2025-02-07
Trump lancia la sfida anche al G20: Usa assenti al summit in Sudafrica
Il segretario di Stato Usa Marco Rubio (Ansa)
Rubio non andrà a Johannesburg: alla base della scelta, la legge di Pretoria che espropria terre senza indennizzi e la vicinanza del Paese a Cina e Russia. Ma a pesare è anche l’inutilità del forum internazionale.Un’ex funzionaria dell’agenzia Usaid: «Sprechi e frodi». La Bbc protesta per lo stop alle donazioni e il magnate replica: «Folle che gli americani finanzino la rete Uk».Lo speciale contiene due articoli.L’amministrazione Trump si sfila dal G20. Il segretario di Stato americano, Marco Rubio, ha reso noto che non prenderà parte al summit dei ministri degli Esteri previsto per il 20 e il 21 febbraio in Sudafrica. «Non parteciperò al summit del G20 a Johannesburg. Il Sudafrica sta facendo cose molto brutte: sta espropriando proprietà private, sta usando il G20 per promuovere “solidarietà, uguaglianza e sostenibilità”. In altre parole: sta promuovendo politiche di diversità e inclusione e cambiamento climatico», ha dichiarato Rubio su X, per poi aggiungere: «Il mio lavoro è promuovere gli interessi nazionali dell’America, non sprecare soldi dei contribuenti o coccolare l’antiamericanismo».Ora, le motivazioni alla base di questa mossa sono molteplici. La prima, la più immediata, l’ha citata lo stesso Rubio. A fine gennaio, il presidente sudafricano, Cyril Ramaphosa, ha firmato una legge piuttosto controversa, che consente di espropriare terreni senza indennizzo in determinate circostanze: vale a dire quando ciò sia ritenuto «giusto, equo e nell’interesse pubblico». In particolare, chi è a favore della norma tende a citare il fatto che, in Sudafrica, la maggior parte dei terreni è attualmente in mano a cittadini bianchi: ebbene, secondo Reuters, la legge avrebbe come obiettivo anche quello di modificare questa situazione. Dall’altra parte, i critici affermano che la norma risulterebbe incostituzionale e ad opporsi a essa è anche un pezzo dello stesso esecutivo sudafricano. Contrario è infatti lo schieramento liberale Alleanza democratica, che, su questo punto, è arrivato ai ferri corti con la formazione socialdemocratica dello stesso Ramaphosa, il Congresso nazionale africano (ricordiamo che questi due partiti governano nella medesima coalizione dall’anno scorso).Nel dibattito è entrato anche Donald Trump, che, domenica, aveva accusato il Sudafrica di «confiscare terre e di trattare molto male certe categorie di persone». L’inquilino della Casa Bianca aveva anche minacciato di tagliare l’assistenza statunitense al Paese, fin quando non fosse stata effettuata un’indagine sulla legge in questione. Una posizione, quella di Trump, che ha irritato il presidente sudafricano. «Il Sudafrica è una democrazia costituzionale profondamente radicata nello stato di diritto, nella giustizia e nell’uguaglianza. Il governo sudafricano non ha confiscato alcuna terra», ha dichiarato Ramaphosa, che ha poi avuto un colloquio telefonico con Elon Musk: magnate sudafricano che è attualmente a capo del Dipartimento per l’efficienza governativa statunitense. Dall’altra parte, il presidente americano ha fatto della battaglia contro l’«identity politics» e le politiche ultra-progressiste, volte a promuovere diversità e inclusione, un proprio cavallo di battaglia. È anche questa una delle ragioni che Trump ha addotto, nel suo tentativo di smantellare l’Usaid.Tuttavia, il no di Rubio al G20 poggia anche su considerazioni di natura maggiormente strutturale. Non a caso, il segretario di Stato, nel suo post, ha citato l’antiamericanismo. La polemica con il Sudafrica va infatti inserita nel quadro delle crescenti tensioni che intercorrono tra l’amministrazione Trump e i Brics (di cui il Sudafrica è notoriamente parte integrante). A fine gennaio, il presidente americano aveva minacciato di imporre pesanti dazi al blocco, qualora quest’ultimo avesse proseguito nei suoi intenti di de-dollarizzazione. «Chiederemo a questi Paesi apparentemente ostili di impegnarsi a non creare una nuova valuta Brics, né a sostenere un’altra valuta per sostituire il potente dollaro statunitense, altrimenti dovranno affrontare tariffe del 100%», aveva tuonato. È quindi chiaro che Trump non vede assolutamente di buon occhio i legami sempre più stretti di Pretoria con Pechino e Mosca. Non è probabilmente un caso che, poco dopo il post di Rubio, la Cina abbia espresso sostegno alla presidenza sudafricana del prossimo G20.Tra l’altro, vale anche la pena di ricordare che i rapporti tra Stati Uniti e Sudafrica si erano guastati già ai tempi dell’amministrazione Biden: nel maggio 2023, l’allora ambasciatore statunitense, Reuben Brigety, accusò il governo di Pretoria di fornire armamenti alla Russia nell’ambito della sua invasione dell’Ucraina. Senza poi dimenticare che, a dicembre di quell’anno, Pretoria ha accusato Israele di genocidio