2025-08-25
Tropico del crimine
Polizia nazionale di Haiti (Ansa)
Dimenticate i Caraibi da cartolina. Oggi le isole tanto amate dai turisti sono un crocevia di droga, armi e tratta di esseri umani. E lì si concentra un terzo degli omicidi mondiali.Il bandito Jimmy «Barbecue» Chérizier controlla di fatto la capitale di Haiti. E si proclama difensore dei poveri.L’esperta Sandra Pellegrini: «La pressione americana sul Messico ha dirottato i flussi in questa regione. La ‘ndrangheta ha un ruolo strategico».Lo speciale contiene tre articoli.Dietro l’immagine da cartolina dei Caraibi si nasconde un processo silenzioso ma implacabile: l’avanzata delle organizzazioni criminali che stanno trasformando le isole in un hub globale di narcotraffico, traffici d’armi e tratta di esseri umani. Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga ed il crimine (Unodc), la regione, che rappresenta appena il 9% della popolazione mondiale, concentra circa un terzo degli omicidi registrati a livello planetario. È un dato che da solo misura la portata di una crisi che sta superando i confini locali per assumere dimensioni geopolitiche. La geografia è il primo alleato dei clan. Le centinaia di isole disseminate tra l’Atlantico e il Mar dei Caraibi, i confini marittimi difficili da controllare, le rotte che collegano Sudamerica, Nordamerica ed Europa: tutto concorre a rendere questa fascia un corridoio perfetto per la cocaina colombiana e venezuelana diretta verso gli Stati Uniti. Secondo le stime di Dialogo Américas, oltre il 14% della droga prodotta in Sudamerica transita oggi attraverso i Caraibi, generando profitti miliardari che rafforzano gruppi locali e cartelli esterni. Non si tratta soltanto di narcotraffico. Il commercio di armi è diventato un moltiplicatore di violenza. Molti arsenali provengono dal contrabbando statunitense, altri dalle scorte residue di guerre civili africane o conflitti centroamericani. Il risultato è che le bande caraibiche, spesso composte da poche centinaia di uomini, dispongono di un potere di fuoco superiore a quello delle forze di polizia. L’Onu avverte che in molte aree le autorità statali si dichiarano «sopraffatte» dalla potenza di fuoco delle organizzazioni criminali, dotate di armi automatiche e lanciarazzi. A peggiorare il quadro, sottolinea il rapporto, è la corruzione diffusa tra funzionari pubblici a ogni livello, che indebolisce ulteriormente la capacità di risposta delle istituzioni.La conseguenza diretta è l’aumento esponenziale degli omicidi. A Saint Lucia il tasso di assassinii ha raggiunto quota 42,8 ogni 100.000 abitanti, superiore a quello di Honduras ed El Salvador, Paesi storicamente associati alla violenza delle maras. Nelle Barbados, considerate per decenni un’isola sicura, il numero di reati violenti è triplicato in dieci anni. In Giamaica, secondo i dati ufficiali del 2024, sono stati registrati oltre 1.500 omicidi, quasi la metà dei quali collegati a conflitti tra bande rivali. Il caso più drammatico resta Haiti, epicentro di un collasso statale che ha assunto le proporzioni di una catastrofe. Port-au-Prince è ormai una città divisa tra gruppi armati. La coalizione di differenti gang, conosciuta come Viv Ansanm (vivere insieme), controlla più dell’80% della capitale, imponendo tasse illegali, sequestri e regolando persino l’accesso agli ospedali. Secondo un rapporto delle Nazioni Unite, dall’inizio del 2025 sono stati uccisi più di 3.100 civili e 1,3 milioni di persone hanno abbandonato le proprie case. L’incendio che ha distrutto il leggendario Hotel Oloffson, icona della cultura haitiana, è diventato il simbolo della caduta di un Paese nelle mani delle gang.La comunità internazionale osserva con crescente preoccupazione. La Comunità Caraibica, riunitasi a Montego Bay, ha definito la violenza ad Haiti «una minaccia esistenziale» per l’intera regione, chiedendo un’azione coordinata sul modello della lotta al terrorismo. Ma gli sforzi di sicurezza sono ancora frammentati. La missione