2020-11-14
Tris di decreti ristori, ma il piatto piange
Nella più totale vaghezza, l'esecutivo prepara l'ennesima misura per sostenere partite Iva e attività schiacciate dalle chiusure. Va sciolto il nodo risorse (Nunzia Catalfo ha parlato di scostamento di bilancio), ma soprattutto non c'è ancora traccia della finanziaria. Per non ristorare, per ristorare pochissimo, o comunque per non ristorare quanto sarebbe necessario, si prepara già un terzo provvedimento: dopo il decreto ristori, il decreto ristori bis, e adesso anche un annunciato decreto ristori ter. Ma procediamo con ordine, privilegiando l'annuncio di ieri del ministro del Lavoro Nunzia Catalfo (che fa seguito agli accenni della collega di partito che sta al Mef, il viceministro grillino Laura Castelli): «Vedremo l'andamento dei contagi. In ogni caso, il governo è pronto a stanziare altre risorse per eventuali nuovi ristori anche con un “ristori ter" o eventualmente anche con un nuovo scostamento di bilancio». E ancora, nella vaghezza: «Tutti saranno aiutati, in questo momento difficile per il Paese». Secondo le anticipazioni, questa terza tranche dovrebbe prevedere interventi (quali e di che entità, non è dato saperlo) non solo per chi sia rimasto vittima della confusione sui codici Ateco, ma anche per i professionisti e per quelle imprese che, pur rimanendo tecnicamente aperte, abbiano subito una consistente diminuzione del fatturato. Sta di fatto che, a meno di sorprese maturate nella notte, ieri il governo non ha varato il provvedimento. E, nel caos generale, quando siamo ancora all'inizio di un lunghissimo inverno, esistono almeno tre problemi. Il primo ha a che fare con le risorse. Come la stessa Catalfo ha ammesso, è quasi scontata la necessità di un nuovo scostamento di bilancio (voci interne al quadripartito giallorosso parlano di altri 20 miliardi). Il che richiede però un passaggio parlamentare tutt'altro che scontato (serve la maggioranza assoluta in entrambi i rami del Parlamento), e implica anche la necessità di un confronto con l'opposizione, che difficilmente potrà dare semaforo verde a scatola chiusa, se ancora una volta le sue richieste saranno ignorate. Il secondo problema ha a che fare con il rapporto con gli altri due decreti ristori. Può darsi che nel cammino parlamentare gli interventi successivi siano inglobati come emendamenti rispetto ai decreti precedenti, ma tutto è ancora avvolto nella nebbia. Un'alternativa tecnica potrebbe essere abbinare nel modo descritto (decreto iniziale più emendamento) i primi due decreti, e invece di trasformare il decreto ristori ter, quando verrà varato, nell'equivalente del decretone fiscale che ogni anno viaggia in parallelo con la legge di bilancio. E questa sembra l'ipotesi preferita dal governo: una specie di doppia manovra, una fatta con i decreti ristori e l'altra con la legge di bilancio propriamente detta (basata sui contenuti già noti: bonus da 100 euro, decontribuzione al Sud, assegno unico ma con risorse aggiuntive limitatissime).E proprio qui arriva il terzo problema: che fine ha fatto la finanziaria? In teoria, come si sa, avrebbe dovuto essere presentata in Parlamento verso metà ottobre. E invece per quella data è stato solo inviato uno schema di massima a Bruxelles. Mentre del resto si sono sostanzialmente perse le tracce, dando ancora una volta la sensazione di una mancanza di visione complessiva. Si procede a tappe e per toppe, senza nessuna idea convincente né per salvare il tessuto imprenditoriale né per progettare la ripresa nel 2021 con un intelligente mix di tagli di tasse (inesistenti) e investimenti (appesi a loro volta alle incognite, alle lungaggini e alle condizionalità di un Recovery Fund che scivolerà sempre più avanti, verso l'ultima parte del prossimo anno). Anche sul piano parlamentare, tutto fa pensare a una corsa affannosa sotto Natale, con il solito meccanismo del maxiemendamento fatto approvare sotto la frusta del voto di fiducia: altro che dialogo con l'opposizione e manovra da scrivere insieme, insomma. Così, restano due questioni, una più generale e l'altra più immediata e bruciante. La prima ripercorre pari pari gli errori della scorsa primavera: previsioni inadeguate sugli stanziamenti, e poi, quando invece (nell'arco di tre provvedimenti) si sono messi sul tavolo 100 miliardi, lo si è fatto a spizzichi e bocconi, disperdendo tutto in una pioggerellina di bonus e provvidenze, senza impatto percepibile per l'economia reale. Anche stavolta si rischia la stessa sorte: quando invece occorrerebbe non solo aumentare il dosaggio (questo giornale chiede da un mese uno stanziamento complessivo di altri 100 miliardi dopo quelli usati malissimo lo scorso semestre), ma prevedere un utilizzo mirato e focalizzato (specie attraverso tagli di tasse robusti) alla ripresa. Il secondo tema, di immediata urgenza, riguarda la scadenza Iva di dopodomani, 16 novembre, ancora avvolta nella nebbia. Sono state disposte alcune sospensioni, diversificate e relative alle zone rosse e arancioni (a proposito, che succede se la zona di un contribuente cambia in queste ore ma l'interessato ha già dato ordine di pagamento attraverso il suo professionista?), e però resta l'enorme questione - che la maggioranza finge di non vedere - di un enorme numero di imprese e partite Iva che, pur non avendo subito restrizioni formali in questa seconda fase, non hanno comunque la liquidità per pagare, per varie ragioni legate alle oggettive difficoltà di questo periodo. Il rischio è che alcune centinaia di migliaia o addirittura milioni di contribuenti entrino nel 2021 con poderosi arretrati del 2020 e con la beffa di maggiorazioni e sanzioni. Altro che ripresa: si prepara un mix di rabbia e cicatrici economiche semipermanenti.