
Gli avvocati dell’ex presidente, sempre più lanciato verso una candidatura bis, fanno ricorso in tribunale contro la perquisizione: «Incostituzionale». The Donald chiede anche che un «giudice terzo» valuti i dossier.Donald Trump ha deciso di non restare inerte di fronte al blitz dell’Fbi nella sua abitazione a Mar-a-Lago. L’ex presidente Usa, e probabile futuro frontrunner repubblicano per le elezioni del 2024, farà causa al governo del suo Paese per il raid avvenuto il 9 agosto scorso, in cui sono stati recuperati, da quel che risulta, oltre 300 documenti classificati. L’irruzione del Federal bureau viene definita dall’ex presidente «illegale e incostituzionale», per questo Trump ha ritenuto di affidare ai suoi legali il mandato di agire. «Stiamo assumendo le misure necessarie per avere indietro i documenti, che sarebbero stati consegnati senza lo spregevole raid. Non smetterò mai di battermi per gli americani», ha dichiarato, sottolineando che i suoi avvocati hanno già presentato un ricorso al tribunale della Florida «per far valere i miei valori in merito al non necessario blitz». Come si ricorderà, gli agenti della polizia federale avevano sequestrato, nella tenuta di Palm beach, diversi documenti sensibili e a Trump avevano contestato la «violazione dell’Espionage act», la legge sullo spionaggio, ma anche la «rimozione e distruzione di documenti ufficiali in violazione al Presidential record act». In base a quest’ultimo, gli inquilini della Casa Bianca devono consegnare, alla scadenza del mandato, tutti i documenti prodotti durante la loro presidenza. Non solo. All’ex capo della White house veniva addebitata anche l’«ostruzione di un’indagine», intendendo appunto l’attività volta a recuperare le carte. Per quanto riguarda i documenti contesi, Trump ne avrebbe conservati almeno 300 nella sua villa in Florida, secondo il New York Times. Circa 150 documenti classificati li aveva invece consegnati alla National archives and records administration a gennaio, altri erano stati portati dai suoi rappresentanti al dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti a giugno. Restavano da recuperare quelli oggetto del sequestro. Donald Trump non si trovava nella residenza di Mar-a-Lago all’arrivo dei federali, bensì alla Trump Tower di New York. Piccato per l’accaduto, l’ex inquilino della Casa Bianca aveva lanciato accuse circa «lo zampino» che l’attuale presidente Biden avrebbe messo nell’ «incursione». Ma Karine Jean-Pierre, portavoce della Casa Bianca nell’attuale amministrazione, si era affrettata a smentire l’ipotesi. «Il presidente Biden non è stato informato. Nessuno alla Casa Bianca sapeva. Il dipartimento di Giustizia è indipendente e conduce le sue indagini in modo autonomo«, aveva affermato. L’ex presidente invece continua tuttora a sostenere che il raid sia stato «dettato dalla politica». Il sospetto è stato formalizzato dai suoi legali nell’azione avviata per chiedere al Southern District della Florida la nomina di uno «special master», un giudice terzo, che esamini i documenti prelevati. Nel ricorso, gli avvocati dichiarano che «alla politica non può essere consentito di avere un impatto sulla giustizia». Poi passano a spiegare perché si debba ritenere che di azione politica si tratti. «Il presidente Trump è chiaramente il frontrunner per le primarie repubblicane per il 2024 e per le elezioni generali del 2024 nel caso in cui decidesse di candidarsi. Al di là di questo, i suoi endorsement nelle elezioni di metà mandato del 2022 sono stati decisivi per i candidati repubblicani». Ora resta da capire come controbatterà il dipartimento di Giustizia, che comunque ha già commentato la causa anticipando che «risponderà adeguatamente in tribunale» e che «il mandato di perquisizione a Mar-a-Lago era stato autorizzato da un tribunale federale». L’affidavit (la dichiarazione giurata nella quale si spiegano le ragioni della perquisizione) verrà reso pubblico domani. Il giudice Reinhart che ha autorizzato il blitz di inizio agosto ha in ogni caso stabilito che l’affidavit non debba essere diffuso integralmente, ma se ne dovranno pubblicare solo «alcune parti», quindi verrà riproposto con degli omissis. Gli avvocati di Trump, come si diceva, sono impegnati invece a portare avanti la mozione per la nomina di uno «special master», ossia un giudice super partes, non dipendente dal dipartimento di Giustizia (solitamente un avvocato o un giudice in pensione), che dovrà esaminare i documenti prelevati dall’Fbi. Tale figura imparziale deve valutare se, con l’autorizzazione del mandato di perquisizione, il dipartimento di Giustizia non abbia violato il cosiddetto «privilegio dell’esecutivo», cioè il diritto presidenziale a non divulgare determinati documenti dal contenuto ritenuto sensibile e, al contempo, se non siano stati violati i diritti costituzionali dell’ex presidente. Nella stessa mozione, viene richiesta un’ingiunzione per impedire qualsiasi revisione dei materiali sequestrati fino alla nomina del giudice terzo e un elenco «più dettagliato» degli oggetti sequestrati, nonché la restituzione di qualsiasi oggetto che «non rientrasse nell’ambito del mandato di perquisizione». Se il giudice Aileen Cannon - nominata dallo stesso Trump prima della scadenza del suo mandato - accetterà le richieste, il processo di revisione dei documenti si allungherà parecchio. In altri casi che riguardavano Trump erano già stati nominati «special master», come l’ex legale Michael Cohen.
