2021-05-17
Giulio Tremonti: «Il Recovery? Ricorda i piani di Stalin»
L'ex ministro: «Più che a Marshall, fa pensare all'Urss. Prevale la logica del superdebito, troppi interventi, scritti male, con 48 riforme entro il 2024: utopia. E alla fine si prevede una crescita del pil solo dell'1,4 per cento».«Gli eurobond li ho proposti da ministro dell'Economia prima di tutti nel 2003 e poi addirittura nel 2010 assieme a Jean-Claude Juncker, allora alla guida dell'Eurogruppo, con un articolo a quattro mani pubblicato nel 2010 sul Financial Times. “Gli eurobond metteranno fine alla crisi": ricordo ancora il titolo. Non li proponevamo per necessità - come oggi a causa del coronavirus - ma perché avevamo una visione. Una strategia. Oggi, in ritardo, l'Europa prova a mettersi dal lato giusto della storia». Il professor Giulio Tremonti accetta di parlare di Recovery rlan, di Europa e di geopolitica. E pesa ogni dettaglio: «Mai trascurare che il diavolo sta nei dettagli e nella Ue ci sono più dettagli che diavoli, ma possono essere altrettanto nocivi. Gliene dico uno: Germania e Francia hanno presentato i loro piani insieme e prima dell'Italia. Il conseguente incidente diplomatico è stato superato con la presentazione successiva a quattro con l'Italia affiancata dalla Spagna». Confesso la mia ignoranza, professore. Dove starebbe l'incidente diplomatico? Quali dettagli diabolici?«Èstato un modo per indicare a tutti che l'Italia non è alla pari con Francia e Germania».Ma siamo pur sempre un Paese fondatore…«L'Europa che conosciamo è espressione di una unione indissolubile. Celebrata con il trattato dell'Eliseo fra Konrad Adenauer e Charles De Gaulle. Una potenza “economica", la Germania, con una “atomica", la Francia. Potranno avvenire cambiamenti nel prossimo futuro. Ad autunno in Germania la Cdu potrebbe arretrare. E in Francia nel 2022 potrebbe vincere Marine Le Pen. Ma quell'asse non si romperà. Potrà mutare nella forma.Ma rimarrà intatto».Come giudica il Recovery plan?«Circa 240 miliardi per più di 240 pagine. Più o meno un miliardo a pagina; soprattutto a debito».Non va bene?«I piani presentati in Europa li ho letti più o meno tutti. La quasi totalità ha due caratteristiche essenziali. Sono concentrati - solo o quasi - sui trasferimenti a fondo perduto e non sul debito. Inoltre, sono focalizzati soprattutto sul verde e sul digitale. Fanno eccezione i piani di Italia e Grecia. In questi si prevede un pieno utilizzo della parte a debito con una ipertrofica estensione degli obiettivi. Si parla anche di geografia e demografia; si va dalle infrastrutture per la mobilità, alle politiche di coesione e inclusione nel mercato del lavoro. Per dirla alla D'Azeglio, questo piano avrebbe l'ambizione di rifare gli italiani e l'Italia. Ma D'Azeglio alla figlia Alessandrina scriveva di non spendere soldi che non si hanno».Per citare l'espressione sarcastica con cui De Gaulle gelava i piani pretenziosi: vaste programme…«Nella sostanza è un piano quinquennale. Copyright Stalin. Che però non si sognava di scrivere che i risultati economici dipendono dall'azione del Soviet. I risultati ottenuti erano il frutto degli eroici sforzi della classe operaia. Se qualcosa andava storto, la colpa era del maltempo. C'era meno retorica. Qui c'è all'opposto tanta propaganda. Il governo al centro di tutto. Svuotando il Parlamento delle sue prerogative per attribuirle a organi tecnocratici al centro».«Si parla di riforme…«Sì, 48 riforme da fare entro il 2024 di cui 9 entro giugno 2021. Per non parlare della tipologia: orizzontali, abilitanti, settoriali e di accompagnamento, da svilupparsi su linee verticali, lineari, trasversali e circolari. Uso il linguaggio del piano. In pratica un disegno cubista. Poi c'è la parte la parte più noiosa».Ovvero?«Scriva e conti: “empowerment, once-only, cloud-first, flagship, big-data, soft-skill, stakeholder, backhand, benchmarking, outcome-based performance, target, partnership, learning communities, track-record…».Prof, aiuto…«Se la parola d'ordine era non usare l'inglese, il primo a disobbedire è stato il governo. Ma c'è di peggio».Cioè? «Il tasso di crescita finale del Pil potenziale è previsto in misura pari all'1,4%. Se dopo tutta questa palingenesi pianificatoria te ne esci con un modesto +1,4%, vuol dire che il primo a non credere nel piano è il governo stesso. Delle due l'una: se la previsione è realistica, allora è il piano è surrealistico».Le critiche sono finite?