2023-03-08
Tre anni fa Conte ci rinchiuse in casa tentando di coprire la sua incapacità
L’8 marzo 2020 il premier grillino e Roberto Speranza iniziarono a imporre divieti calpestando la Costituzione con la scusa della guerra al virus. In realtà sarebbe bastato permettere le cure e le autopsie allora proibite.Tre anni fa, l’8 marzo 2020, un signore mai eletto da nessuno, alla guida del governo più trasformista della storia della Repubblica e affiancato da un ministro della Salute totalmente sprovveduto, che aveva ottenuto quel posto solo per l’ansia del Pd di coprirsi le spalle a sinistra, privava con un decreto amministrativo gli italiani di una parte consistente delle libertà sancite dalla Costituzione. Con il lockdown prima della Lombardia, poi di tutto il Paese, cominciava la folle stagione delle restrizioni ad minchiam, quelle che con un moto di involontaria sincerità il consulente di Roberto Speranza, Walter Ricciardi, si lasciò sfuggire essere «misure di cieca disperazione». Del tutto impreparati all’impatto con il Covid malgrado gli avvertimenti ricevuti, e palesemente inetti, come emerge con chiarezza in questi giorni dalle carte dell’inchiesta di Bergamo, Giuseppe Conte e la sua banda non trovarono infatti di meglio che scimmiottare la dittatura cinese e rinchiudere in casa gli italiani a contagiarsi tra di loro. Sì, perché se un qualche senso possono avere le chiusure, esso è strettamente connesso alla tempestività con cui vengono attuate e i nostri prodi erano abbondantemente fuori tempo massimo, dato che il virus circolava nel Nord Italia da settimane, se non addirittura da mesi.Comunque, tra errori di comunicazione grotteschi (ricordate la grande fuga notturna da Milano verso il Mezzogiorno?) e quotidiani, stentorei proclami in tv («Non consentiamo di fare questo, consentiamo di fare quello») i cittadini si ritrovarono agli arresti domiciliari, in molti casi privati della possibilità di guadagnarsi il pane, sempre impediti nelle loro attività più normali. E, va detto, si lasciarono imprigionare docilmente, terrorizzati a puntino da un sistema mediatico che in questo frangente ha dato il peggio di sé, creando la figura del Virologo, infallibile anche se diceva tutto e il suo contrario, aderendo entusiasticamente ai diktat più assurdi e anzi attaccando con violenza inaudita chiunque non vi si uniformasse. Ecco dunque la caccia con droni ed elicotteri a chi passeggiava da solo su una spiaggia deserta. La riprovazione per chi usciva troppo spesso a far fare i bisogni al cane. La paura nei confronti dei propri vicini, il sospetto, le famiglie spaccate. I ragazzi privati della scuola, delle attività sportive, del contatto con i compagni. Gli anziani e i malati abbandonati, i funerali negati, le messe proibite.E poi il delirio intermittente delle mascherine. Prima, poiché ne eravamo colpevolmente sprovvisti, bollate come inutili anche in ambienti chiusi. Poi, quando il valzer degli affari era ben avviato, necessarie, anzi obbligatorie persino all’aperto, a strozzare in gola anche quella rara boccata d’aria che si riusciva a conquistare. E il coprifuoco? E il fatto che ci si potesse allontanare da casa solo per un numero stabilito di metri e solo per correre? E le autocertificazioni? Qualcuno forse si è scordato che ci sono stati periodi in cui misteriosamente si poteva andare al ristorante a mezzogiorno e non alla sera. E al bar solo fino alle 18. Che al supermercato si potevano acquistare certi prodotti ma altri (come le pericolosissime penne e gli eversivi quaderni) erano proibiti. Che c’era chi controllava le borse della spesa per scoprire se eri uscito di casa per autentica necessità o per qualche ingiustificabile capriccio, tipo sgranchirti le gambe. E che le regole per