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2019-09-24
Trump usa l'Ucraina contro Biden
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Ansa
Come è noto, Trump è stato accusato di aver esercitato pressioni a luglio sul presidente ucraino Volodymyr Zelensky, per spingerlo a mettere sotto inchiesta il figlio dell'attuale front runner democratico, Hunter. Costui nel 2016 faceva parte del consiglio d'amministrazione di Burisma Holding: una società energetica ucraina che era finita sotto indagine per corruzione da parte dell'allora procuratore generale ucraino, Viktor Shokin. Quello stesso Shokin di cui Biden, nel marzo del 2016, richiese e ottenne il licenziamento, minacciando l'allora presidente Petro Poroshenko di congelare un miliardo di dollari in aiuti che Washington stava per concedere a Kiev. L'episodio – ricordiamolo – fu reso noto dallo stesso Biden durante un evento pubblico, l'anno scorso. Quel Biden che – tra il 2014 e il 2016 – fu scelto da Barack Obama come figura di raccordo tra l'amministrazione americana e l'Ucraina.
Negli ultimi giorni, è scoppiato un polverone mediatico. E, da più parti, sono piovute addosso a Trump accuse di abuso di potere: tanto che, dal Partito Democratico, circola sempre più insistentemente l'ipotesi di intentare contro l'inquilino della Casa Bianca un processo di impeachment. Per il momento, il presidente non sembra granché disposto a indietreggiare. E, soprattutto sui social network, è passato alla controffensiva, sostenendo che il problema principale risulterebbe costituito dal comportamento di Biden nel 2016. Effettivamente, se è deprecabile esercitare pressioni su un leader straniero per tornaconto personale, allora anche Biden dovrebbe essere coinvolto in quest'accusa, visto il suo ruolo nel siluramento di Shokin quando era vicepresidente. I difensori di Biden replicano che Shokin fosse una figura controversa e che molti ne chiedessero la destituzione. Ciò tuttavia non toglie che, nel momento in cui era procuratore generale, stesse indagando – come abbiamo visto – su una società in cui Hunter Biden ricopriva un incarico apicale. Che poi l'ex vicepresidente dica oggi di non aver mai interferito nella politica ucraina per scopi personali, non lo rende esente da eventuali indagini. Anche Trump, nel corso dell'inchiesta Russiagate, respingeva l'accusa di collusione con i russi: eppure l'indagine di Mueller si è svolta lo stesso.
Insomma, non è escluso che, nei prossimi mesi, la questione ucraina possa rivelarsi un grattacapo politico soprattutto per Biden. Non sarà del resto un caso che, pur criticando Trump su questa vicenda, gli altri candidati alle primarie democratiche non abbiano apertamente preso le difese dell'ex vicepresidente. Un ex vicepresidente che – ricordiamolo – risulta da tempo inviso a buona parte dell'elettorato di sinistra. Per questa ragione, l'obiettivo di Trump è far deflagrare la questione nel pieno della campagna elettorale, sperando che possa avere delle ripercussioni negative per l'attuale front runner democratico. Una volta sopitosi (almeno in parte) il ciclone mediatico sul presidente, è infatti possibile che l'attenzione si concentri maggiormente su Biden. Anche perché, quello ucraino non è l'unico potenziale conflitto di interessi che aleggia sul capo dell'ex vicepresidente. E, in tutto questo, non bisogna dimenticare il ruolo decisivo che proprio l'accusa di conflitto di interessi giocò a sfavore della corsa elettorale di Hillary Clinton alle presidenziali del 2016. In tal senso, non è affatto escludibile che già nel prossimo dibattito televisivo tra i candidati democratici (che si terrà a metà ottobre) alcuni rivali possano iniziare a chiedere conto della faccenda all'ex senatore del Delaware.
