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2025-02-07
Trump lancia la sfida anche al G20: Usa assenti al summit in Sudafrica
Il segretario di Stato Usa Marco Rubio (Ansa)
L’amministrazione Trump si sfila dal G20. Il segretario di Stato americano, Marco Rubio, ha reso noto che non prenderà parte al summit dei ministri degli Esteri previsto per il 20 e il 21 febbraio in Sudafrica. «Non parteciperò al summit del G20 a Johannesburg. Il Sudafrica sta facendo cose molto brutte: sta espropriando proprietà private, sta usando il G20 per promuovere “solidarietà, uguaglianza e sostenibilità”. In altre parole: sta promuovendo politiche di diversità e inclusione e cambiamento climatico», ha dichiarato Rubio su X, per poi aggiungere: «Il mio lavoro è promuovere gli interessi nazionali dell’America, non sprecare soldi dei contribuenti o coccolare l’antiamericanismo».
Ora, le motivazioni alla base di questa mossa sono molteplici. La prima, la più immediata, l’ha citata lo stesso Rubio. A fine gennaio, il presidente sudafricano, Cyril Ramaphosa, ha firmato una legge piuttosto controversa, che consente di espropriare terreni senza indennizzo in determinate circostanze: vale a dire quando ciò sia ritenuto «giusto, equo e nell’interesse pubblico». In particolare, chi è a favore della norma tende a citare il fatto che, in Sudafrica, la maggior parte dei terreni è attualmente in mano a cittadini bianchi: ebbene, secondo Reuters, la legge avrebbe come obiettivo anche quello di modificare questa situazione. Dall’altra parte, i critici affermano che la norma risulterebbe incostituzionale e ad opporsi a essa è anche un pezzo dello stesso esecutivo sudafricano. Contrario è infatti lo schieramento liberale Alleanza democratica, che, su questo punto, è arrivato ai ferri corti con la formazione socialdemocratica dello stesso Ramaphosa, il Congresso nazionale africano (ricordiamo che questi due partiti governano nella medesima coalizione dall’anno scorso).
Nel dibattito è entrato anche Donald Trump, che, domenica, aveva accusato il Sudafrica di «confiscare terre e di trattare molto male certe categorie di persone». L’inquilino della Casa Bianca aveva anche minacciato di tagliare l’assistenza statunitense al Paese, fin quando non fosse stata effettuata un’indagine sulla legge in questione. Una posizione, quella di Trump, che ha irritato il presidente sudafricano. «Il Sudafrica è una democrazia costituzionale profondamente radicata nello stato di diritto, nella giustizia e nell’uguaglianza. Il governo sudafricano non ha confiscato alcuna terra», ha dichiarato Ramaphosa, che ha poi avuto un colloquio telefonico con Elon Musk: magnate sudafricano che è attualmente a capo del Dipartimento per l’efficienza governativa statunitense. Dall’altra parte, il presidente americano ha fatto della battaglia contro l’«identity politics» e le politiche ultra-progressiste, volte a promuovere diversità e inclusione, un proprio cavallo di battaglia. È anche questa una delle ragioni che Trump ha addotto, nel suo tentativo di smantellare l’Usaid.
Tuttavia, il no di Rubio al G20 poggia anche su considerazioni di natura maggiormente strutturale. Non a caso, il segretario di Stato, nel suo post, ha citato l’antiamericanismo. La polemica con il Sudafrica va infatti inserita nel quadro delle crescenti tensioni che intercorrono tra l’amministrazione Trump e i Brics (di cui il Sudafrica è notoriamente parte integrante). A fine gennaio, il presidente americano aveva minacciato di imporre pesanti dazi al blocco, qualora quest’ultimo avesse proseguito nei suoi intenti di de-dollarizzazione. «Chiederemo a questi Paesi apparentemente ostili di impegnarsi a non creare una nuova valuta Brics, né a sostenere un’altra valuta per sostituire il potente dollaro statunitense, altrimenti dovranno affrontare tariffe del 100%», aveva tuonato. È quindi chiaro che Trump non vede assolutamente di buon occhio i legami sempre più stretti di Pretoria con Pechino e Mosca. Non è probabilmente un caso che, poco dopo il post di Rubio, la Cina abbia espresso sostegno alla presidenza sudafricana del prossimo G20.
Tra l’altro, vale anche la pena di ricordare che i rapporti tra Stati Uniti e Sudafrica si erano guastati già ai tempi dell’amministrazione Biden: nel maggio 2023, l’allora ambasciatore statunitense, Reuben Brigety, accusò il governo di Pretoria di fornire armamenti alla Russia nell’ambito della sua invasione dell’Ucraina. Senza poi dimenticare che, a dicembre di quell’anno, Pretoria ha accusato Israele di genocidio a Gaza davanti alla Corte internazionale di Giustizia: si tratta di una mossa evidentemente non apprezzata da Trump, che, come confermato martedì dal suo consigliere per la sicurezza nazionale Mike Waltz, sta cercando di rilanciare gli Accordi di Abramo.