multinazionale guidata dal Kenya, che avrebbe dovuto schierare oltre 2.500 uomini, a oggi ne ha dispiegati meno della metà. Nel frattempo, il vuoto è stato colmato da attori controversi: Erik Prince, ex fondatore della compagnia militare privata Blackwater, ha annunciato un accordo decennale con il governo haitiano attraverso la sua nuova società Vectus Global per inviare centinaia di contractors. Una scelta che ha sollevato critiche per il rischio di trasformare Haiti in un laboratorio di guerra privatizzata. Gli Stati Uniti hanno reagito con misure drastiche. Il Dipartimento di Stato ha inserito gli affiliati a Viv Ansanm nella lista delle organizzazioni terroristiche straniere. Un gran giurì federale ha incriminato Jimmy «Barbecue» Chérizier, ex poliziotto divenuto capo gang, accusandolo di massacri di civili. Su di lui pende una taglia di cinque milioni di dollari. Washington accusa Chérizier di aver ordinato almeno tre stragi tra il 2021 e il 2024 e di gestire una rete di riciclaggio che passa attraverso le rimesse della diaspora haitiana negli Stati Uniti e in Canada. Il quadro umanitario è disastroso. L’appello delle Nazioni Unite per raccogliere 900 milioni di dollari destinati a cibo, acqua e assistenza sanitaria è stato finanziato solo al 9%, uno dei livelli più bassi al mondo. Programmi alimentari segnalano che almeno cinque milioni di haitiani soffrono di insicurezza alimentare acuta. La scarsità di fondi ha già costretto diverse Ong a sospendere le attività di distribuzione, lasciando interi quartieri senza sostegno.Ma Haiti è solo il punto più visibile di una crisi più ampia. In tutta l’area caraibica, la criminalità organizzata si intreccia con la politica e con le fragilità istituzionali. In Trinidad e Tobago, il ministro della Sicurezza nazionale Fitzgerald Hinds ha ammesso che «i confini marittimi sono troppo estesi per essere controllati». A Porto Rico, secondo un’inchiesta dell’Fbi, clan locali collaborano direttamente con i cartelli messicani per la gestione delle spedizioni di droga. In Repubblica Dominicana, il presidente Luis Abinader ha dichiarato che «la stabilità della nazione è minacciata dal narcotraffico che penetra ovunque, anche nelle istituzioni pubbliche». Secondo la Banca Mondiale, la criminalità organizzata costa alla regione fino al 3% del Pil annuo, una cifra che equivale a decine di miliardi di dollari sottratti a investimenti in infrastrutture, scuola e sanità. Il dato più preoccupante riguarda però la percezione della popolazione: un sondaggio condotto nel 2024 ha rivelato che oltre il 60% degli abitanti dei Caraibi non crede più che lo Stato sia in grado di proteggerli. È il segno di un’erosione della legittimità che rischia di consolidare il potere dei clan come alternativa alle istituzioni. La crisi dei Caraibi non è dunque un problema periferico, ma un banco di prova globale. La regione è oggi il crocevia dove convergono le rotte della cocaina sudamericana, del traffico d’armi e della tratta di persone dirette verso Stati Uniti ed Europa. Se non verrà affrontata con risorse adeguate, cooperazione internazionale e strategie di sviluppo inclusivo, il rischio è che l’immagine di paradiso tropicale lasci spazio a un futuro dominato dalla violenza organizzata e dal collasso statale.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/tropico-del-crimine-2673914154.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="da-poliziotto-a-spietato-capo-gang-la-parabola-di-barbecue-cherizier" data-post-id="2673914154" data-published-at="1756110883" data-use-pagination="False"> Da poliziotto a spietato capo gang. La parabola di «Barbecue» Chérizier Il nome di Jimmy «Barbecue» Chérizier è ormai indissolubilmente legato alla crisi haitiana. Ex poliziotto, oggi capo della coalizione criminale Viv Ansanm, Chérizier incarna la trasformazione di un Paese in cui lo Stato ha perso il controllo e la violenza è diventata sistema di governo. La sua parabola, da agente della polizia nazionale