2018-11-08
Trump batte l’onda e fa il bipartisan: «Lavoriamo insieme»
La spallata blu non è arrivata. The Donald tiene e piazza i suoi uomini. Poi a sorpresa tende la mano all'opposizione.La sinistra deve accontentarsi della prima musulmana eletta al Congresso. Gli elettori non hanno dato ascolto alla retorica sui migranti e alla campagna contro Brett Kavanaugh. E anche Barack Obama esce sconfitto.Gaffe di Emmanuel Macron, forse alle prese con un esaurimento nervoso. L'inquilino dell'Eliseo invoca una forza militare Ue per contrastare Washington, Mosca e Pechino.Lo speciale contiene tre articoli.L'onda blu non è arrivata. Donald Trump non crolla. Nonostante la potente macchina da guerra elettorale messa in campo, con la grande stampa a fare una tifoseria sfrenata, i democratici non sono riusciti a sfondare. «Non c'è stato lo tsunami», ha scandito la Cnn mentre arrivavano i primi risultati a inizio spoglio in cui è stato subito chiaro che il sorpasso non ci sarebbe stato.Le elezioni di midterm, negli Stati Uniti, sono andate come previsto. Storicamente il voto di metà mandato penalizza il partito del presidente e favorisce l'opposizione. E così è stato, con la differenza che i democratici speravano in un riscatto e quindi di impadronirsi pure del Senato. Alla Camera hanno superato la quota dei 218 seggi necessari per avere il controllo di questo ramo del Congresso, ma non sono riusciti a erodere la posizione dei repubblicani al Senato che qui non solo conservano la maggioranza, ma aumentano il bottino con seggi in più. «C'è stata una increspatura, ma di sicuro non un'onda blu», ha ironizzato la portavoce di Trump, Sarah Sanders, fotografando il risultato raggiunto con un'affluenza da record (il 49%) che i dem pensavano sarebbe stata a loro vantaggio. Inoltre alla Camera non c'è un grande scarto tra i 220 seggi dei dem e i 196 del Gop di Trump, secondo gli ultimi risultati dello spoglio.I repubblicani si sono assicurati il controllo di Stati chiave per le prossime elezioni di fine mandato del 2020. In Texas il repubblicano Ted Cruz ha battuto il democratico Beto O'Rourke nella corsa al Senato. Significativo è il risultato in Florida dove il democratico afroamericano Andrew Gillum, per il quale si è speso personalmente Barack Obama, è stato battuto dal trumpiano Ron DeSantis. In Indiana il repubblicano Mike Braun ha vinto su Joe Donnelly.Confermato nello Utah, tra le file dei repubblicani, l'ex aspirante della Casa Bianca, Mitt Romney.Alla Camera ci sono state new entry inaspettate tra le file democratiche a cominciare da Alexandria Ocasio Cortez, la più giovane deputata (29 anni) mai eletta al Congresso, che vince a New York e Rashida Tlaib, la prima deputata Usa di origini palestinesi. Per quanto riguarda i governatori, il partito repubblicano fa meglio del previsto con Greg Abbott, 60 anni, trumpiano di ferro, rieletto alla guida del Texas, Mike DeWine in Ohio e DeSantis in Florida. I democratici mantengono lo Stato di New York dove Andrew Cuomo, sconfitto Marc Molinaro, è al suo terzo mandato.Leggendo in controluce i risultati emerge che non è stata una battaglia decisiva, ma Trump ha ora il vantaggio di aver ricompattato il partito mettendo a tacere le voci critiche. Il presidente sa che i dem alla Camera daranno battaglia alle sue leggi e ieri in una conferenza stampa, oltre a sottolineare la soddisfazione per «il grande successo elettorale» («ho imparato che le persone mi amano») ha lanciato messaggi di invito al dialogo. «Dobbiamo lavorare insieme. Con i democratici abbiamo tante cose in comune sul fronte dei progetti infrastrutturali; noi vogliamo fare qualcosa sulla sanità così come loro». E ha rivendicato i risultati raggiunti: «L'America sta prosperando come mai fino a ora». Pure la speaker della Camera, la democratica Nancy