
Cancelliera in visita alla Casa Bianca, più debole e scavalcata dall'ex alleato francese Emmanuel Macron. Su Russia, Ue, Siria e Cina, Washington userà Parigi contro lo strapotere di Berlino.A Washington, alla Casa Bianca, insomma da Donald Trump, Angela Merkel rischia di arrivare seconda in ogni senso rispetto a Emmanuel Macron. Non solo seconda in ordine di tempo, visto che, mentre lei bussa alla porta, la visita di Stato del presidente francese si è appena conclusa. Ma soprattutto seconda nel rilievo pubblico, nell'importanza anche simbolica dei due eventi: in confronto alla trionfale accoglienza riservata all'inquilino dell'Eliseo (baci e abbracci virili, discorso al Congresso riunito, ovazioni bipartisan), l'agenda preparata da Trump per la Cancelliera tedesca rischia di apparire come uno striminzito e ultraessenziale appuntamento di lavoro.Quando c'è di mezzo un uomo di comunicazione come il presidente Usa, questi aspetti non possono essere considerati dettagli: se nella stessa settimana organizzi prima un megashow e poi un asciutto meeting operativo, è evidente che vuoi dare un messaggio. E il messaggio, doloroso per la Germania, è che Washington ha già scelto la Francia. Gli osservatori vicini alla Merkel, in queste ore, cercano in ogni modo di attenuare la sensazione di essere stati scavalcati, e quindi insistono sui dissensi evidenziati da Macron nel suo discorso al Congresso rispetto alla politica di Trump. E effettivamente i nodi restano: Macron è - diversamente da Trump - un paladino della campagna contro il riscaldamento globale; ha insistito in modo netto sul multilateralismo in contrapposizione alla dottrina trumpiana di America first; ha tenuto a marcare le differenze di veduta con Trump sul commercio globale; ha offerto una visione non totalmente sovrapponibile a quella dell'amministrazione Usa anche sull'Iran, almeno a prima vista. Ma, pur senza sottovalutare nessuno di quei dossier (su cui a chi scrive sembra peraltro che Trump abbia quasi sempre una posizione preferibile), si tratta comunque di aspetti meno rilevanti del messaggio politico di fondo che Trump e Macron hanno tenuto a dare: quello di un'amicizia profonda, di un dialogo robusto, di un filo diretto destinato a passare sopra la testa di tutte le altre capitali.Da questo punto di vista, Berlino farebbe bene a rimettere in fila tutte le battute polemiche che in questi mesi Trump ha riservato alla Germania e alla Cancelliera: dissenso sulla gestione tedesca (effettivamente controproducente) dell'emergenza immigrazione, irritazione per il surplus commerciale di Berlino, esplicita critica al livello troppo basso di contributo tedesco alle spese della Nato. A Washington, poi, non piace affatto il posizionamento strategico tedesco su quattro dossier.Il primo tema è la grande questione dell'Ue. Dal secondo dopoguerra in poi, gli Stati Uniti hanno incoraggiato il progetto europeo: ma avendo in mente una progressiva europeizzazione della Germania, non certo una germanizzazione dell'Europa.Il secondo è il tema della Siria, che in realtà rimanda all'Iran, a Teheran, vero sponsor di Damasco. Non è sfuggito a nessuno il disimpegno di Berlino dall'azione militare atlantica, pur mirata e simbolica, di dieci giorni fa. Al fianco di Washington c'erano Parigi (con Macron lestissimo a conquistare la prima fila) e Londra, mentre la Germania si è chiamata fuori.Il terzo dossier è quello energetico, che - tradotto in termini più chiari - vuol dire Russia. La scelta tedesca del gasdotto Nord Stream 2 dà una volta di più la sensazione di un posizionamento tedesco ambiguo, non indefettibilmente occidentale, ma in ultima analisi furbescamente «terzo», trattativista rispetto alla Russia.Il quarto e ultimo è quello su cui Trump sta investendo di più: la disputa commerciale con la Cina. Almeno su questo, non foss'altro che come grande esportatrice di prodotti ad alta tecnologia, la Germania avrebbe tutto l'interesse a collaborare con Trump, a giocare di sponda con lui. Ed è immaginabile che i due discuteranno soprattutto di questo. Ma il mese prossimo la Merkel sarà a Pechino. Da qui ad allora capiremo molte cose, e in particolare «chi sta e chi starà con chi» nella trade war globale che si è aperta.
Lars Klingbeil (Ansa)
Il cancelliere ha annunciato un autunno di riforme «lacrime e sangue». In bilico il «Reddito di cittadinanza» per i disoccupati. Ma la Corte dei conti federale boccia la manovra perché non riesce a contenere il debito.
L'ex amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel (Imagoeconomica)
Dopo 17 anni alla guida di Mediobanca arrivano le dimissioni dell’amministratore delegato. L’uscita segue l’opas di Mps. Nella lettera ai dipendenti cita Orazio e rivendica i risultati raggiunti. Poco prima delle dimissioni ha venduto azioni per oltre 21 milioni.
La casa distrutta a Lublino (Ansa)
La casa distrutta nell’area di Lublino è stata colpita dal missile sparato da un F-16, non dai velivoli di Vladimir Putin. Salta la pista russa pure per l’omicidio di Andriy Parubiy: l’ha ucciso un ucraino furioso per la morte del figlio al fronte.
Giorgia Meloni ad Ancona per la campagna di Acquaroli (Ansa)
Il premier dalla campagna elettorale di Acquaroli ad Ancona: «Elly Schlein mi chiede di fare nomi e cognomi di chi mi odia? Ci stiamo una giornata».
«Nessuno in Italia è oggetto di un discorso di odio come la sottoscritta e difficilmente mi posso odiare da sola. L'ultimo è un consigliere comunale di Genova, credo del Pd, che ha detto alla capogruppo di Fdi «Vi abbiamo appeso a testa in giù già una volta». «Calmiamoci, riportiamo il dibattito dove deve stare». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Francesco Acquaroli ad Ancona. «C'é un business dell'odio» ha affermato Giorgia Meloni. «Riportiamo il dibattito dove deve stare. Per alcuni è difficile, perché non sanno che dire». «Alcuni lo fanno per strategia politica perché sono senza argomenti, altri per tornaconto personale perché c'e' un business dell'odio. Le lezioni di morale da questi qua non me le faccio fare».
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