2024-03-16
Il Trattato del Quirinale ci incatena alle smanie del bulletto francese
Sergio Mattarella (Imagoeconomica)
Il patto voluto da Emmanuel Macron e Sergio Mattarella si sta rivelando privo di qualunque beneficio. In più, ora che l’Eliseo ha ambizioni belliche, il gioco diventa anche pericoloso. Il testo, infatti, ci vincola a sostenere l’alleato.Ci duole dire, l’avevamo detto. È sempre una frase che suona male, anche quando è vera. Nel caso del Trattato del Quirinale, le remore che questo giornale ha espresso a partire da gennaio del 2021 (ben prima che l’accordo venisse siglato dal governo Draghi sotto l’egida del presidente Sergio Mattarella) si sono sistematicamente dimostrate vere. Per almeno tre motivi. Primo. Nel gioco delle parti, la Francia ha molto più forza dell’Italia e quindi l’ago della bilancia tende verso Parigi: vale per le politiche industriali, quelle militari e migratorie. Secondo aspetto, aver inserito un trattato bilaterale dentro uno schema per natura multilaterale come quello europeo facilita ancor di più chi è in grado di esercitare più forza. Anche in questo caso il beneficio ricade sulla Francia. Infine, terzo aspetto, le due Repubbliche sono ben diverse. Noi siamo un Parlamento con un esecutivo più forte e un Colle che fa da garante della Costituzione e, negli ultimi anni, delle cancellerie Ue. Parigi ha un sistema presidenziale. Quindi tutti gli incontri bilaterali sono sbilanciati. I nostri ministri decidono molto di più di quanto possano decidere i parigrado francesi. Il che lascia comunque sempre a Emmanuel Macron l’ultima parola. Più che il sospetto, quindi, abbiamo la certezza che fino ad ora il Trattato sia servito più ai francesi per conoscere l’Italia e per approfittare delle nostre debolezze per fare business e shopping a nostro scapito. Basti pensare la posizione su Ita e l’ostruzionismo che Parigi sta portando avanti. Le mosse di Bruno Le Maire, ministro dell’Economia d’Oltralpe, per perorare l’Unione bancaria sono palesemente a discapito del nostro sistema del credito e della raccolta del risparmio. Il rischio è che ora possa esserci un salto di livello.Fatta questa lunga premessa, infatti, veniamo al tema Ucraina e alla posizioni di Macron in tema di interventismo. L’altro ieri in occasione di una intervista sul canale France 2, alla domanda sul possibile invio di truppe francesi a Kiev, il presidente ha risposto: «Non siamo sicuri di farlo. Al momento non ci troviamo in questa situazione, ma non escludiamo questa opzione». Per poi sottolineare che «non siamo in guerra con la Russia, ma non dobbiamo lasciarla vincere». A stretto giro di posta gli ha risposto il nostro ministro degli Esteri, Antonio Tajani. «Escludo» l’invio di truppe in Ucraina, «perché noi vogliamo la pace, vogliamo che ci sia una trattativa, ma non vogliamo fare la guerra alla Russia. Lo ha ribadito anche il mio collega della Difesa, non ci pensiamo neanche a mandare le truppe a combattere». A sostegno della posizione del governo sono arrivate anche le parole di Sergio Mattarella. «La nostra Costituzione ci chiede», ha detto in visita a Cassino per l’anniversario della distruzione della città, «e questo resta il ruolo dell’Italia, di costruire ponti di dialogo, di collaborazione con le altre nazioni, nel rispetto di ciascun popolo» perché «la guerra non sa arrestarsi sulla soglia della barbarie». Per essere ancora più chiaro ha aggiunto una postilla sull’Europa che deve assumersi «un ruolo permanente nella costruzione di una pace fondata sulla dignità e sulla libertà». Insomma, governo e Colle coperti e allineati, come si dice in gergo. Peccato che esista il Trattato del Quirinale, e che diversi commi dell’articolo 2 e 3 debbano essere valutati a fondo. «Nel quadro degli sforzi comuni volti al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, e in coerenza con gli obiettivi delle organizzazioni internazionali cui esse partecipano e con l’Iniziativa europea d’Intervento, le parti (Italia e Francia, ndr) s’impegnano a promuovere le cooperazioni e gli scambi sia tra le proprie forze armate, sia sui materiali di difesa e sulle attrezzature», recita il testo che esplicita anche l’impegno delle parti a «contribuire alle missioni internazionali di gestione delle crisi coordinando i loro sforzi». Per carità se Macron facesse il passo più lungo della gamba, potremmo sempre dire che le clausole Nato e quelle dei trattati Ue non sono rispettate. Non saremmo di fronte all’ipotesi di difendere il territorio francese, ma soldati francesi o legionari in territorio ucraino e quindi extra Nato ed extra Ue. Va però ricordato che secondo il trattato del Quirinale, l’Italia dovrebbe dare sostegno logistico ai cugini d’Oltralpe. La domanda è quando negarlo? Da subito? O quando la situazione si fa bollente? Non solo. Immaginiamo che un plotone francese si trovi circondato dai russi ai confini Sud dell’Ucraina e necessitasse di supporto aereo. A chi chiederebbero aiuto? I caccia più vicini sono i nostri Eurofighter di stanza in Romania. Intervenire sarebbe incendiario. Ma anche rifiutare significherebbe avviare una crisi diplomatica con Parigi senza precedenti. La realtà dei fatti è che ogni decisione in ambito europeo dovrebbe essere concordata prima tra le parti (Italia e Francia) e poi diventare tema di discussione Ue. Per l’ennesima volta il Trattato è politicamente disatteso. Eppure non c’è verso di riscriverne le parti salienti. O meglio. Le diatribe, stando sempre agli articoli del testo, andrebbero risolte in modo amichevole. E per interromperlo bisognerebbe dare disdetta con 12 mesi d’anticipo. Difficile che avvenga con l’attuale presidente della Repubblica. E quindi ci resta sempre una lunga lista di interrogativi. Se il Trattato non ci agevola in nulla e può persino farci cadere dalla pentola alla brace, perché è stato firmato? Perché lo si è fatto in pochi mesi chiedendo al Parlamento di ratificare in fretta un testa che prevede esplicitamente una durata indeterminata per sopravvivere ai vari governi eletti? Ricordiamo che a luglio del 2022 l’unico partito ad aver votato «no» è stato Fratelli d’Italia. Ora Giorgia Meloni se lo ritrova tra i piedi.
