2021-11-02
In Italia vietato protestare. Permessi solo rave illegali
Proteste no green pass a Trieste (Ansa)
A Trieste sindaco e prefetto uniti: «Comprimiamo la libertà di manifestare sul pass». La piazza sarà interdetta fino al 31 dicembre. Dissenso demonizzato ovunque, anche se non ci sono violenze e si difende un diritto costituzionale. Però se migliaia di persone occupano luoghi privati per drogarsi, nessuno fiata.Pare si sia tutti d'accordo: lasciamo stare l'Olocausto. A Novara, come noto, un gruppo di cittadini anti green pass ha avuto la discutibile idea di esibire pettorine a righe simili a quelle che erano costretti a indossare gli ebrei ad Auschwitz. «Abbiamo soltanto rappresentato la minoranza che ha creato il governo privandoci della libertà», hanno provato a giustificarsi i diretti interessati. Tuttavia è evidente che la parte di popolazione priva del lasciapassare non si ritrovi nelle condizioni sperimentate dal popolo ebraico negli anni Trenta e Quaranta. Oggi non ci sono deportazioni di massa né lager con filo spinato né esecuzioni, grazie a Dio. Comprensibile, dunque, che la discutibile iniziativa abbia suscitato il fastidio della comunità ebraica locale e nazionale. Meno comprensibile è lo sdegno di cui hanno fatto grande sfoggio politici e giornalisti. Il fatto è questo. Si è stabilito che l'Olocausto sia la massima manifestazione del Male sulla terra, qualcosa di mostruosamente unico, e utilizzarlo come metro di paragone può risultare molto offensivo per chi abbia subito davvero quella tragedia. Prendere la Shoah come riferimento non serve a provocare né tantomeno a choccare: al massimo rende evidente una sproporzione fra il dramma passato e quello attuale. Insomma, meglio evitare parallelismi. Problema: tale regola dovrebbe valere sempre, ma viene applicata a giorni alterni. Ieri sono stati versati fiumi d'inchiostro sul caso di Novara. Eppure, per anni, il paragone con l'Olocausto e il nazismo è stato impunemente utilizzato in mille altre occasioni. Politici e giornalisti (talvolta gli stessi che ora s'indignano per il brutto spettacolino novarese) hanno a più riprese descritto i clandestini in arrivo illegalmente sulle coste italiane come ebrei vittime di persecuzioni. I centri di accoglienza vengono ancora adesso dipinti come campi di concentramento. Matteo Salvini è stato presentato (da un noto professore universitario) come la reincarnazione di Hitler. Nelle ultime settimane, la Germania nazista - con tutto il suo armamentario ideologico e simbolico - è stata ripetutamente chiamata in causa al fine di attaccare Fratelli d'Italia e Giorgia Meloni. Più in generale, da qualche tempo chiunque provi a esprimere dissenso subisce la cosiddetta «reductio ad Hitlerum», cioè viene descritto come un nazista o un fascista così lo si può escludere dal consesso civile. Se è evidente la sproporzione fra la stella gialla tedesca e il green pass, è almeno altrettanto evidente che, tra un gerarca e Meloni e Salvini ci sia un abisso. Ed è palese la sproporzione - come ebbe a notare pure Liliana Segre - fra ciò che accade a un migrante irregolare e quanto accadeva agli ebrei internati. Sembra però che dei paragoni sballati, in alcune circostanze, si possa serenamente abusare, mentre nel caso dei no pass… apriti cielo. L'onnipresente ipocrisia è resa ancora più irritante dal consueto uso politico che si fa dello svarione di pochi a danno della legittima protesta di molti. Prendiamo quel che ha detto domenica Roberto Speranza. «Ho visto immagini che mi hanno choccato, con le manifestazioni che richiamano ai campi di concentramento che sono fuori da ogni grazia di Dio», ha dichiarato il ministro. E fin qui, al netto dell'enfasi, niente di strano. Attenti però al veleno nella coda: «Parlare di dittatura sanitaria», ha aggiunto Speranza, «mi sembra sinceramente utilizzare in maniera del tutto impropria una parola che bisognerebbe utilizzare con grandissima cautela, prudenza». Ecco, questo è esattamente il punto. Riferirsi all'Olocausto non va bene, ma mettere in evidenza che qualcosa, in Italia, non stia funzionando come dovrebbe non è affatto una follia, anzi. Se dobbiamo restare nel campo delle sproporzioni, beh, ci sembra sproporzionata anche la violenza con cui ogni giorno il sistema politico-mediatico si accanisce contro chi protesta. Persone che esercitano un diritto vengono quotidianamente insultate, criminalizzate, patologizzate. La discriminazione nei loro confronti c'è, ed è anche molto chiara. Vi sembra normale - ad esempio - che, nella «Repubblica fondata sul lavoro», si