Certo: è vero che – come accennato – si ricomincia a parlare di impeachment. Tuttavia, per il momento, la maggior parte dei deputati democratici che lo chiedono sono gli stessi che lo invocavano fino all'altro ieri per il caso Russiagate. Gli stessi che la Speaker della Camera, Nancy Pelosi, sta continuando a cercare di tenere a bada, data la convinzione che un processo di messa in stato d'accusa possa rivelarsi un boomerang per l'Asinello. Non solo infatti i numeri parlamentari per arrivare a un verdetto di colpevolezza non ci sono (il Senato è in mano ai repubblicani). Ma, più in generale, la Pelosi teme che un impeachment potrebbe far guadagnare popolarità a Trump (come accadde a Bill Clinton nel 1999).
Infine, fermo restando che l'impeachment attenga al potere legislativo e non a quello giudiziario, siamo veramente sicuri che la famosa telefonata di Trump a Zelensky – per quanto controversa – presenti degli oggettivi risvolti penali? Cerchiamo di entrare nel dettaglio. Un'accusa che oggi viene mossa al presidente americano è quella di "corruzione". Tuttavia, anche se Trump avesse offerto esplicitamente duecentocinquanta milioni di dollari in aiuti militari all'Ucraina in cambio di un'indagine sul figlio di Biden, ciò non si adatterebbe a quanto prescrive lo statuto federale sulla corruzione, che proibisce ai funzionari pubblici di prendere o sollecitare tangenti. In questo caso, Trump avrebbe "corrotto" gli ucraini, che non sono tuttavia definibili come "funzionari pubblici". Discorso analogo vale per l'accusa di "estorsione": secondo il codice, l'estorsione è definita come "l'estrazione di qualsiasi cosa di valore da un'altra persona minacciando o mettendo quella persona nel timore di lesioni a qualsiasi persona o rapimento di qualsiasi persona." Come è evidente, è abbastanza difficile che una corte federale possa applicare una simile fattispecie a un intero Stato (l'Ucraina). Da tutto questo si evince come Trump – una volta lasciata la Casa Bianca – risulterebbe ben difficilmente incriminabile per questa vicenda.
Insomma, solo un impeachment potrebbe teoricamente agire contro Trump sulla faccenda. Il punto è che – al di là dei problemi di cui si diceva prima – il rischio per i democratici è quello di sprofondare nell'imbarazzo. Perché se è abuso di potere quello di Trump, allora lo è stato anche quello di Biden.
In tutto questo, Trump ha appena annunciato di aver autorizzato la pubblicazione della trascrizione della telefonata avuta a luglio con Zelensky. Pubblicazione che dovrebbe aver luogo nella giornata di domani.
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Donald Trump passa al contrattacco. Nel pieno della bufera mediatica sulla questione ucraina, il presidente americano, anziché limitarsi alla difesa, sta cercando di mettere Joe Biden sotto i riflettori.Come è noto, Trump è stato accusato di aver esercitato pressioni a luglio sul presidente ucraino Volodymyr Zelensky, per spingerlo a mettere sotto inchiesta il figlio dell'attuale front runner democratico, Hunter. Costui nel 2016 faceva parte del consiglio d'amministrazione di Burisma Holding: una società energetica ucraina che era finita sotto indagine per corruzione da parte dell'allora procuratore generale ucraino, Viktor Shokin. Quello stesso Shokin di cui Biden, nel marzo del 2016, richiese e ottenne il licenziamento, minacciando l'allora presidente Petro Poroshenko di congelare un miliardo di dollari in aiuti che Washington stava per concedere a Kiev. L'episodio – ricordiamolo – fu reso noto dallo stesso Biden durante un evento pubblico, l'anno scorso. Quel Biden che – tra il 2014 e il 2016 – fu scelto da Barack Obama come figura di raccordo tra l'amministrazione americana e l'Ucraina. Negli ultimi giorni, è scoppiato un polverone mediatico. E, da più parti, sono piovute addosso a Trump accuse di abuso di potere: tanto che, dal Partito Democratico, circola sempre più insistentemente l'ipotesi di intentare contro l'inquilino della Casa Bianca un processo di impeachment. Per il momento, il presidente non sembra granché disposto a indietreggiare. E, soprattutto sui social network, è passato alla controffensiva, sostenendo che il problema principale risulterebbe costituito dal comportamento di Biden nel 2016. Effettivamente, se è deprecabile esercitare pressioni su un leader straniero per tornaconto personale, allora anche Biden dovrebbe essere coinvolto in quest'accusa, visto il suo ruolo nel siluramento di Shokin quando era