Pelosi, ha usato toni concilianti parlando di «soluzioni bipartisan». Trump si è anche sfogato, sottolineando che tutti i candIidati repubblicani «che non mi hanno abbracciato hanno perso». Come dire che ora il partito repubblicano è davvero il partito del presidente. I democratici sono invece ancora alla ricerca di un loro candidato. Tra quelli messi in campo, una schiera arcobaleno con rappresentanti di diversa provenienza, non spicca nessuna personalità di rilievo in grado di configurarsi come l'anti Trump. C'è un altro fattore di queste elezioni che non va sottovalutato. Il presidente ha arginato l'onda blu, non facendo leva sui dati dell'economia, ma difendendo i valori identitari. Un tema sul quale i democratici saranno chiamati a riflettere e che potrebbe essere un fattore di divisione dentro il partito, tra coloro che pensano sia meglio spingersi più a sinistra, quindi impostare la prossima campagna elettorale tutta sul welfare e quanti invece vogliono riacciuffare i moderati sensibili alle sirene trumpiane del sovranismo.La tenuta di Trump non potrà non avere conseguenze a livello internazionale. Sia nei rapporti con Cina e Russia che sul voto delle europee. «Si può presumere che non ci siano prospettive brillanti per la normalizzazione delle relazioni russo-americane», ha detto il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov. Il primo impatto sull'Europa si dovrebbe far sentire nel congresso del Cdu tedesco di dicembre, favorendo la linea più conservatrice e mettendo la Merkel definitivamente nell'angolo. A cascata potrebbe favorire, in vista delle europee, un'alleanza tra il Ppe e le famiglie populiste. La stessa auspicata dal vicepremier Salvini. Il leader della Lega ha rimarcato che l'esito del midterm «è stato diverso dal trionfo democratico di cui si leggeva sui giornali. Il voto ha premiato la linea coerente di Donald Trump». Laura Della Pasqua<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/trump-batte-londa-e-fa-il-bipartisan-lavoriamo-insieme-2618569045.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="donne-islamiche-rifugiate-e-lesbiche-le-figurine-dem-non-servono-a-nulla" data-post-id="2618569045" data-published-at="1758173003" data-use-pagination="False"> Donne, islamiche, rifugiate e lesbiche Le figurine dem non servono a nulla Donald Trump li ha beffati un'altra volta. Eppure i media mainstream e il Corrispondente Unico tentano di annacquare il senso delle elezioni di midterm. Avevano parlato di un'«onda democratica» che avrebbe travolto Trump, ma le cose non sono andate secondo i loro desideri. Tanto che Trump ha potuto fare sarcasmo sull'«onda», derubricandola a «increspatura». Si è invece rivelata azzeccata la previsione della Verità, pubblicata quarantott'ore ore fa: un sostanziale pareggio, con vittoria democratica alla Camera e successo repubblicano al Senato, dove Trump estende e rafforza la sua maggioranza. Ma attenzione: considerando i sondaggi e la campagna mediatica ossessivamente anti Trump, siamo davanti a un chiaro successo politico del presidente almeno per sei ragioni. 1Tutta la «narrazione» contro di lui è stata smentita. La Florida come presunto baluardo democratico, i latinos che non lo avrebbero votato, gli «equilibri cambiati», l'effetto della «carovana dei migranti», la campagna scandalistica contro il giudice conservatore Brett Kavanaugh, il Russiagate: tutti argomenti che si sono rivelati altrettanti autogol per i democratici. 2L'impeachment non esiste più. In teoria, disponendo di una maggioranza alla Camera, i democratici potrebbero provare a innescare la procedura, ma poi occorrerebbe il voto favorevole dei due terzi del Senato. Mission impossible. 3Con la sequenza di comizi delle ultime settimane, The Donald ha già lanciato la campagna per la rielezione nel 2020. Di più, se ora qualche legge non passerà, ha già l'argomento pronto: me l'hanno bloccata i democratici alla Camera. 