Alcuni piatti sono diventati dei must nazionali e internazionali: i tortellini e le lasagne, il bollito misto, le mostarde di frutta. Ma ci sono dei piatti regionali che resistono e connotano le varie aree del nostro paese. C'è però anche per la vigilia un pesce che è considerato irrinunciabile: ed è il capitone. E' l'anguilla femmina più grossa che si mangia quasi con una valenza totemica: è il serpente che insieme va sconfitto ma anche venerato, è la fecondità che va acquisita. Quest'anno c'è poi una ragione in più per recuperare alcune ricette di territorio tanto per la vigilia quanto per il pranzo di Natale. Cadono (il 4 agosto prossimo) i duecento anni dalla nascita di messer Pellegrino Artusi il sommo codificatore della cucina italiana con il suo fortunatissimo la Scienza in cucina e l'arte di mangiare bene che sia detto per inciso sarebbe anche un bel regalo per il recupero delle tradizioni dacché nessuna delle nostre mamme o nonne non lo aveva in dote! E allora vediamo un po' di piatti irrinunciabili per il Natale. La dovizia delle paste ripiene: dagli agnolotti dal Plin piemontesi ai tortelli di zucca mantovani e lombardi, ai tortellini emiliani con la variante degli anolini parmensi e reggiani, poi i cappelletti romagnoli e marchigiani per arrivare ai Culigones de casu sardi, ai ravioli al tocco e ai natalini liguri, ai casoncelli bergamaschi. E tra le paste ripiene ancora ecco i cialsons carnici. Ma ci sono poi cose molto particolari come la zuppa valpellinentze aostana o gli gnudi fiorentini (tortelli senza pasta) o la minestra maritata campana e napoletana nelle sue varianti, o i canederli. Poi via con le paste al forno: certo le lasagne, ma la pasta 'ncaciata siciliana è un'opera d'arte, così come i vincisgrassi marchigiani (anche nella versione antica e aristocratica dei princepsgrass con tanto di animelle e tartufo).Trionfa il baccalà da quello alla vicentina a quello all'anconetana, dalla frittura ripassata in salsa alla livornese ai fritti di Campania e Basilicata fino al baccalà con le patate della Calabria. E poi ci sono i bigoli, i maccheroni con peperone crusco (passando dal Veneto alla Basilicata) e poi la pizza di scarola e l'insalata di rinforzo napoletana e il grande comparto degli arrosti (con gli spiedi umbri meravigliosi o le faraone farcite toscane). Infine ci sono i cibi totemici: su tuti lo zampone che ricorda anche la commistione con le civiltà del Grande Nord e della selva dove il maiale (sotto forma più spesso di cinghiale che invece per gli etruschi era divinità negativa) era l'animale totemico della fertilità e la sua zampa l'amuleto per definizione. Perché mai come a Natale la tavola diventa luogo di liturgia gastronomica. Per saperlo dovremmo affacciarci in queste ore in una cucina londinese o meglio ancora delle Cotswolds. Sì proprio in Inghilterra in tempi di Brexit per trovare una tradizione che (quasi) tutto spiega: la Christmas Cake. È una torta fatta con 13 ingredienti tanti quanti erano gli apostoli più Gesù, che deve essere mescolata in senso antiorario da Ovest a Est seguendo la rotta dei Magi da ciascun membro della famiglia, che va cotta nella notte Santa e che deve contenere una monetina al suo interno in segno di assicurazione sul futuro. Se ci pensate bene è il sapore del Natale. Auguri!
Giorgia Meloni (Ansa)
Alla vigilia del Consiglio europeo di Bruxelles, Giorgia Meloni ha riferito alle Camere tracciando le priorità del governo italiano su difesa, Medio Oriente, clima ed economia. Un intervento che ha confermato la linea di continuità dell’esecutivo e la volontà di mantenere un ruolo attivo nei principali dossier internazionali.
Sull’Ucraina, la presidente del Consiglio ha ribadito che «la nostra posizione non cambia e non può cambiare davanti alle vittime civili e ai bombardamenti russi». L’Italia, ha spiegato, «rimane determinata nel sostenere il popolo ucraino nell’unico intento di arrivare alla pace», ma «non prevede l’invio di soldati nel territorio ucraino». Un chiarimento che giunge a pochi giorni dal vertice dei «volenterosi», mentre Meloni accusa Mosca di «porre condizioni impossibili per una seria iniziativa di pace».
Ampio spazio è stato dedicato alla crisi in Medio Oriente. La premier ha definito «un successo» il piano in venti punti promosso dal presidente americano Donald Trump, ringraziando Egitto, Qatar e Turchia per l’impegno diplomatico. «La violazione del cessate il fuoco da parte di Hamas dimostra chi sia il vero nemico dei palestinesi, ma non condividiamo la rappresaglia israeliana», ha affermato. L’Italia, ha proseguito, «è pronta a partecipare a una eventuale forza internazionale di stabilizzazione e a sostenere l’Autorità nazionale palestinese nell’addestramento delle forze di polizia». Quanto al riconoscimento dello Stato di Palestina, Meloni ha chiarito che «Hamas deve accettare di non avere alcun ruolo nella governance transitoria e deve essere disarmato. Il governo è pronto ad agire di conseguenza quando queste condizioni si saranno materializzate». In quest’ottica, ha aggiunto, sarà «opportuno un passaggio parlamentare» per definire i dettagli del contributo italiano alla pace.
Sul piano economico e della difesa, la premier ha ribadito la richiesta di «rendere permanente la flessibilità del Patto di stabilità e crescita» per gli investimenti militari, sottolineando che «il rafforzamento della difesa europea richiede soluzioni finanziarie più ambiziose». Ha poi rivendicato i recenti riconoscimenti del Fondo monetario internazionale e delle agenzie di rating, affermando che «l’Italia torna in Serie A» e «si presenta in Europa forte di una stabilità politica rara nella storia repubblicana».
Nel passaggio ambientale, Meloni ha annunciato che l’Italia «non potrà sostenere la proposta di revisione della legge sul clima europeo» se non accompagnata da «un vero cambio di approccio». Ha definito «ideologico e irragionevole» un metodo che «pone obiettivi insostenibili e rischia di compromettere la credibilità dell’Unione».
Fra i temi che l’Italia porterà in Consiglio, la premier ha citato anche la semplificazione normativa - al centro di una lettera firmata con altri 15 leader europei e indirizzata a Ursula von der Leyen - e le politiche abitative, «a fronte del problema crescente dei costi immobiliari, soprattutto per i giovani». In questo ambito, ha ricordato, «il governo sta lavorando con il vicepresidente Salvini a un piano casa a prezzi calmierati per le giovani coppie».
Nel giorno del terzo anniversario del suo insediamento, Meloni ha infine rivendicato sui social i risultati del governo e ha concluso in Aula con un messaggio politico: «Finché la maggioranza degli italiani sarà dalla nostra parte, andremo avanti con la testa alta e lo sguardo fiero».
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