«Un piano di questa rilevanza dovrebbe avere prima il consenso del Paese e solo dopo quello dell'Europa. Non viceversa come si fa ora. Per non parlare dell'enfasi sul cronoprogramma. Il Guardasigilli della Repubblica non può dichiarare che “senza riforma della giustizia non avremo i soldi del Recovery fund". Primo: i soldi del Recovery non sono soldi europei, ma debito nostro. E poi queste sono inaccettabili dichiarazioni di sottomissione che inducono a odiare l'Europa. Non è questione di sovranismo. Ma di sovranità. L'Europa è una comunità di stati sovrani».Ma questo piano è realizzabile?«Il vero rischio è l'habitat giuridico. Infestato da burocrazia paralizzante in parte prodotta dall'eccesso di legislazione. E qui la responsabilità è della politica. Lo dico sempre ai miei collaboratori. Estrai a sorte un ministro e un articolo dell'ultimo decreto legge pubblicato in Gazzetta. Fattelo spiegare dal malcapitato esponente del governo. Non ci riuscirà. Perché mai quella norma dovrebbe comprenderla una partita Iva?».L'elogio della semplicità…«Non tutto ciò che è semplice è bello, ma tutto ciò che è bello è semplice».Vuol forse dirmi che la legge Tremonti era bella?«La sfido. Legga quella legge e poi mi dica se non capisce ciò che vi è scritto. Chiunque la capiva. E in tantissimi ne hanno usufruito. Di sicuro era semplice».Sostegni, ristori e bonus vari non lo sono?«Hanno un vizio genetico: sono norme complicate. Si parte da parametro iniziale e si prevede la correzione a fine anno. Generano, anzi aggiungono, incertezza a quella che già c'è. Per questo la loro efficacia è limitata. Più che un difetto potrebbe essere un'astuzia. Messa apposta per non far funzionare quelle norme».Le nuove norme potrebbero essere diverse, però.«Aggiungere una burocrazia nuova che potrebbe funzionare (ma anche no) a una che non funziona, più che migliorare il sistema lo rende ancor più complicato. Un doppio Stato. Il bello è semplice, se lo ricordi…».Il debito comune europeo, come lei diceva, è però un passo avanti.«Nella nostra impostazione originaria, di cui parlavo all'inizio, gli eurobond rispondevano a un obiettivo geopolitico e geostrategico. Che oggi manca. Quel progetto però non è decollato fondamentalmente per due motivi».Il primo?«Proprio di natura geopolitica. Inizialmente avevamo il G7, che rappresentava più o meno 700 milioni di persone e si basava su tre codici: la democrazia occidentale, la lingua inglese e il dollaro. Poi è arrivato il G20, dove nessuno di questi codici è presente, e che rappresenta quasi cinque miliardi di persone. Gli Usa continuano a esercitare anche nel G20 la propria leadership mondiale. Mentre l'Europa nel complesso è diluita e compromessa. Senza questo slancio, il progetto non poteva prendere forza allora. Ed è ancora più difficile che possa prendere quota oggi».Il secondo motivo?«Il progetto aveva presupposti precisi. Immagini una torre. In alto la serietà dei bilanci, da non confondere con l'austerità. Alla base la solidarietà verso i Paesi membri. Nel mezzo il Fondo europeo di solidarietà. Ma Angela Merkel e Nicolas Sarkozy (di nuovo l'asse tra Francia e Germania) stabilirono che gli Stati potevano fallire. E questo aprì la strada ai successivi disastri».A proposito di disastri, dopo la grande crisi finanziaria del 2008 lei disse che la fortuna delle banche italiane è che non parlano inglese. Ancora convinto di questa affermazione, o le banche italiane stanno peggio di allora?«Pensare che la pandemia non deteriori la qualità del credito è impossibile. E questo è un problema non solo italiano. Ma ora come allora, quella mia battuta conserva - se posso - la sua validità. Non parlare inglese significa non avere derivati, titoli tossici, subprime o prodotti non valutabili ma potenzialmente devastanti a bilancio. Le banche italiane non li hanno, o comunque li hanno in misura incomparabilmente inferiore alle banche francesi e tedesche. Nel Nord Europa non hanno il nostro risparmio».In conclusione, ottimista o pessimista?«Bisogna essere seri. Siamo in mezzo al disordine globale. Il Pacifico non è pacifico. Il Mediterraneo è una polveriera. Il prezzo delle materie prima sta iperbolicamente crescendo. L'inflazione può superare stabilmente il 2%. Il “fiat money" (la politica dei soldi facili, ndr) non potrà durare all'infinito».Però qui l'asse Parigi-Berlino potrebbe spezzarsi. Anche la Francia ha bisogno del quantitative easing.«L'alleanza è indistruttibile. Nessuno si faccia illusioni. E per l'Italia non vi saranno vantaggi inaspettati. Se la situazione peggiora, ci aspettano correzioni imposte dall'alto».
Eugenia Roccella (Getty Images)
Carlotta Vagnoli (Getty Images)