Trump: «Vinceremo». Nell’Unione si fa largo l’idea di Draghi come mediatore

Dopo due giornate di passione sui mercati, gli istituti di ricerca che fanno i conti dei danni e tracciano prospettive future, mentre a Bruxelles si ragiona su quale strategia intraprendere. Se andare al muro contro muro, aprendo la stagione dei contro dazi, o se avviare una trattativa con la Casa Bianca. Due strade piene di incognite. La prima, pericolosissima, rischia di innescare una spirale di ritorsioni dalla quale l’Europa ha solo da perdere. I contro dazi si tradurrebbero in un aumento della pressione fiscale. La seconda, tutta in salita, richiede un sapiente lavoro di diplomazia e un personaggio la cui autorevolezza sia riconosciuta, in grado di confrontarsi con un osso duro come Donald Trump che al momento non dà segni di voler cambiare strada. Nemmeno il bagno di sangue a Wall Street, e le pesanti perdite subite dagli «amici» delle big tech, i timori della Fed e i dubbi di alcuni membri del Partito repubblicano hanno incrinato la sua determinazione ad andare avanti. Nonostante le proteste di piazza: ieri si sono svolte 1.200 manifestazioni in 50 Stati contro la politica della Casa Bianca.
In Europa si fa strada l’idea che più che una reazione serve un’azione. È la posizione di Palazzo Chigi sin dalla prima ora, del dialogo in contrapposizione alla «vendetta» che il presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, in modo scomposto, a caldo, ha brandito. Ma al di là delle dichiarazioni, a Bruxelles sembra stia prevalendo la linea della diplomazia, dei nervi saldi anche se gli istituti di ricerca fanno a gara nell’indicare i danni dai dazi: l’European house Ambrosetti parla di 104,4 miliardi di euro in oneri doganali per la Ue, indicando Roma e Berlino come le predestinate alle conseguenze peggiori. La logica di non alimentare il fuoco, di lanciare messaggi positivi sulla tenuta del made in Italy, rientra nella strategia di un possibile negoziato. Il Consiglio Esteri-Commercio di domani in Lussemburgo avrà come obiettivo far uscire un messaggio unitario considerando che le politiche commerciali sono di competenza esclusiva della Commissione. Intanto ogni Paese sta consegnando al commissario al Commercio Ue, Maros Sefcovic, la lista delle merci da proteggere. Si lavora quindi sui negoziati e sulla difesa degli interessi europei ma con uno sguardo anche alla reazione della Cina. Il Financial Times ha paventato il rischio di una inondazione della Ue di importazioni cinesi a basso costo.
La sfida della Ue è di mantenersi unita contenendo le spinte centrifughe. Il presidente francese Emmanuel Macron sarebbe per una reazione muscolare. Ma Berlino è per evitare dichiarazioni combattive che «non contribuiscono a raggiungere una buona soluzione cooperativa». Compattezza e negoziato chiede anche la Spagna.
In Italia posizioni diverse tra Antonio Tajani e Matteo Salvini, con il ministro degli Esteri che è per una trattativa condotta in sede comunitaria mentre il leader della Lega vorrebbe che ci fosse un negoziato diretto tra Palazzo Chigi e Washington, bypassando Bruxelles. E nel frattempo «azzerare le politiche suicide della Ue» a cominciare dal Green deal.
Ma se la Commissione dovesse decidere di aprire la porta della diplomazia, si porrebbe il problema di chi dovrebbe andare a trattare. Il presidente Ursula von der Leyen parrebbe il personaggio meno adatto dopo le dichiarazioni di fuoco su Washington. L’ex ministro dell’Economia, Giovanni Tria, ha lanciato sul Foglio il nome di Mario Draghi. L’ex presidente della Bce ed ex premier ha il profilo giusto. Nessuno tra i leader europei conosce a fondo l’America come lui. Per aver studiato con i due premi Nobel Franco Modigliani e Bob Solow al Mit e vissuto a Boston tra il 1971 e il 1976 e per il periodo passato a Washington come direttore esecutivo della Banca mondiale.
L’Italia ha anche la carta Giorgia Meloni da giocare. Dice sempre Tria: «Ha ragione quando dice di mantenere la calma, nel rassicurare per non provocare il panico. Si sta mostrando leader in un’Europa che non ha leader».
La strategia del dialogo potrebbe trovare una sponda Oltreoceano. Elon Musk, in videocollegamento con il congresso della Lega, ha detto che spera che «Usa e Europa riescano a realizzare una partnership molto stretta. E riguardo ai dazi ci sposteremo in una situazione di zero dazi nel futuro, verso una zona di libero scambio. Questo è il consiglio che ho dato a Trump».
A Washington però si starebbero aprendo le prime crepe. Il segretario al Tesoro degli Stati Uniti, Scott Bessent, secondo indiscrezioni sarebbe pronto a lasciare il governo perché in conflitto con il presidente sulle tariffe. Bessent starebbe cercando di trovare una via d’uscita per approdare alla Federal reserve. Ma anche dal fronte del Partito repubblicano emergono le prime voci di preoccupazione. Il senatore del Texas Ted Cruz, stretto alleato di Trump, ha messo in guardia contro un potenziale «bagno di sangue» per il suo partito nelle elezioni di Midterm del 2026 se i dazi provocassero una recessione, prevedendo un destino «terribile» per il Paese qualora scoppiasse una guerra commerciale.
Ma il tycoon non molla. «Vinceremo. Resistete, non sarà facile, ma il risultato finale sarà storico», ha scritto online. E ha assicurato che le sue politiche economiche stanno «riportando posti di lavoro e aziende come mai prima. Già più di 5.000 miliardi di dollari di investimenti, e in rapida crescita».