a leader delle bande armate di Port-au-Prince, è la storia di un uomo che ha saputo sfruttare il caos per imporsi come arbitro della capitale.Cresciuto nei quartieri poveri della città, ha fatto carriera nella Brigata di intervento speciale, dove si è guadagnato una fama di uomo spietato, tanto che già allora veniva accusato di eccessi e brutalità. Diversi rapporti internazionali lo collegano a massacri in quartieri popolari, spesso a danno di comunità ostili al potere politico. Quando fu allontanato dalla polizia, aveva già costruito una rete che gli permise di passare dalla divisa allo status di capo criminale.Il soprannome «Barbecue», che lui attribuisce alla passione per il cibo alla griglia, evoca invece per molti haitiani le sue azioni violente: corpi carbonizzati, case date alle fiamme, intere comunità ridotte in cenere. Nel 2020 ha fondato la gang G9, alleanza di nove bande che controllano i principali quartieri di Port-au-Prince. Attraverso intimidazione e omicidi mirati, il gruppo ha imposto un dominio territoriale che tocca trasporti, commercio e persino l’accesso agli aiuti umanitari. Oggi è a capo della federazione di gang Viv Ansam, formatasi nel 2023 come coalizione delle due principali fazioni operanti a Port-au-Prince, G-9 e G-Pèp.Nelle sue apparizioni pubbliche, Chérizier indossa mimetiche, circondato da uomini armati, e si proclama rivoluzionario. Dice di voler difendere i poveri dalle élite corrotte, presentandosi come un leader politico più che come un criminale. Ma i fatti parlano chiaro: rapimenti, riscatti, estorsioni e traffici di armi e droga costituiscono l’ossatura del suo potere. Secondo le Nazioni Unite, le bande da lui guidate sono responsabili di migliaia di vittime e decine di migliaia di sfollati interni. La sua ascesa è stata favorita dal vuoto istituzionale seguito all’assassinio del presidente Jovenel Moïse nel luglio 2021. Il governo provvisorio è apparso impotente, mentre la polizia, mal pagata e sotto organico, ha perso il controllo della capitale. In questo contesto Barbecue si è trasformato in una sorta di autorità parallela, capace di bloccare porti, strade e depositi di carburante per esercitare pressioni sui vertici politici. In più occasioni ha imposto condizioni al governo, mostrando di poter paralizzare il Paese.Sul piano internazionale, Chérizier è stato colpito da sanzioni da parte di Stati Uniti e Canada, che gli hanno congelato beni e vietato viaggi. L’Onu lo accusa di gravi violazioni dei diritti umani e ha chiesto misure per arrestarlo. Tuttavia, nonostante condanne e pressioni diplomatiche, continua a muoversi liberamente, protetto dalla fedeltà dei suoi uomini e dal sostegno di chi, nei quartieri più poveri, lo considera un difensore contro l’abbandono dello Stato. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/tropico-del-crimine-2673914154.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="e-un-corridoio-per-la-cocaina-diretta-in-europa" data-post-id="2673914154" data-published-at="1756110883" data-use-pagination="False"> «È un corridoio per la cocaina diretta in Europa» Sandra Pellegrini, analista senior presso Acled, coordina l’analisi dei conflitti in America Latina e nei Caraibi.Quali sono le principali rotte del traffico di cocaina nei Caraibi oggi? «I Caraibi rimangono un hub fondamentale per il traffico di cocaina, con la maggior parte delle spedizioni che provengono dalla Colombia e transitano attraverso il Venezuela prima di raggiungere la regione. Da lì, la droga viene convogliata verso Usa e Europa. Questo corridoio è diventato sempre più importante dal 2010, quando l’intensificarsi della pressione statunitense lungo il Messico e l’America Centrale ha dirottato i flussi verso i Caraibi. I principali porti e aeroporti - Kingston, Caucedo, San Juan, Port of Spain - rimangono nodi centrali, ma i trafficanti si affidano a piccole imbarcazioni per sbarcare i carichi su coste meno sorvegliate. Una volta nei Caraibi, i carichi vengono spesso spostati