vicepresidente. I difensori di Biden replicano che Shokin fosse una figura controversa e che molti ne chiedessero la destituzione. Ciò tuttavia non toglie che, nel momento in cui era procuratore generale, stesse indagando – come abbiamo visto – su una società in cui Hunter Biden ricopriva un incarico apicale. Che poi l'ex vicepresidente dica oggi di non aver mai interferito nella politica ucraina per scopi personali, non lo rende esente da eventuali indagini. Anche Trump, nel corso dell'inchiesta Russiagate, respingeva l'accusa di collusione con i russi: eppure l'indagine di Mueller si è svolta lo stesso.Insomma, non è escluso che, nei prossimi mesi, la questione ucraina possa rivelarsi un grattacapo politico soprattutto per Biden. Non sarà del resto un caso che, pur criticando Trump su questa vicenda, gli altri candidati alle primarie democratiche non abbiano apertamente preso le difese dell'ex vicepresidente. Un ex vicepresidente che – ricordiamolo – risulta da tempo inviso a buona parte dell'elettorato di sinistra. Per questa ragione, l'obiettivo di Trump è far deflagrare la questione nel pieno della campagna elettorale, sperando che possa avere delle ripercussioni negative per l'attuale front runner democratico. Una volta sopitosi (almeno in parte) il ciclone mediatico sul presidente, è infatti possibile che l'attenzione si concentri maggiormente su Biden. Anche perché, quello ucraino non è l'unico potenziale conflitto di interessi che aleggia sul capo dell'ex vicepresidente. E, in tutto questo, non bisogna dimenticare il ruolo decisivo che proprio l'accusa di conflitto di interessi giocò a sfavore della corsa elettorale di Hillary Clinton alle presidenziali del 2016. In tal senso, non è affatto escludibile che già nel prossimo dibattito televisivo tra i candidati democratici (che si terrà a metà ottobre) alcuni rivali possano iniziare a chiedere conto della faccenda all'ex senatore del Delaware.Certo: è vero che – come accennato – si ricomincia a parlare di impeachment. Tuttavia, per il momento, la maggior parte dei deputati democratici che lo chiedono sono gli stessi che lo invocavano fino all'altro ieri per il caso Russiagate. Gli stessi che la Speaker della Camera, Nancy Pelosi, sta continuando a cercare di tenere a bada, data la convinzione che un processo di messa in stato d'accusa possa rivelarsi un boomerang per l'Asinello. Non solo infatti i numeri parlamentari per arrivare a un verdetto di colpevolezza non ci sono (il Senato è in mano ai repubblicani). Ma, più in generale, la Pelosi teme che un impeachment potrebbe far guadagnare popolarità a Trump (come accadde a Bill Clinton nel 1999).Infine, fermo restando che l'impeachment attenga al potere legislativo e non a quello giudiziario, siamo veramente sicuri che la famosa telefonata di Trump a Zelensky – per quanto controversa – presenti degli oggettivi risvolti penali? Cerchiamo di entrare nel dettaglio. Un'accusa che oggi viene mossa al presidente americano è quella di "corruzione". Tuttavia, anche se Trump avesse offerto esplicitamente duecentocinquanta milioni di dollari in aiuti militari all'Ucraina in cambio di un'indagine sul figlio di Biden, ciò non si adatterebbe a quanto prescrive lo statuto federale sulla corruzione, che proibisce ai funzionari pubblici di prendere o sollecitare tangenti. In questo caso, Trump avrebbe "corrotto" gli ucraini, che non sono tuttavia definibili come "funzionari pubblici". Discorso analogo vale per l'accusa di "estorsione": secondo il codice, l'estorsione è definita come "l'estrazione di qualsiasi cosa di valore da un'altra persona minacciando o mettendo quella persona nel timore di lesioni a qualsiasi persona o rapimento di qualsiasi persona." Come è evidente, è abbastanza difficile che una corte federale possa applicare una simile fattispecie a un intero Stato (l'Ucraina). Da tutto questo si evince come Trump – una volta lasciata la Casa Bianca – risulterebbe ben difficilmente incriminabile per questa vicenda.Insomma, solo un impeachment potrebbe teoricamente agire contro Trump sulla faccenda. Il punto è che – al di là dei problemi di cui si diceva prima – il rischio per i democratici è quello di sprofondare nell'imbarazzo. Perché se è abuso di potere quello di Trump, allora lo è stato anche quello di Biden.In tutto questo, Trump ha appena annunciato di aver autorizzato la pubblicazione della trascrizione della telefonata avuta a luglio con Zelensky. Pubblicazione che dovrebbe aver luogo nella giornata di domani.
