2019-08-20
Tria tesse in silenzio la sua tela per entrare nel futuro esecutivo
Dopo il vertice con Luigi Di Maio, le voci sulle mire del ministro gradito al Colle e ai cinesi.In queste ore roventi, c'è chi combatte in prima linea la sua battaglia politica (da Matteo Salvini a Luigi Di Maio, passando per Giuseppe Conte), e c'è chi invece resta nelle retrovie, cioè al suo tavolo di lavoro ministeriale. Si tratta del titolare dell'Economia Giovanni Tria, attorno al cui silenzio e alla cui cautela sono nate molte leggende e due distinte scuole di pensiero. C'è chi - sostenitore del Professore - lo descrive come impegnato a evitare il peggio, a predisporre scenari e ipotesi sia per una manovra light (di pura sterilizzazione delle clausole di salvaguardia e di disinnesco del temuto aumento Iva) sia per una manovra piena, nel caso (remoto) in cui questo governo fosse ancora in carica in autunno. Insomma, il ritratto di un fedele e serio servitore dello Stato che, fino all'ultimo giorno, ha un'unica bussola: il proprio dovere. C'è però una seconda scuola di pensiero, meno incline alle spiegazioni da Libro Cuore, e che, pur senza malizia o pregiudizi negativi, descrive Tria come tessitore di una tela politica astuta. Per un verso, il titolare del Mef può contare su un rapporto solido con il Quirinale (è considerato come uno dei ministri in filo diretto con il Colle, per quanto - paradossalmente - la sua designazione nacque a suo tempo da un'idea di Paolo Savona recepita dalla Lega, dopo il veto che colpì il possibile arrivo di Savona al Mef). Per altro verso, Tria coltiva il rapporto con i commissari europei uscenti, a partire dal francese Pierre Moscovici. Per altro verso ancora, è notoriamente su posizioni filo cinesi, o comunque di forte attenzione a Pechino: e tutti sanno quanto la mano cinese (più o meno visibilmente) sia oggi impegnata in Italia, non solo per il Memorandum incautamente siglato dal governo (che tanto ha irritato Washington), ma anche per estendere quell'influenza politica che Pechino già vanta sulla sinistra spagnola e su quella portoghese, e complessivamente sull'area euromediterranea. Questa seconda scuola di pensiero fa presente l'incontro di quarantott'ore fa fra Di Maio e Tria: ufficialmente, il leader grillino voleva solo avere una descrizione del quadro dei conti pubblici italiani. Ma dall'altro ieri si inseguono voci ben più impegnative: o su un Tria premier di un nuovo esecutivo, o quanto meno - opzione non meno gradita all'interessato - su un Tria confermato al Mef anche in un diverso schema politico e di governo. Certo, ci sono almeno due paradossi. Il primo è che Tria, come accademico, non ha mai nascosto di ritenere che l'Iva potesse e possa anche aumentare: il Professore ha più volte sostenuto - a voce e per iscritto - la tesi, cara ad alcune istituzioni internazionali, dello spostamento della tassazione «dalle persone alle cose». Ora sarebbe lui la persona politicamente più adatta a gestire un obiettivo principale di segno diametralmente opposto, e cioè un impegno strenuo per il disinnesco dell'aumento Iva? Secondo paradosso. Dopo mesi in cui altri agitavano taniche di benzina e fiammiferi, alimentando le fiamme dello spread e le tensioni sui mercati (in primo luogo i commissari europei, abituati a sparare sull'Italia, e solo sull'Italia, a palle incatenate), ieri incredibilmente è stato Giuseppe Conte, a Borse aperte, nel pieno dell'Aula del Senato, a pronunciare parole incaute, evocando testualmente una crisi (di cui Conte attribuisce la responsabilità a Salvini) «suscettibile di far precipitare il Paese in una vorticosa spirale di incertezza finanziaria». Parole curiose, degne di un Moscovici o di un Dombrovskis. Con un esito politicamente stravagante: sarebbe un ben strano finale di partita se proprio i tecnici più graditi al Colle, se proprio coloro che, stando alla vulgata dei giornali mainstream, dovrebbero raffreddare il clima, agissero invece nei giorni pari da piromani (Conte) e si ripresentassero nei giorni dispari come pompieri (Tria).
Matteo Salvini e Giorgia Meloni (Ansa)
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