4Al contrario, i democratici non hanno ancora un candidato presidenziale. Molti dei presunti nuovi eroi supersponsorizzati dai media liberal hanno fatto flop (si pensi a Beto O' Rourke in Texas), e se il «nuovo» ha il volto di un vecchio arnese come la solita Nancy Pelosi, allora Trump può davvero cantare vittoria. 5Trump tiene dove doveva tenere (Texas) e vince dove i sondaggi lo davano perdente (Florida) o in una serie di Stati elettoralmente mobili («swing states»). 6L'effetto Obama non c'è stato: ricorderete che l'ex presidente, con stile discutibile, si era messo a comiziare contro Trump, accusandolo di non avere «compassione» per gli immigrati («Questa non è l'America», aveva gridato) e rivendicando comicamente il merito del boom economico prodotto invece dai tagli fiscali di Trump. La verità è che la sua «legacy» è stata cancellata, respinta, rimossa dagli elettori. Davanti a tutto questo, i democratici e la loro grancassa mediatica si sono messi a sgranare il rosario delle diversità etniche e di genere, rivendicando una specie di dream team multiculturale. Ecco i nuovi «campioni»: la ventinovenne Alexandria Ocasio Cortez, radici portoricane e «narrazione» ultra sinistra (ha già all'attivo le prime dichiarazioni pro Palestina e anti Israele); Rashida Tlaib, la prima musulmana eletta al Congresso; Ilhan Omar, la prima rifugiata africana (con tanto di hijab); Sharice Davids, nativa americana e lesbica; Jared Polis, primo governatore gay. Innegabilmente, tutte storie interessanti. Ma, secondo la recente analisi del politologo Mark Lilla, con il solito vizio di fondo della sinistra: appassionarsi alle minoranze, e dimenticare la maggioranza degli elettori. Per il resto, sul piano sociale si conferma una grande differenziazione tra l'America rurale (che sta con Trump) e le aree urbane (schierate prevalentemente contro di lui). Ma un fatto clamoroso è ovunque una grande crescita dell'affluenza al voto. Quanto alla direzione di marcia, per Trump non cambia. In politica economica, un mix efficace di megatagli di tasse e megainvestimenti (un doppio pacchetto da 1.500 miliardi di dollari ciascuno). In politica estera, per un verso le sanzioni anti Iran (con esenzione a favore dell'Italia come atto di amicizia) e per altro verso la minaccia dell'indurimento della trade war come arma negoziale per sanare gli squilibri commerciali - intollerabili dal punto di vista di Washington - con Cina e Germania. Insomma, per Trump un'altra nottata divertente (non a caso il presidente ha subito twittato: «Tremendous success tonight. Thank you to all!»), mentre si preparano nuovi motivi di mestizia per le capitali europee dell'antitrumpismo militante e per troppi presunti «esperti» di America e politica internazionale, sbugiardati un'altra volta. Da Bruxelles, emblematica di un'ostilità viscerale non solo contro Trump, ma pure contro gli elettori repubblicani, ecco l'incredibile reazione di Frans Timmermans, possibile candidato della sinistra alla guida della prossima Commissione Ue: «Sono ispirato dagli elettori che hanno scelto la speranza sulla paura, la civiltà sulla rozzezza, l'inclusione sul razzismo, l'uguaglianza sulla discriminazione. Si sono battuti per i loro valori, e così faremo noi». Dall'Italia, tra negazione della realtà, incomprensione dei risultati e trionfo dei desideri sui fatti, oltre all'inevitabile Laura Boldrini («È partita la riscossa che porterà alla sconfitta di Trump nel 2020»), si segnala un tweet dell'ex premier Paolo Gentiloni: «I democratici tornano in pista per il 2020. Oggi è un altro giorno». O forse un altro film. Daniele Capezzone <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/trump-batte-londa-e-fa-il-bipartisan-lavoriamo-insieme-2618569045.