a Gaza davanti alla Corte internazionale di Giustizia: si tratta di una mossa evidentemente non apprezzata da Trump, che, come confermato martedì dal suo consigliere per la sicurezza nazionale Mike Waltz, sta cercando di rilanciare gli Accordi di Abramo.Infine, ma non meno importante, è possibile che l’amministrazione Trump non sia interessata al formato G20 in quanto tale. Istituito per la prima volta nel 1999, questo forum viene tenuto ogni anno a partire dal 2008. Il punto è che, visto l’alto numero di partecipanti che coinvolge, sempre più raramente sembra riuscire ad adottare misure e linee davvero incisive. A questo aggiungiamoci la storica diffidenza che Trump nutre nei confronti del multilateralismo: non è infatti un mistero che l’attuale presidente americano prediliga l’approccio bilaterale, senza rinunciare alla strategia della coercizione. È infatti a seguito delle pressioni di Rubio e dello stesso Trump, che Panama ha reso noto di voler abbandonare la Belt and Road Initiative: una circostanza che ha irritato non poco Pechino.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/trump-g20-sudafrica-2671111459.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="tagli-usaid-sberla-di-musk-alla-bbc" data-post-id="2671111459" data-published-at="1738878658" data-use-pagination="False"> Tagli Usaid, sberla di Musk alla Bbc «Non c’era tracciabilità né responsabilità ed era davvero difficile per noi svolgere il nostro lavoro». A esprimersi in questi termini riguardo a Usaid non è il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, e nemmeno Elon Musk, ma un’ex dipendente dell’agenzia americana. Catharine O'Neill Gillihan, come riporta Fox Business, ha lavorato al dipartimento di Stato e poi come funzionario da Usaid durante la prima amministrazione Trump. Ha confermato episodi di sprechi di cui «la lista potrebbe continuare all’infinito», raccontando al giornalista Stuart Varney: «Ho letto di recente che stavamo finanziando un programma “Sesame street” in Perù», concludendo: «Voglio dire, questi programmi sono afiniti fuori controllo». Usaid, fondata nel 1961 dal presidente Kennedy ufficialmente con lo scopo di fornire aiuti umanitari per lo sviluppo internazionale, è entrata nel mirino di Trump. La linea dell’amministrazione americana è infatti che si tratti di un carrozzone da chiudere, pieno di sprechi e con iniziative poco trasparenti, con il tycoon che sostiene che sia stata guidata «da lunatici radicali». L’agenzia è già stata commissariata e al personale è stato comunicato mercoledì che da oggi saranno messi in congedo in tutto il mondo. La misura riguarderà «tutto il personale assunto direttamente da Usaid a eccezione del personale responsabile di funzioni cruciali per la missione, posti dirigenziali e programmi appositamente designati». Nel frattempo, tra accuse e smentite su possibili finanziamenti dell’agenzia a media esteri, la Bbc media action, ente di beneficenza internazionale della Bbc, ha rilasciato un comunicato che ha sollevato scalpore. «Come molte organizzazioni internazionali per lo sviluppo, Bbc media action è stata colpita dalla sospensione temporanea dei finanziamenti del governo statunitense, che ammontano a circa l’8% delle nostre entrate nel 2023-24», si legge nel comunicato. E anche se Bbc media action ha specificato che «in quanto ente di beneficenza internazionale della Bbc, siamo completamente separati da Bbc news», è anche vero che nella pagina web ufficiale, si fa presente: «Applichiamo gli standard editoriali della Bbc, ci basiamo sui suoi valori e spesso lavoriamo a stretto contatto con il Bbc world service e altri dipartimenti della Bbc». Il comunicato è stato subito ripreso da Musk, che su X ha commentato: «Perché i soldi dei contribuenti americani dovrebbero finanziare la British Broadcasting Corporation? È folle». E nei canali social ieri è circolata anche la voce che le visite in Ucraina di alcuni divi di Hollywood, tra cui Ben Stiller, Sean Penn, Ben Stiller, Orlando Bloom, fossero state finanziate da Usaid per aumentare la popolarità del presidente ucraino Volodymyr Zelensky negli Usa. La notizia è stata però smentita e sarebbe opera di canali filorussi. Invece, al di fuori dei confini americani, tra le fila di chi sostiene la nuova posizione americana c’è il primo ministro ungherese Viktor Orbán, che su X ha dichiarato: «Sono d’accordo con il presidente Donald Trump. È una questione troppo grande e troppo sporca per nascondersi». Il premier, celebrando lo smantellamento di Usaid, ha spiegato: «Il coniglio è uscito dal cappello! Abbiamo dovuto sopportare per anni che gli ultra progressisti, autoproclamati campioni dei diritti umani dei media mainstream demonizzassero le forze politiche patriottiche per anni», aggiungendo che «lo hanno fatto perché erano pagati per farlo da Usaid e dalla precedente amministrazione statunitense di sinistra».