
Con 30 anni di ritardo, Guido Salvini, che all’epoca di Tangentopoli era giudice a Milano, racconta: «Venne creato un registro con uguale numero per ogni indagine, che così finiva a un unico collega già sperimentato».È un regalo di compleanno lasciato per 30 anni in un armadio. Bene incartato e con il fiocco, basta togliere un po’ di polvere con lo swiffer (o con una mascherina di quelle reclamizzate dall’ex ministro Francesco Boccia) e sembra nuovo. È il metodo Mani pulite, l’escamotage per compiere arresti a raffica e dare il via alla stagione delle manette. Dentro il cadeau ci sono 30 anni di giustizialismo, c’è il giacobinismo che continua ad ammorbare la vita pubblica del nostro Paese. Veniamo tutti da lì. «Il pool escogitò il semplice ma efficace trucco di creare un registro con lo stesso numero per tutti i reati, che per competenza finiva sulla scrivania dello stesso gip: Italo Ghitti». Lo scrive su Il Dubbio il giudice Guido Salvini, un signore che sa di cosa parla perché a quell’epoca faceva il gip a Milano nel Palazzo di Giustizia degli eroi di Tangentopoli e forse si stupiva che il collega, fosse il destinatario dei fascicoli più scottanti di Antonio Di Pietro. «Era comodo per la Procura avere un unico gip già sperimentato, per alcuni già «direzionato» e non doversi confrontare con una varietà di posizioni e di scelte che si potevano incontrare all’interno dell’ufficio gip, formato da una ventina di magistrati». Il giudice per indagini preliminari ha un ruolo chiave: valutare le inchieste e i presunti reati, decidere anche a garanzia degli imputati. Prosegue Salvini scartando il vecchio regalo: «Così il pool escogitò un semplice ma efficace trucco costituendo, a partire dall’arresto di Mario Chiesa, un fascicolo che in realtà non era tale ma era un registro che riguardava centinaia e centinaia di indagati che nemmeno si conoscevano tra loro, e vicende tra loro completamente diverse, unificate solo dall’essere gestite dai pm del pool». E affonda il colpo: «L’espediente impediva la rotazione e consentiva di mantenere quell’unico gip iniziale, che evidentemente soddisfaceva le aspettative del pool. Un paio d’anni dopo, nel 1994, Ghitti divenne consigliere del Csm: elezione e prestigioso incarico propiziati dall’essere stato appunto il gip di Mani pulite».Salvini racconta che una volta, per sbaglio, un filone arrivò a lui. «Ma nel giro di pochi giorni, prima ancora che potessi decidere su alcune richieste dei pm, il fascicolo mi fu sottratto e passò a Ghitti, evitando così che qualsiasi altro gip dell’ufficio interferisse nella macchina di Mani pulite. Questa abnormità fu più che tollerata dai capi». La rivelazione è scottante, anche perché arriva da un uomo che non ha bisogno di pubblicità. Il suo pedigree parla per lui: inchieste sul terrorismo rosso e nero, la soluzione dell’omicidio di Sergio Ramelli e di quello del brigadiere Antonio Custra, la riapertura delle indagini su Piazza Fontana, i casi Parlamat ed Enipower, il sequestro di Abu Omar, l’indagine sulle nuove Br, il Calcioscommesse.Ricordare è un atto d’amore, ma a che serve? (copyright William Shakespeare). Serve a storicizzare, a convincersi che la separazione delle carriere è indifferibile anche se il partito delle Procure (Pd, Movimento 5 stelle) non la vuole. Serve a far scendere dal piedistallo definitivamente chi pretende di essere depositario della verità sulla stagione che decapitò in modo selettivo la Prima repubblica e ne ha condizionato fortemente la Seconda. Serve a prendere le distanze da ricostruzioni edulcorate o mitobiografie (e pompose autobiografie) che girano in questi mesi per farcire il trentennale di Tangentopoli in arrivo. Allora anche i media ebbero un ruolo ancillare e decisivo; Di Pietro e Ghitti passeggiavano insieme sottobraccio e i giornali scrivevano «ecco due dei giudici che indagano sulle tangenti», dimenticandosi che il primo era un pm e il secondo avrebbe dovuto giudicare la correttezza e la liceità delle sue inchieste. Per quel faciscolo che tutto comprendeva (8655/92) il bresciano Ghitti fu coinvolto in varie polemiche. Soprattutto per una «missiva di suggerimento» su come formulare al meglio una richiesta d’accusa. La vicenda sfociò in un procedimento disciplinare al Csm dal quale il gip fu prosciolto da ogni addebito. Nel libro Il Tempo delle Mani pulite, Goffredo Buccini coglie il clima al tempo degli Unni: «È facile immaginare cosa si scatenerebbe su un giudice che azzerasse le inchieste di Di Pietro ed è comprensibile che il gip in questione esibirà poi, a prova di assoluta indipendenza, l’aver respinto ben 60 richieste del pool (su migliaia…)». E poi: «Non è onesto addebitare a Ghitti chissà quale sudditanza. Un po’ sudditi lo diventiamo tutti, in quei mesi». Tifosi di chi vince, del potere emergente. Un vizio molto italiano, salvo scoprirne le miserie con 30 anni di ritardo.
2025-10-17
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