2019-08-24
Trump si scaglia sulla Fed: «Nemica più di Xi»
Jerome Powell sfida il presidente: non dà indicazioni sul taglio dei tassi, come richiesto dalla Casa Bianca. Elenca le turbolenze internazionali, i rallentamenti di Germania e Cina e anche la crisi di governo italiana. The Donald furioso: «Non ha fatto nulla».Donald Trump va alla guerra: con la Cina e - soprattutto - con la Fed. Ieri, parlando a Jackson Hole, Jerome Powell ha dichiarato: «La Fed agirà in modo appropriato per sostenere l'espansione economica». Un'affermazione molto (forse troppo) generica che il presidente della banca centrale americana ha spesso ripetuto negli ultimi tempi. Senza tuttavia dar seguito ad atti troppo concreti.Secondo Powell, l'economia statunitense godrebbe in generale di buona salute e sarebbe ormai vicina a conseguire il duplice obiettivo della piena occupazione e della stabilità dei prezzi. «L'economia americana ha continuato a funzionare bene nel complesso», ha affermato. «Gli investimenti e la produzione delle imprese si sono indeboliti, ma la solida crescita dell'occupazione e l'aumento dei salari hanno determinato consumi sostenuti e una crescita generale moderata». Ciò nonostante i problemi da affrontare per la banca centrale non sono pochi anche se - ha scandito Powell - «non ci sono precedenti recenti che guidino una qualche risposta politica alla situazione attuale». Le turbolenze sul piano internazionale sono del resto molteplici. E, tra i rischi, il presidente della Fed ha citato anche la crisi di governo italiana. «Abbiamo rinvenuto ulteriori prove di un rallentamento globale, soprattutto in Germania e Cina. Eventi geopolitici hanno dominato le news, inclusa la possibilità di una hard Brexit, le crescenti tensioni a Hong Kong e la dissoluzione del governo italiano».Insomma, Powell non si è sbilanciato. Pur assicurando un generico sostegno all'espansione, non ha dato alcuna indicazione sulla effettiva possibilità di un taglio dei tassi. Un elemento che ha mandato su tutte le furie Trump, il quale è andato all'attacco su Twitter: «Come al solito, la Fed non ha fatto nulla! È incredibile che possano parlare senza conoscere o chiedere che cosa io stia facendo […] La mia sola domanda è: il nostro peggior nemico è Jay Powell o il presidente Xi?». Non è un mistero che il presidente americano chieda da tempo una politica monetaria espansiva, che indebolisca il dollaro, per favorire le esportazioni statunitensi. Una politica che Powell non sembra troppo intenzionato ad adottare. In questo senso, vanno del resto lette le ripetute critiche mosse alla Fed dall'inquilino della Casa Bianca nelle ultime settimane. Un comportamento che, secondo molti, tenderebbe indebitamente a minare l'indipendenza della banca centrale. Non è tuttavia la prima volta che un presidente in carica cerca di avere voce in capitolo sulle politiche della Fed. Nel giugno del 1992, per esempio, George H. W. Bush cercò di convincere l'allora presidente della banca, Alan Greenspan, a tagliare i tassi in un'intervista rilasciata al New York Times. Oppure si pensi alla relazione tutt'altro che idilliaca tra Lyndon Johnson e William McChesney Martin, quando quest'ultimo - nel 1965 - decise di alzare i tassi di interesse.Nonostante i principali indicatori economici siano al momento ampiamente positivi, Trump teme che nei prossimi mesi possa verificarsi una recessione: soprattutto dopo che, la settimana scorsa, ha avuto luogo l'inversione della curva dei rendimenti, un evento che non avveniva dal 2007. Senza richiamare alle memoria la catastrofe della Great recession, la Casa Bianca paventa in realtà una situazione simile alla recessione (molto più contenuta) che ebbe quasi silenziosamente luogo negli Stati Uniti a cavallo tra il 2015 e il 2016: una crisi che colpì solo determinati settori (soprattutto energia ed agricoltura) ma che rivestì comunque un peso determinante nel far perdere ai democratici le ultime elezioni presidenziali. E anche allora la Fed ci mise del suo. Trump non può ovviamente permettersi un rischio del genere in piena campagna elettorale. E, con ogni probabilità, il suo pensiero corre proprio a George H. W. Bush, che accusò la Fed di avergli boicottato la rielezione nel 1992 con la sua politica restrittiva. Proprio per mantenere alto il livello di crescita economica, pare del resto che il presidente potrebbe ricorrere alla riforma infrastrutturale da 2.000 miliardi di dollari, da lui annunciata ad aprile e finita (per ora) nel cassetto.D'altronde, al di là dei tassi, Trump non deve aver gradito troppo il fatto che Powell sembri aver puntato il dito contro le tensioni commerciali internazionali: quasi un'accusa velata alla linea protezionista anticinese della Casa Bianca. In questo senso, proprio ieri la Repubblica popolare ha annunciato di voler imporre ulteriori dazi su 75 miliardi di dollari di beni americani (tra cui soia, automobili e petrolio), come ritorsione alle tariffe annunciate da Trump contro Pechino. Una notizia che ha destato non poca preoccupazione a Wall Street. Trump, per tutta risposta, ha intimato alle aziende statunitensi di abbandonare la Cina e di trasferire la produzione in territorio americano. Insomma, il braccio di ferro tra il presidente americano e Powell non accenna a concludersi. Il tutto, alla luce del paradosso che sia stato proprio Trump a nominare l'attuale capo della Fed nel 2017. Un paradosso tuttavia solo apparente. Per due ragioni. In primo luogo, perché quella scelta fu il frutto di un compromesso con il Partito repubblicano (da sempre ostile alle politiche monetarie troppo espansive). In secondo luogo, più in generale, si assiste a un incremento del potere politico detenuto dalle banche centrali: un potere che sempre più spesso si trova direttamente a cozzare con quello dei governi nazionali, sulla base di una dinamica che va ben oltre i soli Stati Uniti d'America.
Giorgia Meloni al Forum della Guardia Costiera (Ansa)
«Il lavoro della Guardia Costiera consiste anche nel combattere le molteplici forme di illegalità in campo marittimo, a partire da quelle che si ramificano su base internazionale e si stanno caratterizzando come fenomeni globali. Uno di questi è il traffico di migranti, attività criminale tra le più redditizie al mondo che rapporti Onu certificano aver eguagliato per volume di affari il traffico di droga dopo aver superato il traffico di armi. Una intollerabile forma moderna di schiavitù che nel 2024 ha condotto alla morte oltre 9000 persone sulle rotte migratorie e il governo intende combattere. Di fronte a questo fenomeno possiamo rassegnarci o agire, e noi abbiamo scelto di agire e serve il coraggio di trovare insieme soluzioni innovative». Ha dichiarato la Presidente del Consiglio dei Ministri Giorgia Meloni durante l'intervento al Forum della Guardia Costiera 2025 al centro congresso la Nuvola a Roma.
Continua a leggereRiduci