Infine, ma non meno importante, è possibile che l’amministrazione Trump non sia interessata al formato G20 in quanto tale. Istituito per la prima volta nel 1999, questo forum viene tenuto ogni anno a partire dal 2008. Il punto è che, visto l’alto numero di partecipanti che coinvolge, sempre più raramente sembra riuscire ad adottare misure e linee davvero incisive. A questo aggiungiamoci la storica diffidenza che Trump nutre nei confronti del multilateralismo: non è infatti un mistero che l’attuale presidente americano prediliga l’approccio bilaterale, senza rinunciare alla strategia della coercizione. È infatti a seguito delle pressioni di Rubio e dello stesso Trump, che Panama ha reso noto di voler abbandonare la Belt and Road Initiative: una circostanza che ha irritato non poco Pechino.
Tagli Usaid, sberla di Musk alla Bbc
«Non c’era tracciabilità né responsabilità ed era davvero difficile per noi svolgere il nostro lavoro». A esprimersi in questi termini riguardo a Usaid non è il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, e nemmeno Elon Musk, ma un’ex dipendente dell’agenzia americana.
Catharine O'Neill Gillihan, come riporta Fox Business, ha lavorato al dipartimento di Stato e poi come funzionario da Usaid durante la prima amministrazione Trump. Ha confermato episodi di sprechi di cui «la lista potrebbe continuare all’infinito», raccontando al giornalista Stuart Varney: «Ho letto di recente che stavamo finanziando un programma “Sesame street” in Perù», concludendo: «Voglio dire, questi programmi sono afiniti fuori controllo».
Usaid, fondata nel 1961 dal presidente Kennedy ufficialmente con lo scopo di fornire aiuti umanitari per lo sviluppo internazionale, è entrata nel mirino di Trump. La linea dell’amministrazione americana è infatti che si tratti di un carrozzone da chiudere, pieno di sprechi e con iniziative poco trasparenti, con il tycoon che sostiene che sia stata guidata «da lunatici radicali».
L’agenzia è già stata commissariata e al personale è stato comunicato mercoledì che da oggi saranno messi in congedo in tutto il mondo. La misura riguarderà «tutto il personale assunto direttamente da Usaid a eccezione del personale responsabile di funzioni cruciali per la missione, posti dirigenziali e programmi appositamente designati».
Nel frattempo, tra accuse e smentite su possibili finanziamenti dell’agenzia a media esteri, la Bbc media action, ente di beneficenza internazionale della Bbc, ha rilasciato un comunicato che ha sollevato scalpore. «Come molte organizzazioni internazionali per lo sviluppo, Bbc media action è stata colpita dalla sospensione temporanea dei finanziamenti del governo statunitense, che ammontano a circa l’8% delle nostre entrate nel 2023-24», si legge nel comunicato. E anche se Bbc media action ha specificato che «in quanto ente di beneficenza internazionale della Bbc, siamo completamente separati da Bbc news», è anche vero che nella pagina web ufficiale, si fa presente: «Applichiamo gli standard editoriali della Bbc, ci basiamo sui suoi valori e spesso lavoriamo a stretto contatto con il Bbc world service e altri dipartimenti della Bbc». Il comunicato è stato subito ripreso da Musk, che su X ha commentato: «Perché i soldi dei contribuenti americani dovrebbero finanziare la British Broadcasting Corporation? È folle».
E nei canali social ieri è circolata anche la voce che le visite in Ucraina di alcuni divi di Hollywood, tra cui Ben Stiller, Sean Penn, Ben Stiller, Orlando Bloom, fossero state finanziate da Usaid per aumentare la popolarità del presidente ucraino Volodymyr Zelensky negli Usa. La notizia è stata però smentita e sarebbe opera di canali filorussi.
Invece, al di fuori dei confini americani, tra le fila di chi sostiene la nuova posizione americana c’è il primo ministro ungherese Viktor Orbán, che su X ha dichiarato: «Sono d’accordo con il presidente Donald Trump. È una questione troppo grande e troppo sporca per nascondersi».
Il premier, celebrando lo smantellamento di Usaid, ha spiegato: «Il coniglio è uscito dal cappello! Abbiamo dovuto sopportare per anni che gli ultra progressisti, autoproclamati campioni dei diritti umani dei media mainstream demonizzassero le forze politiche patriottiche per anni», aggiungendo che «lo hanno fatto perché erano pagati per farlo da Usaid e dalla precedente amministrazione statunitense di sinistra».
