2019-12-28
Tutti i flop a stelle e strisce dall’Iraq alla Libia: la democrazia non si esporta più
Nel saggio «La grande illusione» John Mearsheimer, padre del realismo politico, passa in rassegna il fallimento storico dell'idea liberale di cambiare a colpi di interventi militari gli altri Paesi del mondo.Anche se lo scopo dell'egemonia liberale è rendere più pacifico il mondo, essa crea maggiore instabilità nel sistema. In altre parole, probabilmente il numero delle guerre aumenterà invece di diminuire. Non è certo un esito inaspettato, dati il relativo potere e la bellicosità intrinseca dello Stato liberale. Per giunta, quando una grande potenza è libera di perseguire una politica estera liberale, finisce invariabilmente per creare grossi guai - per sé stessa, per i suoi alleati, per gli Stati che vorrebbe democratizzare, e per i malcapitati altri Stati che si ritrovano in mezzo al fuoco incrociato. […] Il tentativo degli americani di rovesciare dittatori nel Medio Oriente allargato e di sostituirli con regimi democratici, che è iniziato seriamente dopo l'11 settembre ed è proseguito sia con le amministrazioni Bush sia con Obama, è un caso da manuale sui limiti dell'ingegneria sociale. Gli Stati Uniti hanno preso di mira cinque paesi: Afghanistan, Egitto, Iraq, Libia e Siria. Hanno usato il loro apparato militare per contribuire a rovesciare i regimi di Afghanistan, Iraq e Libia, ma si sono guardati bene dal farlo con l'Egitto o con la Siria. […] I politici americani pensavano di poter instaurare una democrazia stabile amica degli Stati Uniti e in grado di aiutarli ad affrontare problemi drammatici come la proliferazione delle armi nucleari e il terrorismo. È davvero sorprendente la fiducia che avevano i leader di Washington nella propria capacità di trasformare gli assetti politici di quei cinque paesi, e più in generale della regione. Ma hanno fallito tutte le volte, portando morte e distruzione nel Medio Oriente allargato e impantanando gli Stati Uniti in guerre apparentemente senza fine in Afghanistan, in Iraq e in Siria.Gli Stati Uniti sono entrati in guerra con l'Iraq a metà ottobre del 2001, poco più di un mese dopo gli attacchi terroristici dell'11 settembre. All'inizio di dicembre, sembrava indiscutibile che le forze armate americane avessero conseguito una vittoria spettacolare. I talebani erano in rotta e a Kabul si era installato un leader, Hamid Karzai, che pareva orientato alla democrazia. […] Era la genesi della dottrina Bush. Gli Stati Uniti hanno invaso l'Iraq nel marzo 2003 e hanno detronizzato rapidamente Saddam Hussein, dando l'impressione che Washington avesse trovato la formula magica per trasformare la regione in una placida culla di democrazie stabili. Ma nella tarda estate l'Iraq è piombato nella guerra civile, mentre le forze armate dovevano fronteggiare una violenta insurrezione.Mentre l'amministrazione Bush concentrava tutte le sue risorse sull'Iraq, che nel 2004 era ormai fuori controllo, i talebani sono tornati a farsi vivi. Anche l'Afghanistan era lacerato dalla guerra civile. Per evitare che i talebani e i loro alleati rovesciassero il governo Karzai e riprendessero ancora una volta il controllo del paese, gli Stati Uniti hanno concentrato in Afghanistan un gran numero di soldati. A quel punto erano impegnati in due grandi guerre, sia in Afghanistan sia in Iraq. Contrariamente alle sue aspettative, Washington non aveva trovato la maniera di pacificare il Medio Oriente allargato, e stava cercando invece di uscire dalla situazione in cui era andata a infilarsi nei due paesi. Oggi entrambe le guerre, tuttavia, sembrano cause perse. […] Un mese dopo il suo insediamento alla Casa Bianca, nel gennaio 2009, il presidente Obama ha annunciato l'invio di altri 17.000 soldati in Afghanistan in aggiunta ai 36.000 che vi operavano già. Pochi mesi dopo, ha deciso di inviarne altri 30.000. Nello stesso tempo, ha dichiarato che quelle forze non sarebbero rimaste laggiù all'infinito e che alla scadenza del suo mandato, nel gennaio 2017, avrebbero lasciato del tutto l'Afghanistan. Quel piano è andato in fumo perché i talebani hanno tenuto botta, conquistando altre porzioni di territorio mentre le forze americane battevano in ritirata. […] Quando Obama ha lasciato la Casa Bianca, in Afghanistan erano rimasti 8.400 soldati americani, e il presidente Trump viene sollecitato in continuazione dai comandanti delle forze ivi dislocate ad aumentarne la consistenza per portare avanti quella che è ormai diventata la guerra più lunga della storia americana. […] In poche parole, gli Stati Uniti sono destinati a perdere l'Afghanistan, nonostante gli sforzi titanici delle forze armate americane e un investimento nella ricostruzione del paese superiore a quello effettuato