privi del lavoro chi non possiede la carta verde? Per altro, il perimetro della discriminazione e la demonizzazione del dissenso non vanno diminuendo, anzi crescono col passare del tempo. Fa accapponare la pelle, a tale riguardo, quando dichiarato ieri dal sindaco e dal prefetto di Trieste. Il primo cittadino, Roberto Dipiazza (da oggi ribattezzato Divieto Di Piazza), ha tranquillamente dichiarato che userà il pugno duro nei confronti dei manifestanti, a costo di arrivare «al limite della legge». Il bravo prefetto, Valerio Valenti, si è immediatamente premurato di rendere effettiva la minaccia del sindaco. Ha spiegato infatti che, nelle prossime settimane, sarà opportuno «comprimere la libertà di manifestare» e che piazza Unità d'Italia «non potrà essere teatro di ulteriori manifestazioni fino al 31 dicembre», cioè fino alla scadenza (in attesa di proroga) dell'obbligo di green pass. Certo, il nazismo è altra cosa. Ma siamo abbastanza sicuri che se il sindaco (di Forza Italia) e il prefetto avessero detto le stesse cose al fine di impedire manifestazioni antagoniste, subito la gran parte della sinistra italica avrebbe gridato al ritorno delle camicie brune. Attenzione: non stiamo parlando di cortei vietati dopo chissà quali mostruose violenze. No: la libertà di protestare a Trieste sarà «compressa» perché - dice il prefetto, evidentemente munito di specializzazione in virologia - i manifestanti diffondono il Covid. In pratica, bisogna impedire agli «infetti» di contestare il governo. Anche se la legge consente loro di farlo, anche se non fanno male a nessuno. Non è sufficiente privarli del reddito: occorre anche ridurli al silenzio, isolarli, schiacciarli. Il tutto mentre, in ogni parte d'Italia, s'organizzano simpatici rave (con corredo di morti, feriti e devastazioni) e nessuno si è mai sognato di «comprimere» alcunché. Anzi, spesso e volentieri i poco igienici danzatori vengono lasciati liberi di sballarsi e macinare caos per giorni e giorni. Come a mai a nessuno viene in mente di «comprimere» la «forza ondulatoria» dei fattoni? Come mai se un pugno di protestatari sbagliano i toni divengono bersaglio del generale disprezzo e gli organizzatori di eventi illegali sono trattati come stramboidi in fondo inoffensivi? Si vede che i raver - poiché si limitano a devastare ma non contestano - non sono considerati una minaccia. Mentre i no pass, anche se non causano guai, sono troppo critici e danno fastidio: non sarà nazismo, ma fa spavento uguale. Non vogliono che si parli di dittatura? Benissimo: allora evitino di metterla in pratica.
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È stato pubblicato sul portale governativo InPA il quarto Maxi Avviso ASMEL, aperto da oggi fino al 30 settembre. L’iniziativa, promossa dall’Associazione per la Sussidiarietà e la Modernizzazione degli Enti Locali (ASMEL), punta a creare e aggiornare le liste di 37 profili professionali, rivolti a laureati, diplomati e operai specializzati. Potranno candidarsi tutti gli interessati accedendo al sito www.asmelab.it.
I 4.678 Comuni soci ASMEL potranno attingere a queste graduatorie per le proprie assunzioni. La procedura, introdotta nel 2021 con il Decreto Reclutamento e subito adottata dagli enti ASMEL, ha già permesso l’assunzione di 1.000 figure professionali, con altre 500 selezioni attualmente in corso. I candidati affrontano una selezione nazionale online: chi supera le prove viene inserito negli Elenchi Idonei, da cui i Comuni possono attingere in qualsiasi momento attraverso procedure snelle, i cosiddetti interpelli.
Un aspetto centrale è la territorialità. Gli iscritti possono scegliere di lavorare nei Comuni del proprio territorio, coniugando esigenze professionali e familiari. Per gli enti locali questo significa personale radicato, motivato e capace di rafforzare il rapporto tra amministrazione e comunità.
Il segretario generale di ASMEL, Francesco Pinto, sottolinea i vantaggi della procedura: «L’esperienza maturata dimostra che questa modalità assicura ai Comuni soci un processo selettivo della durata di sole quattro settimane, grazie a una digitalizzazione sempre più spinta. Inoltre, consente ai funzionari comunali di lavorare vicino alle proprie comunità, garantendo continuità, fidelizzazione e servizi migliori. I dati confermano che chi viene assunto tramite ASMEL ha un tasso di dimissioni significativamente più basso rispetto ai concorsi tradizionali, a dimostrazione di una maggiore stabilità e soddisfazione».
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Roberto Occhiuto (Imagoeconomica)