
Il mercato europeo del gas era già disfunzionale da anni. Arrivata la crisi, siamo stati costretti a una corsa al rattoppo.Dopo il clamoroso insuccesso di venerdì scorso, quando i 27 ministri dell’energia dell’Unione europea non hanno trovato un accordo sul tetto al prezzo del gas, si attendono per questa settimana le proposte della Commissione sugli altri temi oggetto della riunione. Prosegue dunque la maratona per cercare di correre ai ripari prima che la situazione degeneri con l’arrivo dell’inverno. Già l’elenco di toppe che i governi europei si sono affannati a mettere nell’ultimo anno è impressionante. Per non parlare della montagna di soldi pubblici. Francia, Spagna e Germania hanno iniettato cifre da capogiro per arginare la crisi.In Italia, sinora, sono stati stanziati dal governo 45 miliardi di aiuti diretti all’azzeramento degli oneri di sistema e dell’Iva sulle bollette, a partire da metà 2021. Tolti quelli, secondo una stima della Cgia di Mestre, le famiglie e le imprese subiranno quest’anno un rincaro di 82,6 miliardi rispetto al 2021.In primavera Mario Draghi è andato a caccia di nuovi fornitori, accompagnato da Eni, per diversificare i flussi in ingresso, onde affrancarsi dalle forniture di gas russo. Snam ha acquistato tre rigassificatori galleggianti, per una spesa di quasi un miliardo di euro. Poi è stata introdotta una tassa sugli extra-profitti delle compagnie energetiche, che non sta dando i frutti sperati (10 miliardi di euro). Poiché lo stoccaggio del gas con regole di mercato non funzionava più per via dei prezzi alti, ad aprile il Mite è intervenuto per decreto dando mandato a Snam di riempire lo stoccaggio e stanziando a tale scopo 4 miliardi di euro. Sempre per decreto sono state riavviate le centrali a carbone che sembravano destinate al pensionamento, per complessivi 7.000 MW, con l’idea di risparmiare gas destinato alla generazione termoelettrica. Ancora con decreto è stata avviata la procedura per riprendere le estrazioni di gas (ma non le esplorazioni) da giacimenti nei mari italiani, che dovrebbero procurare a regime (tra due anni, forse) 3 miliardi di metri cubi di gas all’anno.Nel marzo scorso un altro decreto ha stabilito che i produttori di energia elettrica da fonte non a gas siano soggetti a un tetto ai ricavi dalla vendita sul mercato spot. È ciò che l’Unione europea ha deciso di fare la scorsa settimana e che di fatto rappresenta l’estrazione di un ricavo infra-marginale dal mercato elettrico a breve termine, utilizzabile per scontare le bollette dei consumatori. Dopo mesi di incertezze, qualche giorno fa il ministro Roberto Cingolani ha presentato il suo piano per il «risparmio» di gas, teso ad abbattere la domanda per equilibrare il mercato rispetto all’offerta. Venerdì scorso l’Unione europea ha deciso di affiancare a questo piano anche un taglio secco dei consumi di energia elettrica nelle ore di picco, con meccanismi ancora da scoprire, e di concedere speciali linee di credito per gli operatori del settore energetico, in crisi di liquidità a causa dei prezzi alti. L’Arera, autorità che regola il settore energetico, ha deciso di cambiare l’indicizzazione della tariffa di tutela e di abbandonare il Ttf, per utilizzare il prezzo spot al Psv (Punto di scambio virtuale, il mercato del gas italiano). Infine, Cingolani ha annunciato ieri una procedura per l’assegnazione di quantitativi di gas a prezzi concordati per alcune categorie di imprese particolarmente in difficoltà con i costi dell’energia (gas release).Questa frenetica corsa a tamponare situazioni critiche non è certo terminata. Intanto, molti clienti stanno tornando sul mercato tutelato mentre la tutela gas, a norme attuali, dovrebbe scomparire a gennaio 2023. Poi, il rischio che da un momento all’altro i residui flussi di gas dalla Russia si interrompano del tutto è concreto. Infine, in Italia si invoca il tetto al prezzo del gas, perché evidentemente tutto quello che è stato fatto sinora non è abbastanza. (Come detto più volte, il price cap non è affatto una soluzione, perché provoca effetti collaterali peggiorativi, oppure perché costa la stessa cifra che costerebbe non averlo. Ma il dibattito è fermo lì). Questo elenco incompiuto di rattoppi, così pregno di empirismo e occasionalismo, per dirla con Natalino Irti, evidenzia un tema importante: il mercato europeo dell’energia era disfunzionale ben prima che lo shock esterno dato dalla diminuzione del flusso di gas dalla Russia lo rendesse evidente. L’insufficiente diversificazione dei fornitori esterni, il mancato sfruttamento delle risorse nazionali, il collo di bottiglia rappresentato dalla carenza di rigassificatori, un mix produttivo troppo dipendente da una sola fonte (a sua volta troppo dipendente da un unico fornitore), il legame delle tariffe nazionali con un mercato estero di breve termine, l’assenza di limiti alle posizioni di rischio su una materia prima essenziale, le goffe velleità «sovraniste» dell’euro (vedi La Verità del 4 settembre 2022), le politiche beggar-thy-neighbour della Germania. Per non parlare della decisione di fare a meno del gas russo, cioè del 45% del proprio import, nel giro di pochi mesi.Notiamo che tutte le misure prese sin qui per salvare il mercato energetico da sé stesso prevedono interventi massicci e diretti dello Stato. Gli stessi che hanno innalzato a totem il libero mercato e proibiscono gli aiuti di Stato, oggi, senza alcuna vergogna, cercano riparo sotto il protettivo mantello dell’intervento pubblico. L’Unione europea nei suoi presupposti doveva garantire la sicurezza degli approvvigionamenti di energia a prezzi ragionevoli. Invece, ci ha dato razionamenti e prezzi alle stelle. Ciascuno può valutare se questo sia o non sia un colossale fallimento.
Jose Mourinho (Getty Images)
Con l’esonero dal Fenerbahce, si è chiusa la sua parentesi da «Special One». Ma come in ogni suo divorzio calcistico, ha incassato una ricca buonuscita. In campo era un fiasco, in panchina un asso. Amava avere molti nemici. Anche se uno tentò di accoltellarlo.