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Rubio non andrà a Johannesburg: alla base della scelta, la legge di Pretoria che espropria terre senza indennizzi e la vicinanza del Paese a Cina e Russia. Ma a pesare è anche l’inutilità del forum internazionale.Un’ex funzionaria dell’agenzia Usaid: «Sprechi e frodi». La Bbc protesta per lo stop alle donazioni e il magnate replica: «Folle che gli americani finanzino la rete Uk».Lo speciale contiene due articoli.L’amministrazione Trump si sfila dal G20. Il segretario di Stato americano, Marco Rubio, ha reso noto che non prenderà parte al summit dei ministri degli Esteri previsto per il 20 e il 21 febbraio in Sudafrica. «Non parteciperò al summit del G20 a Johannesburg. Il Sudafrica sta facendo cose molto brutte: sta espropriando proprietà private, sta usando il G20 per promuovere “solidarietà, uguaglianza e sostenibilità”. In altre parole: sta promuovendo politiche di diversità e inclusione e cambiamento climatico», ha dichiarato Rubio su X, per poi aggiungere: «Il mio lavoro è promuovere gli interessi nazionali dell’America, non sprecare soldi dei contribuenti o coccolare l’antiamericanismo».Ora, le motivazioni alla base di questa mossa sono molteplici. La prima, la più immediata, l’ha citata lo stesso Rubio. A fine gennaio, il presidente sudafricano, Cyril Ramaphosa, ha firmato una legge piuttosto controversa, che consente di espropriare terreni senza indennizzo in determinate circostanze: vale a dire quando ciò sia ritenuto «giusto, equo e nell’interesse pubblico». In particolare, chi è a favore della norma tende a citare il fatto che, in Sudafrica, la maggior parte dei terreni è attualmente in mano a cittadini bianchi: ebbene, secondo Reuters, la legge avrebbe come obiettivo anche quello di modificare questa situazione. Dall’altra parte, i critici affermano che la norma risulterebbe incostituzionale e ad opporsi a essa è anche un pezzo dello stesso esecutivo sudafricano. Contrario è infatti lo schieramento liberale Alleanza democratica, che, su questo punto, è arrivato ai ferri corti con la formazione socialdemocratica dello stesso Ramaphosa, il Congresso nazionale africano (ricordiamo che questi due partiti governano nella medesima coalizione dall’anno scorso).Nel dibattito è entrato anche Donald Trump, che, domenica, aveva accusato il Sudafrica di «confiscare terre e di trattare molto male certe categorie di persone». L’inquilino della Casa Bianca aveva anche minacciato di tagliare l’assistenza statunitense al Paese, fin quando non fosse stata effettuata un’indagine sulla legge in questione. Una posizione, quella di Trump, che ha irritato il presidente sudafricano. «Il Sudafrica è una democrazia costituzionale profondamente radicata nello stato di diritto, nella giustizia e nell’uguaglianza. Il governo sudafricano non ha confiscato alcuna terra», ha dichiarato Ramaphosa, che ha poi avuto un colloquio telefonico con Elon Musk: magnate sudafricano che è attualmente a capo del Dipartimento per l’efficienza governativa statunitense. Dall’altra parte, il presidente americano ha fatto della battaglia contro l’«identity politics» e le politiche ultra-progressiste, volte a promuovere diversità e inclusione, un proprio cavallo di battaglia. È anche questa una delle ragioni che Trump ha addotto, nel suo tentativo di smantellare l’Usaid.Tuttavia, il no di Rubio al G20 poggia anche su considerazioni di natura maggiormente strutturale. Non a caso, il segretario di Stato, nel suo post, ha citato l’antiamericanismo. La polemica con il Sudafrica va infatti inserita nel quadro delle crescenti tensioni che intercorrono tra l’amministrazione Trump e i Brics (di cui il Sudafrica è notoriamente parte integrante). A fine gennaio, il presidente americano aveva minacciato di imporre pesanti dazi al blocco, qualora quest’ultimo avesse proseguito nei suoi intenti di de-dollarizzazione. «Chiederemo a questi Paesi apparentemente ostili di impegnarsi a non creare una nuova valuta Brics, né a sostenere un’altra valuta per sostituire il potente dollaro statunitense, altrimenti dovranno affrontare tariffe del 100%», aveva tuonato. È quindi chiaro che Trump non vede assolutamente di buon occhio i legami sempre più stretti di Pretoria con Pechino e Mosca. Non è probabilmente un caso che, poco dopo il post di Rubio, la Cina abbia espresso sostegno alla presidenza sudafricana del prossimo G20.Tra l’altro, vale anche la pena di ricordare che i rapporti tra Stati Uniti e Sudafrica si erano guastati già ai tempi dell’amministrazione Biden: nel maggio 2023, l’allora ambasciatore statunitense, Reuben Brigety, accusò il governo di Pretoria di fornire armamenti alla Russia nell’ambito della sua invasione dell’Ucraina. Senza poi dimenticare che, a dicembre di quell’anno, Pretoria ha accusato Israele di genocidio a Gaza davanti alla Corte internazionale di Giustizia: si tratta di una mossa evidentemente non apprezzata da Trump, che, come confermato martedì dal suo consigliere per la sicurezza nazionale Mike Waltz, sta cercando di rilanciare gli Accordi di Abramo.Infine, ma non meno importante, è possibile che l’amministrazione Trump non sia interessata al formato G20 in quanto tale. Istituito per la prima volta nel 1999, questo forum viene tenuto ogni anno a partire dal 2008. Il punto è che, visto l’alto numero di partecipanti che coinvolge, sempre più raramente sembra riuscire ad adottare misure e linee davvero incisive. A questo aggiungiamoci la storica diffidenza che Trump nutre nei confronti del multilateralismo: non è infatti un mistero che l’attuale presidente americano prediliga l’approccio bilaterale, senza rinunciare alla strategia della coercizione. È infatti a seguito delle pressioni di Rubio e dello stesso Trump, che Panama ha reso noto di voler abbandonare la Belt and Road Initiative: una circostanza che ha irritato non poco Pechino.