2022-02-13
Trudeau minaccia i manifestanti. «Via lavoro e libertà di viaggiare»
Messo in difficoltà dal Freedom convoy, il presidente canadese va fuori di testa: «Perderete la patente, i vostri mezzi di sostentamento, la possibilità di spostarvi». Le proteste scoppiano anche in Australia.Dopo un lungo autoisolamento, è ricomparso il premier canadese Justin Trudeau, ma ha scelto un repertorio che, lungi dal raffreddare la protesta dei camionisti (che cresce e si estende dal 28 gennaio scorso), rischia perfino di arroventarla. La Verità, ancora l’altro ieri, vi ha raccontato come alcuni esponenti del suo stesso partito liberale lo abbiano invitato a smettere di «erigere muri, dividere e stigmatizzare», mentre l’opposizione conservatrice lo accusa di voler «vivere in una pandemia permanente». Anche alcune province muovono i primi passi per allentare le restrizioni, e in qualche misura per distendere il clima. Intanto, i manifestanti, che non di rado sono salutati dalla folla ai bordi delle strade, avrebbero già raccolto una notevole quantità di denaro (da 6 a 10 milioni di dollari, secondo stime diverse) in donazioni sulle piattaforme online. E invece, contro tutto questo, il premier, un autentico piromane politico, con il tono di chi si rivolge non a dei cittadini dignitosi e combattivi, ma più o meno a dei ricattatori, ha alternato melliflue parole di pacificazione a vere e proprie minacce, nemmeno malamente velate o attenuate, ma retoricamente evidenziate a bella posta. Prima un po’ di miele: «I blocchi illegali stanno colpendo i canadesi», «è tempo di andare a casa». Poi, in un crescendo di minacce e allusioni, la parte più incendiaria dello speech: «Tutto è sul tavolo per fermare i blocchi, che sono inaccettabili e devono finire per il bene dei canadesi. Ho parlato con Joe Biden» (qui Trudeau si è lanciato in vaghi cenni «all’impatto di influenze e denaro straniero per finanziare questa protesta»). A seguire, un obliquo riferimento ai ragazzi presenti alle manifestazioni, come se Trudeau volesse lasciar intendere la possibilità di blitz imminenti delle forze dell’ordine: «La via più sicura per porre fine a ciò è che voi torniate a casa, specie se avete i figli con voi». A seguire le minacce esplicite: «Voglio essere molto chiaro: se partecipate alle proteste perché siete stanchi del Covid, dovete comprendere che state violando le leggi. E le conseguenze potranno essere via via più gravi: potreste finire con il perdere la vostra patente, con una denuncia penale, cosa che potrebbe aver conseguenze sul vostro lavoro, sui vostri mezzi di sostentamento, sulla vostra possibilità di spostarvi all’estero, inclusi gli Usa». Avete capito bene: la chiara minaccia di revocare la patente ai camionisti e fargli perdere il lavoro e il diritto di varcare la frontiera.Finale con ritorno ai toni melliflui, parlando agli altri canadesi, come se Trudeau si rendesse conto di non essere più titolare di un consenso solido: «Mi rivolgo a chi è stanco dei blocchi ma pure delle restrizioni: ma è così che abbiamo salvato tante vite. Ogni giorno consideriamo ciò che è possibile e ciò che è meglio. Stiamo combattendo un virus, non stiamo combattendo gli uni contro gli altri. Dopo tutto quello che abbiamo passato insieme, non è questo il momento di colpire il Canada e la sua economia». Fin qui, il paternalismo autoritario di Trudeau, il suo maneggiare un linguaggio per metà dolciastro, e per metà esplicitamente nervoso e politicamente vendicativo. Ma ciò che colpisce è l’incapacità di un politico che ama vendersi al mondo come tollerante e progressista di comprendere che è stato lui, con le sue misure provocatorie (la quarantena obbligatoria per i camionisti non vaccinati di ritorno dagli Usa), a creare un clima irrespirabile. È stato ancora lui a scaricare i camionisti, che nei mesi iniziali della pandemia erano stati invece trattati come i migliori amici della tenuta economica. E ora tutti comprendono che le preoccupazioni sanitarie sono solo un paravento: ciò che conta è la volontà di punire il dissenso, di trattare i non vaccinati come paria. Perfino al prezzo di colpire l’economia e mettere a rischio gli approvvigionamenti di cibo e beni essenziali. Certo, c’è una lezione anche per noi che viene dal Freedom convoy (significativamente, la protesta è intitolata alla libertà): se i lavoratori e i cittadini più coraggiosi non restano soli, è difficile marginalizzarli e metterli all’angolo. Qui in Italia, invece, la posizione dei sindacati è stata surreale, a partire dalla Cgil e dal suo vertice: a lungo perplessi sul green pass, ma solo per invocare una misura ancora più illiberale e coercitiva, e cioè l’obbligo vaccinale. Risultato finale: gli italiani si sono ritrovati addosso sia il green pass sia l’obbligo, nel silenzio di chi aveva inneggiato per decenni alla «Costituzione più bella del mondo» e alla «Repubblica fondata sul lavoro».E intanto, a tutt’altra latitudine, pure in Australia la misura è colma: a Canberra, diecimila persone si sono radunate davanti al Parlamento per protestare contro l’obbligo vaccinale e le altre restrizioni. Risultato, tre arresti e il primo ministro Scott Morrison in difficoltà: ha fatto sapere di comprendere la preoccupazione dei manifestanti ma ha chiesto di «protestare in modo pacifico e rispettoso».
Antonio Filosa, ad Stellantis (Ansa)
Giancarlo Giorgetti (Ansa)