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="macron-delira-esercito-anti-usa" data-post-id="2618569045" data-published-at="1758173003" data-use-pagination="False"> Macron delira: «Esercito anti Usa» Decisamente un momentaccio per Emmanuel Macron. Da una parte, il Financial Times rilancia la notizia (La Verità, come ricorderete, l'aveva già data la scorsa settimana con grande evidenza, unica tra i giornali italiani) del presunto esaurimento nervoso del presidente francese. Dall'altra, la protesta furiosa - in patria - di automobilisti e autotrasportatori per l'aumento della tassazione del carburante, con la minaccia di un superblocco del traffico in tutta la Francia il prossimo 17 novembre. E ora una surreale gaffe di politica internazionale, con l'evocazione macroniana di un «vero esercito europeo» come strumento per proteggere il Continente anche dall'America, incredibilmente presentata dall'inquilino dell'Eliseo come una minaccia geopolitica. A rendere tutto più grottesco, due elementi. Per un verso, il fatto che Macron abbia equiparato gli Stati Uniti alla Russia e alla Cina: nel caso dell'America (bontà sua), Macron non l'ha citata come un avversario geopolitico, ma per le eventuali «conseguenze sulla pace delle sue politiche». Immaginate con che facce lo guarderanno Vladimir Putin e soprattutto Donald Trump, attesi domenica prossima a Parigi per le celebrazioni del centesimo anniversario della fine della prima guerra mondiale. L'altro tocco di grottesco deriva proprio dal fatto che siamo nel cuore delle commemorazioni della Grande guerra (ieri Macron era a Verdun, sede di una battaglia leggendaria): e l'idea di attaccare gli Stati Uniti, il cui ruolo fu assolutamente importante per la vittoria finale nel 1918, dà veramente la sensazione di un presidente francese confuso, spaesato, senza bussola. Gaffe a parte, anche la sostanza della proposta di Macron (cioè l'idea in sé di un esercito comune) ha incontrato la freddezza dei partner europei: Ursula von Leyen, la ministra tedesca della Difesa, ha commentato seccamente che non si tratta di «un progetto immediato per domani». E lo stesso portavoce della commissione Ue, Margaritis Schinas, ha insistito sulla gradualità dell'azione comune in materia militare, precisando comunque che «non si comincerà da un esercito europeo». Una chiara doppia presa di distanze. In ogni caso, la sortita di Macron, potrà solo peggiorare l'opinione su di lui di Trump: già Washington sollecitava maggiori contributi dei Paesi dell'Unione europea alla Nato (il famoso obiettivo del 2% del Pil da destinare alle spese per la difesa è tuttora un target lontanissimo per molte capitali europei), ma ora sentir parlare di progetti alternativi sa di provocazione. Il progetto Macron appare infatti discutibile almeno per tre ragioni. La prima: sembra delineare un posizionamento geopolitico europeo «terzo» tra l'America e i giganti asiatici, ponendo Washington sullo stesso piano di Pechino, e marcando una curiosa equidistanza europea tra Occidente e Oriente.. La seconda, perché questo strumento militare Ue diverrebbe concorrenziale (e perfino ostile, se questo è l'approccio) alla Nato, cioè al tradizionale ombrello difensivo occidentale. E una terza volta, perché un corpo militare europeo presupporrebbe anche una politica estera comune della quale mettersi al servizio. E perché mai gli odiati (da Macron) populisti di Roma, Varsavia, Praga, Budapest, o anche i duri conservatori di Vienna, solo per fare degli esempi, dovrebbero fornire uomini e mezzi per consentire a Parigi queste sortite anti Washington e anti Nato, o per facilitare gli ambiziosi progetti di egemonia francese in svariati teatri geopolitici? Daniele Capezzone
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