Sehrii Kuznietsov (Getty Images)
13 agosto 2025: un F-35 italiano (a sinistra) affianca un Su-27 russo nei cieli del Baltico (Aeronautica Militare)
La mattina del 13 agosto due cacciabombardieri F-35 «Lightning II» dell’Aeronautica Militare italiana erano decollati dalla base di Amari, in Estonia, per attività addestrativa. Durante il volo i piloti italiani hanno ricevuto l’ordine di «scramble» per intercettare velivoli non identificati nello spazio aereo internazionale sotto il controllo della Nato. Intervenuti immediatamente, i due aerei italiani hanno raggiunto i jet russi, due Sukhoi (un Su-27 ed un Su-24), per esercitare l’azione di deterrenza. Per la prima volta dal loro schieramento, le forze aeree italiane hanno risposto ad un allarme del centro di coordinamento Nato CAOC (Combined Air Operations Centre) di Uadem in Germania. Un mese più tardi il segretario della Nato Mark Rutte, anche in seguito all’azione di droni russi in territorio polacco del 10 settembre, ha annunciato l’avvio dell’operazione «Eastern Sentry» (Sentinella dell’Est) per la difesa dello spazio aereo di tutto il fianco orientale dei Paesi europei aderenti all’Alleanza Atlantica di cui l’Aeronautica Militare sarà probabilmente parte attiva.
L’Aeronautica Militare Italiana è da tempo impegnata all’interno della Baltic Air Policing a difesa dei cieli di Lettonia, Estonia e Lituania. La forza aerea italiana partecipa con personale e velivoli provenienti dal 32° Stormo di Amendolara e del 6° Stormo di Ghedi, operanti con F-35 e Eurofighter Typhoon, che verranno schierati dal prossimo mese di ottobre provenienti da altri reparti. Il contingente italiano (di Aeronautica ed Esercito) costituisce in ambito interforze la Task Air Force -32nd Wing e dal 1°agosto 2025 ha assunto il comando della Baltic Air Policing sostituendo l’aeronautica militare portoghese. Attualmente i velivoli italiani sono schierati presso la base aerea di Amari, situata a 37 km a sudovest della capitale Tallinn. L’aeroporto, realizzato nel 1945 al termine della seconda guerra mondiale, fu utilizzato dall’aviazione sovietica per tutti gli anni della Guerra fredda fino al 1996 in seguito all’indipendenza dell’Estonia. Dal 2004, con l’ingresso delle repubbliche baltiche nello spazio aereo occidentale, la base è passata sotto il controllo delle forze aeree dell’Alleanza Atlantica, che hanno provveduto con grandi investimenti alla modernizzazione di un aeroporto rimasto all’era sovietica. Dal 2014, anno dell’invasione russa della Crimea, i velivoli della Nato stazionano in modo continuativo nell’ambito delle operazioni di difesa dello spazio aereo delle repubbliche baltiche. Per quanto riguarda l’Italia, quella del 2025 è la terza missione in Estonia, dopo quelle del 2018 e 2021.
Oltre ai cacciabombardieri F-35 l’Aeronautica Militare ha schierato ad Amari anche un sistema antimissile Samp/T e i velivoli spia Gulfstream E-550 CAEW (come quello decollato da Amari nelle immediate circostanze dell’attacco dei droni in Polonia del 10 settembre) e Beechcraft Super King Air 350ER SPYD-R.
Il contingente italiano dell'Aeronautica Militare è attualmente comandato dal colonnello Gaetano Farina, in passato comandante delle Frecce Tricolori.
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