2021-12-22
Troppa notorietà ha dato alla testa ai medici che cantano il Covid in tv
La pandemia non è un tema da avanspettacolo: ci sono stati quasi 140.000 decessi e l’emergenza è ancora in corso, nonostante le improvvisate ugole d’oro ci avessero garantito l’immunità grazie alle inoculazioni.Provate a immaginare che cosa pensereste se, domani, vi capitasse di ascoltare Alberto Mantovani, ovvero uno dei più influenti scienziati italiani, specializzato in oncologia e immunologia, mentre canta in tv o alla radio una canzoncina per bambini dell’asilo. Oppure pensate alla vostra reazione se vi toccasse sentire Silvio Garattini, ovvero lo scienziato e farmacologo che ha fondato l’istituto di ricerca Mario Negri, mentre ripete un po’ stonato delle filastrocche da prima elementare. Ecco, e adesso al posto dei due luminari mettete i nomi di alcune virostar come Matteo Bassetti e Fabrizio Pregliasco, impegnati non a informare l’opinione pubblica sugli sviluppi dell’epidemia di coronavirus, ma a esibirsi in un improvvisato duetto canoro. Non siamo al Quartetto Cetra, ma al Terzetto Covid, perché alla coppia si è unito anche Andrea Crisanti. Naturalmente, io non ho nulla contro i medici che a casa loro, con i nipotini, si travestono da Babbo Natale e nemmeno mi scandalizzo se, insieme con la famiglia, cantano in coro Astro del ciel, storpiandola per far divertire i più piccoli. Ma se, pur di far spettacolo alla radio, un medico si mette a intonare «Tu scendi dalle stelle o mio vaccino» ripetendo «Ah quanto mi costò non averti inoculato» o «A te che sei nel mondo il vaccinatore», beh diciamo che, oltre a indignarmi, penserei che a chi si esibisce ha dato alla testa la notorietà, scambiando la competenza con l’apparenza. Vado in televisione da molti anni e, pur avendo ricevuto numerosi inviti a parlare d’altro che non fosse di attualità, di economia o di politica, materie di cui mi occupo quotidianamente da oltre quarant’anni, o a dar spettacolo per il gusto di fare spettacolo, mai mi è venuta voglia di raccontare cose che esulassero dal mio mestiere. Il simpatico Gigi Marzullo, che per anni sulla Rai ha condotto un fortunato programma dal titolo Mezzanotte e dintorni, dove agli ospiti chiedeva di mostrare il loro lato meno professionale, con vecchie fotografie di quando erano bambini, ha a lungo insistito affinché mi accomodassi nel suo salottino. Ma nonostante la gentilezza dei suoi inviti, ho sempre declinato. Non già perché fosse sconveniente parlare a notte fonda della canzone preferita nella mia infanzia o del film che ho gradito di più quand’ero adolescente. Semplicemente perché ho sempre pensato che se devo parlare durante una trasmissione radiofonica o in un talk show, l’argomento deve avere attinenza con ciò che faccio. Non sono un cantante, non sono un personaggio dello spettacolo che fa due giri di valzer per far contento il pubblico, sono un giornalista. Le mie opinioni possono piacere oppure no, ma ho l’obbligo di essere serio, di parlare di cose di cui ci si aspetta che io parli. Certo anche io potrei cantare «Astro del virus, siero divin, mite vaccino redentor» e credo che sarei più intonato del Terzetto Covid che mi è toccato ascoltare, ma non mi piace scherzare su certe cose. La pandemia non è argomento da infotainment, nemmeno è questione che si possa liquidare con due strofe e una base musicale. Il Covid è una tragedia che solo in Italia ha fatto quasi 140.000 morti e che, nonostante le rassicurazioni dei canterini in camice bianco, al momento non è ancora risolta. Ma loro, dopo aver detto che «il coronavirus era più simile all’influenza che alla peste bubbonica» (Bassetti), che il Covid «è una malattia che nel 99,5 per cento dei casi non uccide come altre malattie infettive» (sempre Bassetti), che «chi è vaccinato si contagia e contagia debolmente», smentito due giorni dopo dal direttore generale dell’Istituto finlandese per la salute e il benessere oltre che da uno studio di Lancet (Pregliasco), ci cantano sopra. Non mi stupirei se, come le gemelle Kessler, presto si mettessero a ballare il Da-da-umpa, celebrando il cocktail di vaccino invece di quello al gin, nella speranza che il coronavirus «voli via con il super booster», come auspicavano le ballerine tedesche con il jet. Capisco che la trasmissione in cui si sono esibiti storpiando Jingle Bells e annunciando che «vaccinandoti anche tu, il Covid non ci sarà più» (dei veri parolieri), si chiami Un giorno da pecora, ma non è una buona ragione per trattarci come un gregge. Anche perché, dopo averci promesso l’immunità se ci fossimo vaccinati tutti o almeno l’80 o 90 per cento, adesso ci promettono nuove chiusure e altri mesi di didattica a distanza. Va bene che il proverbio recita: «Canta che ti passa», ma le canzoncine in cui si invitano le persone a «mangiare il panettone e fare l’iniezione» fanno pensare che qualcuno abbia abbondato con i cin cin.
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