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/trump-g20-sudafrica-2671111459.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="tagli-usaid-sberla-di-musk-alla-bbc" data-post-id="2671111459" data-published-at="1738878658" data-use-pagination="False"> Tagli Usaid, sberla di Musk alla Bbc «Non c’era tracciabilità né responsabilità ed era davvero difficile per noi svolgere il nostro lavoro». A esprimersi in questi termini riguardo a Usaid non è il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, e nemmeno Elon Musk, ma un’ex dipendente dell’agenzia americana. Catharine O'Neill Gillihan, come riporta Fox Business, ha lavorato al dipartimento di Stato e poi come funzionario da Usaid durante la prima amministrazione Trump. Ha confermato episodi di sprechi di cui «la lista potrebbe continuare all’infinito», raccontando al giornalista Stuart Varney: «Ho letto di recente che stavamo finanziando un programma “Sesame street” in Perù», concludendo: «Voglio dire, questi programmi sono afiniti fuori controllo». Usaid, fondata nel 1961 dal presidente Kennedy ufficialmente con lo scopo di fornire aiuti umanitari per lo sviluppo internazionale, è entrata nel mirino di Trump. La linea dell’amministrazione americana è infatti che si tratti di un carrozzone da chiudere, pieno di sprechi e con iniziative poco trasparenti, con il tycoon che sostiene che sia stata guidata «da lunatici radicali». L’agenzia è già stata commissariata e al personale è stato comunicato mercoledì che da oggi saranno messi in congedo in tutto il mondo. La misura riguarderà «tutto il personale assunto direttamente da Usaid a eccezione del personale responsabile di funzioni cruciali per la missione, posti dirigenziali e programmi appositamente designati». Nel frattempo, tra accuse e smentite su possibili finanziamenti dell’agenzia a media esteri, la Bbc media action, ente di beneficenza internazionale della Bbc, ha rilasciato un comunicato che ha sollevato scalpore. «Come molte organizzazioni internazionali per lo sviluppo, Bbc media action è stata colpita dalla sospensione temporanea dei finanziamenti del governo statunitense, che ammontano a circa l’8% delle nostre entrate nel 2023-24», si legge nel comunicato. E anche se Bbc media action ha specificato che «in quanto ente di beneficenza internazionale della Bbc, siamo completamente separati da Bbc news», è anche vero che nella pagina web ufficiale, si fa presente: «Applichiamo gli standard editoriali della Bbc, ci basiamo sui suoi valori e spesso lavoriamo a stretto contatto con il Bbc world service e altri dipartimenti della Bbc». Il comunicato è stato subito ripreso da Musk, che su X ha commentato: «Perché i soldi dei contribuenti americani dovrebbero finanziare la British Broadcasting Corporation? È folle». E nei canali social ieri è circolata anche la voce che le visite in Ucraina di alcuni divi di Hollywood, tra cui Ben Stiller, Sean Penn, Ben Stiller, Orlando Bloom, fossero state finanziate da Usaid per aumentare la popolarità del presidente ucraino Volodymyr Zelensky negli Usa. La notizia è stata però smentita e sarebbe opera di canali filorussi. Invece, al di fuori dei confini americani, tra le fila di chi sostiene la nuova posizione americana c’è il primo ministro ungherese Viktor Orbán, che su X ha dichiarato: «Sono d’accordo con il presidente Donald Trump. È una questione troppo grande e troppo sporca per nascondersi». Il premier, celebrando lo smantellamento di Usaid, ha spiegato: «Il coniglio è uscito dal cappello! Abbiamo dovuto sopportare per anni che gli ultra progressisti, autoproclamati campioni dei diritti umani dei media mainstream demonizzassero le forze politiche patriottiche per anni», aggiungendo che «lo hanno fatto perché erano pagati per farlo da Usaid e dalla precedente amministrazione statunitense di sinistra».
Andrea Crisanti (Imagoeconomica)
In particolare, la riforma abolisce l’Abilitazione scientifica nazionale, una procedura di valutazione avviata dal ministero dell’Università e della Ricerca per accertare l’idoneità scientifica dei candidati a ricoprire il ruolo di professore universitario ordinario o associato, senza la quale non si può partecipare a concorsi o rispondere a chiamate nei ruoli di professore associato o ordinario presso le università italiane. Una commissione di cinque docenti decide se il candidato può ricevere o no l’abilitazione: tutto viene deciso secondo logiche di appartenenza a questa o quella consorteria.
Intervenendo in aula su questa riforma, il senatore Crisanti ha pronunciato un discorso appassionato, solenne: «Lo dico chiaramente in quest’Aula», ha scandito Crisanti, «io, in 40 anni, non sono venuto a conoscenza di un singolo concorso di cui non si sapesse il vincitore prima e non c’è un singolo docente che mi abbia mai smentito. Questa è la situazione dei nostri atenei oggi. La maggior parte del nostro personale universitario ha preso la laurea all’università, ha fatto il dottorato nella stessa università, ha fatto il ricercatore, l’associato e infine il professore. Questo meccanismo di selezione ha avuto un impatto devastante sulla qualità della ricerca e dell’insegnamento nelle nostre università». Difficile non essere d’accordo con Crisanti, che però ha trascurato, nel corso del suo discorso, un particolare: suo figlio Giulio dall’ottobre 2022 è dottorando in fisica e astronomia all’Università del Bo di Padova, la stessa dove il babbo insegnava quando ha superato la selezione.
