2021-12-31
Truffa all’Inps, sequestrati 30 milioni a Gedi
Svolta nell’inchiesta della Procura di Roma sui presunti trucchetti dell’azienda per anticipare i pensionamenti di 70 dipendenti. L’ex ministro Paola Severino, avvocato del gruppo controllato dagli Agnelli, si è affrettata ad aprire un nuovo conto coi fondi necessari.Per il Gruppo editoriale Gedi, controllato dalla Exor, holding della famiglia Agnelli, non è stato un bel Natale. Infatti prima delle feste ha subito un sequestro multimilionario da parte della Procura di Roma per una presunta truffa ai danni dell’Inps legata al prepensionamento di numerosi dirigenti. Il 23 dicembre i media hanno dato ampio risalto alla notizia di un «prelievo» monstre da 1,25 miliardi scattato per una maxi frode sui bonus fiscali nel settore dell’edilizia. Chissà se è per questo che nessuno ha ritenuto di pubblicizzare un provvedimento meno oneroso, ma comunque clamoroso. Infatti, a quanto risulta alla Verità, il procuratore aggiunto Paolo Ielo e il pm Francesco Dall’Olio avrebbero ordinato un sequestro da oltre 30 milioni di euro (la presunta truffa è al momento quantificata in 38) nei confronti del gruppo Gedi ai sensi della legge 231 del 2001, quella che punisce la responsabilità amministrativa delle società. I dipendenti coinvolti nel presunto imbroglio sarebbero addirittura una settantina e a partire da gennaio dovrebbero essere convocati uno a uno per rendere la loro versione davanti agli uomini del Nucleo di polizia economico-finanziaria di Roma, il reparto investigativo che sta effettuando le indagini sotto la guida della Procura.I giornali del gruppo, solitamente ben informati, hanno preso il buco e anche i concorrenti sembrano aver dormito per giorni. A Piazzale Clodio i cronisti, magari anche a causa delle nuove norme più stringenti in materia di comunicazione con i media sulle indagini in corso, sono rimasti a becco asciutto. Per questo la notizia va ricostruita con cautela. Sappiamo che l’avvocato dell’azienda Paola Severino si sarebbe affrettata a far aprire un conto ad hoc su cui Gedi avrebbe già versato i fondi oggetto del sequestro, evitando che venissero colpiti i patrimoni personali degli indagati.L’ente presieduto da Pasquale Tridico da tempo sarebbe utilizzato come un bancomat dalle case editrici e in particolare dal gruppo Gedi, quello che edita La Repubblica, L’Espresso, La Stampa e Il Secolo XIX, tre radio e una serie di testate locali e che è posseduto per l’89% del capitale dall’Exor presieduta dallo stesso John Elkann (che con la sua Dicembre controlla il 38 per cento della holding di diritto olandese). Gli inquirenti sospettano che per fare ottenere il riposo anticipato ad alcuni dirigenti che non ne avevano diritto, siano stati utilizzati escamotage come il demansionamento a quadri o i trasferimenti.Nel marzo del 2018 la Guardia di finanza fa visita agli uffici del gruppo Gedi e, inizialmente, risultano iscritti sul registro degli indagati l’allora vicepresidente del gruppo Gedi Monica Mondardini, attuale ad della Cir e presidente della Sogefi, il direttore delle risorse umane Roberto Moro e il capo della divisione Stampa nazionale Corrado Corradi. Tre anni e mezzo dopo l’inchiesta sembra arrivata a una svolta e il numero dei manager inquisiti è aumentato.Nell’aprile 2012 all’Inps arriva la prima denuncia anonima sul presunto comportamento scorretto di alcuni impiegati dell’Istituto, i quali avrebbero inserito contributi fittizi a favore di dipendenti del gruppo guidato prima dalla famiglia De Benedetti e adesso dagli Agnelli per favorirne il prepensionamento.Dopo diversi solleciti da parte delle direzioni centrali competenti, l’allora direttore regionale del Lazio Gabriella Di Michele risponde che «il controllo effettuato a livello amministrativo sulle posizioni dei dipendenti del gruppo l’Espresso (oggi Gedi, ndr) è risultato regolare e, pertanto, non sembrano esserci elementi tali da suffragare la segnalazione anonima». Quattro anni dopo, nel maggio 2016, un dipendente del gruppo scrive all’allora presidente dell’Inps Tito Boeri una mail anonima con cui prova ad aprire gli occhi ai vertici dell’istituto: «Poniamo per assurdo che qualche azienda nel Paese dei furbi dicesse che ha oggi 3 esuberi di personale, però 1 dei 3 è stato assunto ieri proprio per poter usufruire di vantaggiosissimi ammortizzatori sociali, qualcosa del tipo pensione anticipata o cassa integrazione. Guarda caso questo assunto ieri, arriva (ironia della sorte?) da una azienda perfettamente in utile dello stesso gruppo. Questa potrebbe essere considerata una truffa?».L’indovinello ha l’obiettivo di denunciare un presunto ricorso truffaldino agli ammortizzatori sociali. Ricordiamo che tra il 2011 e il 2015 sono stati concessi con decreto ministeriale a Gedi e alla Manzoni Spa (la concessionaria di pubblicità del gruppo editoriale) i prepensionamenti di 187 poligrafici e 69 giornalisti, mentre per altri 554 lavoratori sono stati attivati contratti di solidarietà. L’operazione sarebbe stata resa possibile grazie, come detto, anche a demansionamenti e trasferimenti mirati. Nel giugno 2016 l’anonimo dipendente svela a Boeri che la sua ipotesi è tutt’altro che fantasiosa e che, anzi, riguarda il gruppo per cui lavora.Boeri, già collaboratore della Repubblica e della fondazione De Benedetti, non gira subito la segnalazione al direttore generale Massimo Cioffi, ma passa la pratica a un dirigente di seconda fascia. Il dg viene informato (non da Boeri) solo dopo due mesi e ordina l’apertura di un tavolo tecnico sulla questione. L’Ispettorato del lavoro, messo in guardia dall’Inps, ha coinvolto la magistratura e il procuratore aggiunto Ielo e il pm Dall’Olio hanno aperto un fascicolo per truffa. Adesso è arrivata la scoppola milionaria per un gruppo già in grave difficoltà finanziaria. Il bilancio del 2020 ha registrato un rosso di 166 milioni di euro. In 12 mesi, con Elkann alla guida in veste di presidente, ha perso 71 milioni di ricavi (passati da 604 a 533), tra diffusione (13 milioni in meno) e introiti pubblicitari (scesi del 20 per cento). Gedi era già reduce da perdite per 260 milioni cumulare tra il 2017 e il 2019. Nel primo semestre del 2021 l’andamento non è migliorato e ha registrato 248 milioni di ricavi (quelli editoriali sono scesi da 126 a 111, quelli pubblicitari sono passati da 102 a 115), 1 in meno rispetto al 2020. A peggiorare il quadro il sequestro da oltre 30 milioni che ha portato a chiudere l’anno con il botto. Ma in questo caso non c’è nulla da festeggiare.