i treni ad alta velocità erano diverse da quelle per i convogli regionali o per le metropolitane. «Consentiamo, non consentiamo». Così, a capocchia, in un’orgia di dpcm (decreti del presidente del Consiglio) sparati a raffica per regolare ogni più piccola attività quotidiana. Con gli amministratori locali a inseguire: multe a gente che leggeva il giornale su una panchina, multe a chi sostava in una piazza, multe a chi non rispettava i sensi unici pedonali (!?!?). In quel devastante 2020 sono stati calpestati la Costituzione, i malati di qualunque patologia non fosse Covid, l’economia di un Paese, gli affetti, le relazioni sociali. Si sono create le premesse per gravi (e prolungate nel tempo) conseguenze sulla salute fisica e psichica di milioni di persone. Tutto per «sconfiggere il virus». Peccato che non solo, come ovvio, non ci siano riusciti. Ma che l’Italia alla fine di quell’anno fosse una della nazioni con i peggiori risultati mondiali per mortalità da Covid. Sacrifici assurdi per risultati tragici. Un capolavoro, Mr Pochette. «Ma c’erano gli ospedali pieni, non si poteva fare diversamente», ti dicono ancora oggi. Non è vero. Si poteva eccome. Solo che ci sarebbero voluti un premier e un ministro della Salute. Invece noi avevamo un avvocato vanesio e un grigio burocrate di formazione comunista al cui orecchio sussurrava un fan delle politiche di Pechino. Malgrado la conclamata impreparazione specifica e il più generale dissesto della sanità pubblica frutto di tagli decennali, si potevano evitare inutili vessazioni alla popolazione curando i malati. Sì, facendo fare ai medici i medici. Si dovevano incoraggiare le autopsie, anziché sostanzialmente proibirle come ha fatto Speranza. Si sarebbe così scoperto subito che il virus provocava infiammazioni. E che quindi con gli antinfiammatori si ottenevano eccellenti risultati, come in effetti qualche coraggioso medico ha fatto. Nel 2022 un imponente studio dell’Istituto Mario Negri ha stabilito che, utilizzando in maniera massiccia e precoce gli antinfiammatori non steroidei, si sarebbero ridotte del 90 per cento (ripeto: 90 per cento!) le ospedalizzazioni dei malati di Covid. Però il nostro genio della Sanità, oltre alle autopsie, vietava anche le cure: «Non esistono», diceva, con tutti gli esperti da salotto tv a fargli da corifei. «L’unico protocollo è paracetamolo (in realtà dannoso, ndr) e vigile attesa». Sì, attesa che le condizioni si aggravassero e il paziente venisse portato al pronto soccorso, visto che ai medici di base era stato consigliato di non visitarli per non infettarsi e di dirottarli negli ospedali. I quali, guarda un po’, risultavano poi intasati e quindi «bisognava» fare i lockdown: «Chiudiamo ora per salvare la Pasqua, chiudiamo a Pasqua per salvare l’estate, chiudiamo in autunno per salvare il Natale, chiudiamo a Natale per…». Tutto fermo, tutto impossibile in attesa del vaccino. Che alla fine arrivò e, guarda caso, proprio il giorno di Natale. E non in aereo come ci si sarebbe aspettati. No, in un furgone, valicando il Brennero e percorrendo l’Italia giù giù fino a Roma sotto gli occhi delle telecamere che portavano nelle case l’apparizione del novello Messia. Dopo la sfilata delle bare a Bergamo per terrorizzare, ecco l’immagine salvifica. Una regia perfetta. Che tuttavia non bastò: già tramontava la stella del Conte e sorgeva quella del Draghi. Macchiata però dal peccato originale chiamato Speranza. E infatti, dopo qualche segnale promettente (la cacciata del supercommissario Domenico Arcuri), il nuovo governo mostrò la stessa faccia, ottusa e autoritaria. Si apriva la stagione degli obblighi e del green pass. Ma questa storia la racconteremo più avanti.
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