Ora, nessuno mette in dubbio le capacità di Crisanti jr, laureato in astrofisica all’Università di Cambridge, ma la coincidenza è degna di nota. Lo stesso Giulio, intervistato nel marzo 2022 dal Corriere del Veneto, affrontava l’argomento: «Ha deciso di fare il dottorato a Padova perché suo padre era già qui?», chiedeva l’intervistatore. «No, l’avrei evitato più che volentieri», rispondeva Crisanti jr, «ma ho fatto tanti concorsi in Italia e l’unico che ho passato è stato quello del Bo». Ma come mai il giovane Crisanti veniva intervistato? Perché ha seguito le orme di babbo Andrea anche in politica: nel 2022 si è candidato alle elezioni comunali di Padova, nella lista Coalizione civica, a sostegno del sindaco uscente di centrosinistra Sergio Giordani. Il sindaco ha rivinto le elezioni, ma per Giulio Crisanti il bottino è stato veramente magro: ha preso appena 25 preferenze.
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Angelo Borrelli (Imagoeconomica)
Poi aggiunge che quella documentazione venne trasmessa al Comitato tecnico scientifico. Il Cts validò. I numeri ballavano tra 120 e 140 ventilatori. La macchina partì. La miccia, però, viene accesa per via politica il 10 marzo 2020. Borrelli lo ricostruisce con precisione quasi notarile. «Arriva dalla segreteria del viceministro Pierpaolo Sileri un’email». Il mittente è la segreteria del viceministro. Il senso è chiaro. «Come richiesto dal ministro Speranza e noto al ministro Luigi Di Maio, ti ringrazio in anticipo anche da parte di Pierpaolo per le opportune valutazioni che vorrai effettuare al fine di garantire il più celere arrivo della strumentazione». Sono i ventilatori polmonari cinesi. La disponibilità viene rappresentata dopo un’interlocuzione politica. E a quel punto entra ufficialmente in scena la Silk Road. Il contatto, conferma Borrelli, non arriva per caso. «C’è un’email dell’11 marzo che […] facendo seguito a quanto detto dal dottor Domenico Arcuri, come d’accordo, ecco i contatti della Silk Road».
Ed è a questo punto che la deputata di Fratelli d’Italia Alice Buonguerrieri scatta: «Quindi è un contatto, quello della società Silk Road, che vi viene dalla struttura commissariale?». La risposta è secca. «Sì, viene dalla struttura commissariale di Domenico Arcuri». Arcuri, in quel momento, non è ancora formalmente commissario straordinario (lo diventerà il 18 marzo). Ma è già dentro il Dipartimento, si muove nel Comitato tecnico operativo, il Cto. «Perché il commissario Arcuri era già presente al dipartimento e iniziava ad affiancare…», cerca di spiegare Borrelli. Il passaggio politico-amministrativo non è casuale. Perché la Silk Road arriva sul tavolo della Protezione civile per quella via. La fornitura è pesante. «Ventilatori polmonari per un totale di 140», al costo di 2 milioni e 660.000 euro. «Ho qui la lettera di commessa», conferma Borrelli. La firma in calce non è italiana. «La lettera è firmata da un director, Wu Bixiu». E c’è un timbro cinese. La Verità quell’intermediazione all’epoca l’aveva ricostruita. La Silk Road Global Information limited che intermedia la fornitura è legata alla Silk Road cities alliance, un think tank del governo di Pechino a sostegno della Via della Seta. Ai vertici di quell’ente c’era anche Massimo D’Alema, insieme a ex funzionari del governo cinese. E infatti, conferma ora Borrelli, «c’è anche una email in cui si cita il presidente D’Alema». Però, quando gli viene chiesto apertamente se D’Alema abbia fatto da tramite, mette le mani avanti: «Io non so nulla di questo».
Di certo Baffino doveva aver rassicurato l’azienda cinese. Tant’è che la società aveva scritto: «Abbiamo appena ricevuto informazioni dall’onorevole D’Alema che il vostro governo acquisterà tutti i ventilatori nella lista. Quindi acquisteremo i 416 set per voi il prima possibile». «I nostri», spiega Borrelli, «gli hanno risposto «noi compriamo quelli che ci servono», cioè 140 e non 460». Ma c’è una parte di questa storia che non è ancora finita al vaglio della Commissione d’inchiesta guidata da Marco Lisei. Quei ventilatori polmonari, aveva scoperto La Verità, non erano in regola e la Regione Lazio li ritirò perché non conformi ai requisiti di sicurezza. «Dai lavori della commissione Covid sta emergendo una trama che collega la struttura commissariale di Arcuri, nominato da Giuseppe Conte, alla sinistra e, nello specifico, a D’Alema», afferma Buonguerrieri a fine audizione. Poi tira una riga: «Risulta che, ancor prima di essere nominato commissario straordinario, Arcuri sponsorizzava alla Protezione civile una società rappresentata da cinesi legata a D’Alema». «Le audizioni stanno portando alla luce passaggi che meritano un serio approfondimento istituzionale», tuona il capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera Galeazzo Bignami. Ma la storia non è finita.