in Europa con il Piano Marshall all'indomani della seconda guerra mondiale.La Libia rappresenta un altro tentativo fallito di alterare la situazione politica di uno Stato debole. Nel marzo 2011, gli Stati Uniti e i loro alleati europei hanno avviato una campagna di bombardamenti aerei finalizzata alla deposizione del colonnello Muammar Gheddafi. Il leader libico era alle prese con una violenta insurrezione e le potenze occidentali hanno usato il falso pretesto che intendeva ordinare un eccidio per mettere fine alla sua dittatura. In luglio, più di trenta paesi hanno riconosciuto il Consiglio transitorio nazionale come governo legittimo della Libia. Gheddafi è stato ucciso nell'ottobre 2011, e da allora la Libia è immersa in una sanguinosa guerra civile di cui non si vede ancora la fine. Non ci sono ragioni per ipotizzare che diventi una democrazia stabile nel prossimo futuro.Mentre gli Stati Uniti rovesciavano il regime di Gheddafi in Libia, in Siria è scoppiata una rivolta contro il dittatore locale, Bashar al-Assad. Il governo ha reagito violentemente e ha usato il pugno di ferro per sopprimere le proteste, contribuendo a trasformare quel conflitto in una sanguinosa guerra civile che è in corso ancora oggi. Ma anche gli Stati Uniti hanno fatto la loro parte, pur senza intervenire direttamente. Nell'agosto 2011, pochi mesi dopo l'inizio della rivolta, l'amministrazione Obama si è schierata con le forze antigovernative e ha invitato Assad a dimettersi. Dopo il suo rifiuto, Washington ha unito le forze con il Qatar, l'Arabia Saudita e la Turchia nel tentativo di rovesciarlo. Gli Stati Uniti appoggiavano gruppi ribelli «moderati», per i quali alla fine la Cia e il Pentagono hanno speso più di 1,5 miliardi di dollari in armamenti e addestramento. Quella strategia è fallita del tutto. […] La guerra civile si trascinerà quasi certamente per diversi anni, portando caos e distruzione. Il conflitto siriano ha un'altra conseguenza drammatica. Milioni di siriani hanno lasciato il loro paese e stanno cercando di stabilirsi in Europa, dove confluiscono anche i profughi dei conflitti che continuano a lacerare l'Afghanistan, l'Iraq e la Libia. All'inizio quasi tutti i paesi europei hanno accolto bene questi esuli, ma alla fine il loro numero è cresciuto così tanto che alcuni Stati, e la stessa Ue, hanno eretto barriere consistenti per tenerli fuori. Queste mosse sono in contrasto con il principio fondativo dei confini aperti e con le politiche illuminate dell'Unione sul diritto di asilo. […]Vediamo infine il caso dell'Egitto, dove le manifestazioni contro il presidente Hosni Mubarak sono iniziate nel gennaio 2011. Di fronte all'intensificarsi delle proteste, l'amministrazione Obama è intervenuta e ha contribuito a far cadere il leader egiziano. Obama apprezzava la svolta democratica dell'Egitto e sosteneva il nuovo governo salito al potere nel giugno 2012, anche se era controllato dalla Fratellanza musulmana. Ma dopo un anno al potere, il presidente Mohamed Morsi, un membro della Fratellanza, è stato spinto alle dimissioni dalle forze armate egiziane e da gran parte dell'opinione pubblica. L'amministrazione Obama, mai entusiasta di Morsi, ha preso in mano la situazione e ha fatto capire neanche troppo velatamente che doveva andarsene, facilitando così la sua deposizione. È stato sostituito dal generale Abdel Fattah al-Sisi, un autocrate militare nella tradizione di Mubarak. Agendo in questo modo, l'America ha appoggiato di fatto un colpo di stato in danno di un leader democraticamente eletto che non rappresentava una minaccia per gli Stati Uniti. […] La performance di Washington in Afghanistan, in Egitto, in Iraq, in Libia e in Siria è stata a dir poco desolante. Oltre a non essere riusciti a proteggere i diritti umani e a promuovere la democrazia liberale in quei paesi, gli Stati Uniti hanno avuto un ruolo di primo piano nel diffondere morte e confusione nel Medio Oriente allargato. Oggi il terrorismo è un problema molto più grave nella regione, e nonostante il fragile accordo con l'Iran sul nucleare, per tutti i paesi del mondo gli incentivi all'acquisto o alla conservazione di armi nucleari sono aumentati di fronte alla politica americana di promozione a tutti i costi del cambiamento di regime. I politici di Paesi che hanno gravi divergenze con gli Stati Uniti ricordano sicuramente che nel dicembre 2003 il colonnello Gheddafi si impegnò a rinunciare alla creazione di armi di distruzione di massa in cambio della promessa di Washington di non estrometterlo dal potere. Otto anni dopo, l'amministrazione Obama ha orchestrato la sua deposizione; di lì a pochi giorni è stato assassinato; se avesse avuto un deterrente nucleare, probabilmente oggi sarebbe ancora il padrone della Libia.