Giorgio Locatelli, Antonino Cannavacciuolo e Bruno Barbieri al photocall di MasterChef (Ansa)
Sono i fornelli sempre accesi, le prove sempre uguali, è l'alternarsi di casi umani e talenti ai Casting, l'ansia palpabile di chi, davanti alla triade stellata, non riesce più a proferire parola.
Sono le Mistery Box, i Pressure Test, la Caporetto di Iginio Massari, con i suoi tecnicismi di pasticceria. Sono, ancora, i grembiuli sporchi, le urla, le esterne e i livori fra brigate, la prosopopea di chi crede di meritare la vittoria a rendere MasterChef un appuntamento imperdibile. Tradizionale, per il modo silenzioso che ha di insinuarsi tra l'Immacolata e il Natale, addobbando i salotti come dovrebbe fare l'albero.
MasterChef è fra i pochissimi programmi televisivi cui il tempo non ha tolto, ma dato forza. E il merito, più che dei giudici, bravissimi - loro pure - a rendere vivo lo spettacolo, è della compagine autoriale. Gli autori sono il vanto dello show, perfetti nel bilanciare fra loro gli elementi della narrazione televisiva, come comanderebbe l'algoritmo di Boris. La retorica, che pur c'è, con l'attenzione alla sostenibilità e alla rappresentazione di tutte le minoranze, non ha fagocitato l'impianto scenico. L'imperativo di portare a casa la doggy bag sfuma, perché a prevalere è l'esito delle prove. Il battagliarsi di concorrenti scelti con precisione magistrale e perfetto cerchiobottismo. Ci sono, gli antipatici, quelli messi lì perché devono, perché il politicamente corretto lo impone. Ma, tutto sommato, si perdono, perché accanto hanno chi merita e chi, invece, riesce con la propria goffaggine a strappare una risata sincera. E, intanto, le puntate vanno, queste chiedendo più attenzione alla tradizione, indispensabile per una solida innovazione. Vanno, e poco importa somiglino alle passate. Sono nuovi i concorrenti, nuove le loro alleanze. Pare sempre sincero il divertimento di chi è chiamato a giudicarle, come sincero è il piacere di vedere altri affannarsi in un gesto che, per ciascuno di noi, è vitale e quotidiano, quello del cucinare.
Bene, male, pazienza. L'importante, come ci ha insegnato MasterChef, è farlo con amore e rispetto. E, pure, con un pizzico di arroganza in più, quella dovuta al fatto che la consuetudine televisiva ci abbia reso più istruiti, più pronti, più giudici anche noi del piatto altrui.
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Ecco #DimmiLaVerità del 12 dicembre 2025. Il nostro Alessandro Da Rold ci rivela gli ultimi sviluppi dell'inchiesta sull'urbanistica di Milano e i papabili per il dopo Sala.