«Il presidente del consiglio, per garbo, mi ha informato, perché sarebbe stato per me un colpo sapere dalla stampa che ci sarebbe stato poi un soggetto (Arcuri, ndr) che sarebbe entrato nel nell’organizzazione organizzazione della gestione dell’emergenza», ricorda ancora Borrelli. Che in un altro passaggio conferma che i pagamenti avvenivano anche per conto di Arcuri: «Io avevo il dottor Pietro Colicchio (dirigente della Protezione civile, ndr) e il suo direttore generale a casa col Covid e disponevano bonifici per i pagamenti per l’acquisto di Dpi. Dopo anche per conto del commissario Arcuri». Ma la Protezione civile con la nomina di Arcuri era ormai stata scippata delle deleghe sugli acquisti. A questo punto Borrelli fa l’equilibrista con un passaggio che ovviamente è stato apprezzato dai commissari del Pd: «L’avvento di Arcuri ha sgravato me e la mia struttura». Gli unici, però, che in quel momento avevano dato alla pandemia il peso che meritava erano proprio i vertici della Protezione civile. Già dal 2 febbraio, infatti, avevano segnalato al ministero l’assenza dei dispositivi di protezione. «Fu Giuseppe Ruocco (in quel momento segretario generale del ministero, ndr)», ricorda Borrelli, «a comunicare che ci sarebbe stata una riunione per predisporre una richiesta di eventuali necessità, partendo dallo stato attuale di assoluta tranquillità. Ruocco mi assicurò che se fosse emerso un quadro di esigenze lo avrebbe portato alla mia attenzione. Circostanza mai avvenuta». Il ministero si sarebbe svegliato solo 20 giorni dopo. «Il 22 febbraio nel Cto», spiega Borrelli, «per la prima volta venivano impartite indicazioni operative per l’utilizzo di Dpi». Solo il 24 febbraio, dopo alcune interlocuzioni con Confindustria, veniva «segnalato che non arrivavano notizie confortanti quanto alle disponibilità sul mercato». A quel punto bisognava correre ai ripari. La Protezione civile viene svuotata di competenza sugli acquisti e arriva Arcuri. Con le sue «deroghe». «Io», ricorda Borrelli, «non so se avesse delle deroghe ulteriori o meno, però, ecco, lui aveva le stesse deroghe che avevamo noi». Ma era lui a comprare.
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Ecco #DimmiLaVerità del 17 dicembre 2025. L'esperto di geopolitica Daniele Ruvinetti ci svela gli ultimissimi retroscena del negoziato di pace per l'Ucraina.
L’Indonesia è un gigante che sfiora i 300 milioni di abitanti ed è il più grande arcipelago del mondo. La sua capitale Jakarta è la città più popolosa del globo con quasi 42 milioni di abitanti e nel 2025 ha superato Dacca e Tokyo in questa classifica. Adagiata sulla costa dell’isola di Giava, questa città è diventata un conglomerato incontrollabile che sta lentamente affondando sotto il peso della sua popolazione. L’Indonesia ha il maggior numero di musulmani con quasi 250 milioni di fedeli e secondo alcune proiezioni come quelle della Banca Mondiale o del Fondo Monetario Internazionale potrebbe diventare una delle quattro principali economie internazionali entro il 2050. Jakarta nel 2024 è entrata a far parte del gruppo economico dei Brics, guidato da Cina, Russia ed India, ma non ha mai smesso di attirare investimenti statunitensi e ad avere un rapporto diplomatico diretto con Washington.
In questo quadro economicamente positivo però sono scoppiate una serie di proteste che hanno fortemente contestato il governo del presidente Prabowo Subianto. Questo ex generale, conosciuto per la ferocia con cui ha sempre represso ogni tipo di dissenso, ha stravinto le elezioni utilizzando un avatar che lo ha trasformato in un nonno amorevole. Durante la campagna per le presidenziali, il suo staff ha utilizzato strumenti di intelligenza artificiale come Midjourney per creare un'immagine carina e amichevole ("gemoy", un termine gergale indonesiano per "carino" o "coccoloso") di Prabowo, rivolta in particolare agli elettori più giovani sui social come TikTok. Questa mossa ha avuto un enorme successo portando molti giovani alle urne e consegnando oltre il 60% delle preferenze al vecchio generale. Il nuovo presidente aveva promesso un miracolo economico puntando ad una crescita dell’8% annuale, che però si è fermata intorno al 5,2%. Intanto il costo della vita è sensibilmente cresciuto così come la disoccupazione, mentre la rupia indonesiana ha continuato a svalutarsi arrivando ad un cambio con il dollaro a 16600 ad 1.