Massimo Doris (Imagoeconomica)
Secondo la sinistra, Tajani sarebbe contrario alla tassa sulle banche perché Fininvest detiene il 30% del capitale della società. Ma Doris attacca: «Le critiche? Ridicole». Intanto l’utile netto cresce dell’8% nei primi nove mesi, si va verso un 2025 da record.
Nessun cortocircuito tra Forza Italia e Banca Mediolanum a proposito della tassa sugli extraprofitti. Massimo Doris, amministratore delegato del gruppo, coglie l’occasione dei conti al 30 settembre per fare chiarezza. «Le critiche sono ridicole», dice, parlando più ai mercati che alla politica. Seguendo l’esempio del padre Ennio si tiene lontano dal teatrino romano. Spiega: «L’anno scorso abbiamo pagato circa 740 milioni di dividendi complessivi, e Fininvest ha portato a casa quasi 240 milioni. Forza Italia terrebbe in piedi la polemica solo per evitare che la famiglia Berlusconi incassi qualche milione in meno? Ho qualche dubbio».
Giovanni Pitruzzella (Ansa)
Il giudice della Consulta Giovanni Pitruzzella: «Non c’è un popolo europeo: la politica democratica resta ancorata alla dimensione nazionale. L’Unione deve prendere sul serio i problemi urgenti, anche quando urtano il pensiero dominante».
Due anni fa il professor Giovanni Pitruzzella, già presidente dell’Autorià garante della concorrenza e del mercato e membro della Corte di giustizia dell’Unione europea, è stato designato giudice della Corte costituzionale dal presidente della Repubblica. Ha accettato questo lungo colloquio con La Verità a margine di una lezione tenuta al convegno annuale dell’Associazione italiana dei costituzionalisti, dal titolo «Il problema della democrazia europea».
Ansa
Maurizio Marrone, assessore alla casa della Regione Piemonte in quota Fdi, ricorda che esiste una legge a tutela degli italiani nei bandi. Ma Avs la vuole disapplicare.
In Italia non è possibile dare più case agli italiani. Non appena qualcuno prova a farlo, subito si scatena una opposizione feroce, politici, avvocati, attivisti e media si mobilitano gridando alla discriminazione. Decisamente emblematico quello che sta avvenendo in Piemonte in queste ore. Una donna algerina sposata con un italiano si è vista negare una casa popolare perché non ha un lavoro regolare. Supportata dall’Asgi, associazione di avvocati di area sorosiana sempre in prima fila nelle battaglie pro immigrazione, la donna si è rivolta al tribunale di Torino che la ha dato ragione disapplicando la legge e ridandole la casa. Ora la palla passa alla Corte costituzionale, che dovrà decidere sulla legittimità delle norme abitative piemontesi.
Henry Winkler (Getty Images)
In onda dal 9 novembre su History Channel, la serie condotta da Henry Winkler riscopre con ironia le stranezze e gli errori del passato: giochi pericolosi, pubblicità assurde e invenzioni folli che mostrano quanto poco, in fondo, l’uomo sia cambiato.
Il tono è lontano da quello accademico che, di norma, definisce il documentario. Non perché manchi una parte di divulgazione o il tentativo di informare chi stia seduto a guardare, ma perché Una storia pericolosa (in onda dalle 21.30 di domenica 9 novembre su History Channel, ai canali 118 e 409 di Sky) riesce a trovare una sua leggerezza: un'ironia sottile, che permetta di guardare al passato senza eccessivo spirito critico, solo con lo sguardo e il disincanto di chi, oggi, abbia consapevolezze che all'epoca non potevano esistere.