all’interno dei paesi e da un paese all’altro prima di essere caricati su navi più grandi dirette verso gli Stati Uniti o l’Europa, dove i trafficanti sfruttano sempre più i legami di lunga data tra gli Stati europei e i loro territori d’oltremare. Anche Panama è emersa come punto di transito, con alcune spedizioni che passano attraverso i porti caraibici, come nel caso del sequestro nel 2024 a Santo Domingo di cocaina spedita da Panama e destinata ad Anversa, in Belgio».In quali Paesi la corruzione statale favorisce maggiormente i cartelli? «Sebbene l’Acled non monitori direttamente la corruzione, l’Indice di percezione della corruzione di Transparency International evidenzia punteggi costantemente bassi per Haiti, Repubblica Dominicana, Trinidad e Tobago e Giamaica. Haiti è un caso eclatante: decenni di clientelismo politico e finanziamento diretto delle bande hanno alimentato l’acuta crisi di sicurezza che si sta verificando oggi. In tutta la regione, la collusione tra le forze dell’ordine e le bande facilita l’accesso alle armi e la protezione per le operazioni di traffico. La Giamaica e Trinidad e Tobago sono state oggetto di indagini per reati finanziari legati alla droga, mentre giurisdizioni offshore come le Isole Vergini Britanniche e le Isole Cayman sono sfruttate dai gruppi criminali per il riciclaggio di denaro».Qual è il ruolo della ‘ndrangheta e della mafia albanese? «All’Acled registriamo principalmente episodi di violenza, e le grandi organizzazioni internazionali come la ‘ndrangheta o la mafia albanese evitano generalmente la violenza aperta per proteggere le loro operazioni. La loro attività non è direttamente visibile nei nostri dati, ma la loro influenza è significativa. Il loro ruolo può essere inteso sia logistico che strategico. Sul fronte logistico, essi fanno ampio ricorso a bande locali che subappaltano per facilitare i trasferimenti, riducendo al minimo l’esposizione. Allo stesso tempo, la ‘ndrangheta in particolare è fondamentale per il finanziamento di grandi spedizioni, la definizione della domanda transatlantica e l’indirizzamento delle destinazioni finali in Europa. Le richieste rivolte a questi gruppi, e agli attori transnazionali in generale, contribuiscono ai flussi e aggravano la concorrenza tra i gruppi locali. La presenza della ‘ndrangheta è meglio documentata, in particolare nella Repubblica Dominicana, a Curaçao, a Sint Maarten e in Guyana. La mafia albanese, sebbene meno visibile nei Caraibi, è stata segnalata nella Repubblica Dominicana e mantiene una forte presenza in Colombia, dove è prodotta la cocaina».La presenza delle mafie europee influisce solo sui flussi di traffico o anche sulla violenza interna nei Caraibi? «L’attività delle mafie europee, così come quella di altri gruppi transnazionali dediti al traffico, quali i gruppi colombiani, i cartelli messicani e il Tren de Aragua venezuelano a Trinidad e Tobago, ha un impatto sulle tendenze della violenza nei Caraibi. I Paesi e i territori in cui Acled monitora la violenza delle bande, come Giamaica, Trinidad e Tobago, Haiti e Porto Rico, hanno tutti registrato un aumento dei livelli di violenza negli ultimi anni. Altrove, dove Acled non monitora la violenza delle bande, i tassi di omicidio sono aumentati in diversi Paesi. La loro attività ha ampliato il mercato locale della droga e ha aperto nuove opportunità alle bande caraibiche che si sono posizionate come affiliate a contratto di questi gruppi transnazionali. A sua volta, l’espansione dei mercati criminali locali ha contribuito a un’escalation delle lotte di potere interne tra le bande che competono per il controllo dei corridoi di contrabbando e delle quote di mercato, portando alla frammentazione del panorama delle bande locali. Parallelamente, un aumento dell’afflusso di armi, contrabbandate principalmente dagli Stati Uniti e, più recentemente, dal Venezuela a Trinidad e Tobago, ha ulteriormente esacerbato questi conflitti».
Alessandro Benetton (Imagoeconomica)