Contemporaneamente i cittadini indonesiani hanno visto una progressiva perdita di potere d’acquisto che ha portato ad una stagnazione dei consumi delle famiglie. Ad ottobre l’inflazione è arrivata al 2,75%, massimo livello dalla primavera del 2024, e la gente è scesa in strada per chiedere le dimissioni di tutto il governo. Se internamente le cose stanno andando male per Prabowo Subianto, l’ex generale, ha puntato tutto sulla proiezione internazionale del suo paese, dichiarando più volte di volerlo far diventare una potenza geopolitica regionale. Il ruolo indonesiano nel sud-est asiatico è in crescita e negli anni si sono rafforzati i rapporti con le nazioni vicine, soprattutto con la Malesia. Più complessi i tentativi di avvicinamento con le Filippine, fortemente schierate nell’orbita statunitense, mentre con l’India le relazioni sono sempre state piuttosto altalenanti. L’Indonesia si trova anche spettatore nel latente scontro indo-pacifico fra Pechino e Washington, nel quale per ora Jakarta ha scelto una linea politica basata sull’equidistanza. Con la Cina l’Indonesia ha siglato un accordo per lo sfruttamento congiunto delle risorse nelle acque contese, per evitare una disputa diretta, anche perché Pechino è il suo primo partner economico e commerciale, con gli scambi nel 2025 sono stimati in 160 miliardi di dollari. Jakarta sta cercando di diversificare le sue relazioni commerciali per evitare un’eccessiva dipendenza dalla Cina, intensificando gli scambi anche con l’Unione Europea. L’interscambio con la Ue nel 2024 ha superato i 27 miliardi di euro con l’Europa che importa olio di palma, tessuti, calzature, minerali (nichel e rame), mentre esporta nella nazione asiatica latticini, carni, frutta, macchinari e farmaceutici. Gli Usa restano comunque un partner cruciale per l’Indonesia in ambito di difesa e sicurezza, con esercitazioni congiunte e acquisto di armi, delle quali Washington è il secondo fornitore. L’attivismo di Prabowo Subianto si è visto anche nella questione mediorientale, con il presidente, unico leader del sud-est asiatico, presente in Egitto alla firma della tregua a Gaza.
Odorico da Pordenone, un Marco Polo meno noto che raccontò l'Indonesia nel secolo XIV
Non solo Marco Polo ed il suo «Milione», il resoconto sull’Estremo Oriente forse più famoso al mondo. Altre importanti testimonianze scritte di viaggi «meravigliosi» attraverso l’Asia sono giunte a noi dal Medioevo. Grandi protagonisti delle esplorazioni e dello scambio interreligioso (con le missioni) ma anche di quello geopolitico, furono i francescani. Come afferma il Prof. Luciano Bertazzo, storico francescano e direttore del Centro Studi Antoniani di Padova, contattato dalla Verità. «A fianco di Marco Polo esiste tutta una letteratura non meno interessante in cui il mondo francescano non fu solo portatore di evangelizzazione, ma anche di una spinta all'internazionalizzazione». Già alla metà del Duecento, la presenza della Chiesa cattolica in Estremo Oriente intersecava l'Europa all'Asia. I resoconti dei frati alimentarono il "Meraviglioso" nei racconti di viaggio (detti anche odeporici) sulla scia della «Vita di Alessandro Magno», che inaugurò il connubio tra scientia e mirabilia».
Ai tempi delle crociate, i frati minori assunsero un ruolo «diplomatico» all’interno di un mondo in forte fermento. Erano gli anni della «cattività» del Papato ad Avignone, dell’espansione dell’Islam verso oriente e del potentissimo regno dei Mongoli discendenti di Gengis Khan. Nel mosaico delle forze dominanti i francescani, attivi nell’opera di evangelizzazione alla base dei loro viaggi, furono anche incaricati dal Papato e dai sovrani occidentali di riportare notizie sullo stato dei popoli dell’estremo Oriente per cercare di misurarne la potenza politica e militare unito ad un intento più diplomatico, con il proposito di esplorare una possibile alleanza in funzione anti islamica. I religiosi italiani erano già presenti in Asia fino dalla metà del XIII secolo, come testimoniano i resoconti del francescano Giovanni di Pian del Carpine, che alla metà del Duecento scrisse una «Historia Mongalorum» dopo essere giunto fino a Kharakorum, ricca di informazioni strategico-militari sulla potenza dell’impero mongolo che premeva verso Occidente. Anche Giovanni da Montecorvino, francescano campano, giunse fino in Cina alla corte di Kubilai Khan, morto appena prima dell’arrivo del frate italiano. Qui fondò la prima missione cattolica della Cina e la prima chiesa nel 1305 e fu nominato arcivescovo da Clemente V.
A pochi anni dal viaggio di Giovanni da Montecorvino si colloca la spedizione di Odorico da Pordenone, che toccherà anche l’Indonesia, allora praticamente sconosciuta al mondo occidentale. Nato sembra intorno al 1280, fu ordinato frate a Udine ancora giovanissimo, secondo le poche notizie giunte a noi. Il suo viaggio in Oriente, con destinazione Cina, si colloca attorno al 1318 e seguì un itinerario da Venezia a Trebisonda, quindi dalla penisola arabica via nave fino all’India, dove a Thana (attuale Mumbai) raccolse le spoglie dei francescani martirizzati dai musulmani nel 1321. La tappa successiva fu l’Indonesia, una terra praticamente inesplorata fino ad allora. Nella sua Relatio, Odorico dedica spazio alla descrizione di usi e costumi dell’arcipelago. Lamori è il primo abitato dell’Indonesia che il frate friulano descrisse, dipingendolo come una terra non proprio ospitale. Così Odorico dipinse quella che è ritenuta essere un antico regno situato nella parte settentrionale di Sumatra: «Cominciai a perdere la tramontana quando toccai quella terra. In questa regione il calore è enorme e sia gli uomini che le donne vanno in giro nudi, senza coprirsi nessuna parte del corpo. Essi mi deridevano, perché dicevano che Dio aveva creato Adamo nudo e io invece volevo essere vestito contro la volontà di Dio. In questo paese tutte le donne sono messe in comune fra tutti, cosicché nessuno può dire «questa è mia moglie», oppure «questo è mio marito». Quando poi una donna partorisce un figlio o una figlia, lo dà o la dà a chi vuole tra uno di quelli con i quali ha avuto rapporti intimi, e quel bimbo o bimba lo considera il proprio padre. Anche tutto il terreno è in comune fra tutti gli abitanti, cosicché nessuno può dire: «questa o quella parte di terra è mia». Le case invece sono ognuna per conto proprio. Questa gente è pestifera e malvagia: infatti mangiano carne umana, come qui da noi si mangia la carne bovina o quella delle pecore. Tuttavia di per sé questa è una terra buona, che ha grande abbondanza di carni, di biade e di riso, inoltre vi si trova oro in abbondanza[…]».
Un ritratto di una società primitiva e ostile, quella che Odorico raccontò nella sua prima tappa indonesiana. Tutt’altra impressione il frate ebbe della tappa successiva, Giava. Secondo le fonti storiche, nel periodo in cui l’isola fu visitata da Odorico l’isola viveva l’ultimo periodo prospero prima dell’arrivo dell’Islam dall’India, quello del regno Majapahit che, sotto il comandante militare e consigliere dei regnanti Gajah Mada, riuscì nell’espansione territoriale con la conquista di Bali. A Giava l’Islam non era ancora giunto quando Odorico fece visita al palazzo reale, e le religioni principali erano il buddhismo, l’induismo e l’animismo. La descrizione che il friulano fece dell’isola era a dir poco entusiastica: «Quest’isola è abitata molto bene ed è la seconda isola più bella che ci sia al mondo. In essa nasce la canfora e vi crescono cubebe (pepe di Giava), melaghette (nota come melegueta o grani del Paradiso, della famiglia dello zenzero con sentore di zenzero e cardamomo) e noci moscate e molte altre specie di erbe preziose. Vi è grande abbondanza di vettovaglie, a eccezione del vino. Il re di quest’isola possiede un palazzo davvero meraviglioso». E più avanti, nel capitolo dedicato all’arcipelago indonesiano, Odorico sottolineava la potenza militare di Giava, che seppe resistere alla potenza della Cina di Kubilai Khan. «Il Gran Khan del Catai fu molte volte in guerra contro questo regno di Giava, ma questo re riuscì sempre vincitore e lo superò».
Lasciata l’Indonesia, passando forse per il Borneo e probabilmente dalle Filippine, Odorico sbarcò finalmente in Cina dal porto di Canton. Poi via terra riuscì a raggiungere Khambaliq (Pechino), dove lasciò le spoglie dei confratelli martiri e risiedette per tre anni prima di intraprendere il viaggio di ritorno via terra in compagnia del francescano frate Giacomo d’Irlanda attraverso il Tibet, la Persia e di nuovo da Trebisonda fino a Venezia. Odorico tornò nel 1330, dopo 12 anni. A Padova scrisse la sua Relatio, di fronte a frate Guido, ministro provinciale, e allo scriba Guglielmo da Solagna. La destinazione del resoconto di Odorico era Avignone, dove si ipotizza che il frate avrebbe dovuto recarsi per relazionare le meraviglie d’Oriente e dei suoi popoli al Pontefice. Odorico da Pordenone non la raggiungerà mai. Morirà a Udine si presume il 14 gennaio 1331 stroncato da una grave forma di enfisema dovuto alle esalazioni di monossido di carbonio respirate nelle tende dei «Tatari». La fama di santità seguirà immediatamente dopo la morte. A Udine fu realizzata una splendida arca dove riposavano le spoglie. Il processo di canonizzazione iniziò solamente nel 1755 ma fu interrotto. Due volte ancora fu ripreso ed interrotto nel 1931 e nel 1956. Nuovamente istruito negli anni Duemila, l'iter è attualmente in corso.
Per un approfondimento sul viaggio di Odorico da Pordenone si consiglia la lettura di Racconto delle cose meravigliose d'Oriente (Edizioni Messaggero Padova), basato sull'opera critica di riferimento a cura di Annalia Marchisio Relatio de mirabilibus orientalium Tatarorum (Sismel-Edizioni del Galluzzo).
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